Nuova tappa della rubrica di approfondimento politico “5 domande per Napoli”. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Oggi parla Antonio Guizzaro, neurofisiopatologo Università della Campania Luigi Vanvitelli.
Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno e un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo. Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?
«Il punto centrale è senz’altro la definizione di un’identità. Ciò che negli ultimi decenni è stato postulato in modo aleatorio e con confusi cambiamenti di rotta nella “visione” della città. L’unica possibile prospettiva per il futuro di Napoli è quella di una città polifunzionale, che coniughi al meglio le sue vocazioni naturali nella realtà storica attuale. Dunque: città turistica, capitale di arte e di cultura, sostenuta da un terziario produttivo e capace di competitività nel terziario avanzato. Tutto questo incardinato e comunicante in un circuito virtuoso con il tessuto socioeconomico della Città Metropolitana, che diversamente sarebbe un contenitore senza alcun senso. E’ chiaro che il prerequisito per un simile progetto sta nel metter mano alla vivibilità di Napoli, dall’accesso ai servizi all’igiene pubblica e alla mobilità e dalla cura dell’ambiente alla manutenzione ordinaria e straordinaria. Insomma un Nuovo Risanamento, possibile solo con il concorso di energie vive e nel contesto di una rinascita civica».
L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?
«L’esperienza insegna che comportamenti oppositivi o minacce di fratture istituzionali non sono produttivi. Non solo perché non portano risultati ma anche perché possono diventare alibi per giustificare un sostanziale immobilismo. Dunque dialogo sempre e a tutti i livelli istituzionali. Non sfugge quanto sia nociva, ad esempio, la perpetua conflittualità che c’è da alcuni anni tra Amministrazione Comunale e Regione Campania. Ma, ecco il punto, ciò che serve è l’autorevolezza e la credibilità della classe dirigente politica. Serve che chi ci rappresenta abbia programmi chiari, solida cultura istituzionale, e il sostegno di una base motivata e partecipe».
Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?
«La situazione, purtroppo, mi pare ancor più compromessa e sfilacciata di quanto tu mi rappresenti. Qui ciò che chiami le categorie, sociali ed economiche, si fa fatica a riconoscerle. La ricerca di soluzioni, la costruzione di un futuro, sono in grandissima parte questioni individuali e, in quanto tali, senza respiro, senza consonanza con la collettività, senza prospettiva nemmeno di medio termine. Tutto questo è anche la estrema ricaduta dell’impoverimento grave del dibattito politico-culturale, del distacco dalla realtà della classe dirigente, della riduzione della politica alla dinamica truce dei comitati elettorali. Però è vero anche che se vengono individuati obbiettivi utili all’interesse generale o anche solo di singole categorie, e se l’autorità è disponibile all’ascolto e aperta a recepire proposte, allora ai rinforza lo spirito partecipativo, si vuol contribuire al dialogo, si scopre l’impegno. Insomma, caro Raffaele, cittadinanza attiva e direzione politica autorevole sono condizioni necessarie e interconnesse».
Dopo il Covid 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?
«Questa è una domanda difficile. La pandemia ha minato, a livello individuale, molte nostre certezze, ci ha costretti nelle nostre fragilità, ci ha fatti rassegnare a una realtà angusta e precaria, costringendoci a ridefinire le nostre priorità. Considerare l’impatto sulla collettività, su Napoli, è più complesso. E non mi pare realisticamente possibile prevedere tempi e modi di uscita. Credo comunque che un terreno potenziale di crescita e – in prospettiva – di rinascita stia nelle iniziative di solidarietà, che portano vicinanza e aiuto ai deboli e ai poveri. Queste realtà, che già ci sono, possono qualificarsi come soggetto promotore, per la nostra città, di un modello culturale e sociale di convivenza civile, solidale, tollerante, inclusiva. Sarebbe un segno concreto di speranza».
La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città?
«Si comincia dalla consapevolezza generale di vivere una fase fondativa, dopo i disastri della pandemia e dopo l’incuria delle passate amministrazioni. Va colta l’occasione delle prossime elezioni comunali per realizzare dei percorsi che partano dal riconoscimento dei bisogni dei cittadini e che identifichino i potenziali rappresentanti sulle base di impegno, competenza e merito. Tutto questo come iniziativa politica che riesca a far nascere dalla base il dibattito e che necessariamente coinvolga le giovani generazioni, cui va data la nostra fiducia».
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