Saranno forse loro a compiere un nuovo prodigio? Vedere lunghe file di visitatori in attesa di entrare nella casa del santo patrono, come al Louvre di Parigi o alla Torre di Londra per i gioielli della corona? C’è da scommettere di sì. Perché quello che è successo venerdì 24 febbraio al Museo del tesoro è un prodigioso episodio compiuto da donne.
Il Museo di cui parliamo, che molti napoletani non conoscono nemmeno (consigliamo loro di andarci al più presto), custodisce in via Duomo, accanto alla maestosa cattedrale, il prezioso patrimonio accumulato nei secoli, donato a san Gennaro da fedeli e anche da uomini di potere, come il re francese Gioacchino Murat.
L’evento è di quelli che le emittenti nazionali, sempre pronte a puntare i riflettori su Napoli quando volano proiettili per le strade (con un monito ai loro corrispondenti: le buone notizie non le vogliamo), avrebbero dovuto mettere a fuoco con un ampio servizio, se svolgessero veramento un ruolo d’informazione.
Bastava un’occhiata all’agenzia Ansa per scoprire che la giovane orafa Sara Lubrano, classe 1985, sarebbe entrata a far parte della schiera dei donatori con una piccola e preziosa mitra che alla base reca una frase di affettuosa gratitudine popolare per il patrono: Jesce e facce ‘a grazia. Tutto intorno, la raffinatezza del disegno di un’artista che si avvale di un’antica tecnica, quella della fusione a cera persa.
Sulla mitra in miniatura c’è la chiave per accedere alle ampolle, lo stemma del Comune di Napoli dove il rosso diventa più acceso, ammiccando alla liquefazione del sangue, e l’uva a grappoli che simboleggia la prosperità. In cima, tra il bagliore di smeraldi e rubini, spiccano tre rose in corallo di Torre del Greco, speranza di una nuova fioritura per Napoli a opera del suo protettore.
Sara non è sola. E’ un’imprenditrice che produce bellezza nella sua bottega di vicoletto Belledonne a Chiaia, e che ha deciso di far parte, da socia fondatrice, di EnterprisinGirls, presieduta da una tenace consulente anziendale, Francesca Vitelli, anche lei napoletana.
E proprio a Francesca, è venuta l’idea tredici mesi fa di proporre alla Deputazione di Napoli, organo di governo della Cappella di cui tutela il tesoro, la realizzazione di un oggetto firmato da una delle associate. Fedele alla mission dell’associazione di imprenditrici e professioniste da lei guidata, la promozione del talento.
Questo lungo e paziente cammino, per ottenere che l’oggetto venisse considerato degno di far parte della autorevole collezione, affrontato con spirito di squadra del suo gruppo, Francesca lo ha brevemente sintetizzato nella conferenza stampa attraverso tre parole chiave: condivisione, impegno, responsabilità. E quest’ultima è quella che tutti dovrebbero assumersi in un momento in cui, ha sottolineato, siamo sulle macerie. Oltre i personalismi, il futuro esiste solo se c’è la volontà di costruirlo insieme.
Pubblico numeroso, accolto dai padroni di casa, Riccardo Imperiali di Francavillla (della Deputazione) e Paolo Jorio (direttore del Museo) con un tuffo nel passato. Francavilla ha rievocato l’inconsueto contratto notarile, nel ‘500, tra il popolo napoletano e il santo patrono: al centro, la promessa di edificare una Cappella del Tesoro in cambio della grazia di far cessare la pestilenza e l’intemperanza del Vesuvio.
Jorio, ha ricordato, tra l’altro, la tradizione degli orafi napoletani che si radunarono in un borgo quando nel Medioevo ottennero il riconoscimento ufficiale da Giovanna I D’Angiò e nacque la loro corporazione.
Su tutto, la visibile emozione di Sara che, alla fine dell’incontro, ha depositato nella teca la sua creatura d’arte. Scrivendo, insieme alle professioniste e imprenditrici che l’hanno affiancata, un eccezionale piccolo pezzo di storia.
Per saperne di più
http://enterprisingirls.it/
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