“5 domande per Napoli” 5 domande per Napoli. Proseguiamo con la nostra rubrica di approfondimento. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Ne parliamo con Hilenia De Falco, direttrice artistica di “Interno 5” e condirettrice artistica del Teatro Area Nord (TAN).
1)Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno ed un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo. Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?
«“Prima di fare qualcosa noi cadiamo. Più grande è la caduta, più interessante è il lavoro”. Mi piace aprire con questa frase del regista colombiano Enrique Vargas la domanda che mi poni perché mi riporta a un lavoro fatto proprio con lui e la sua compagnia, Teatro de Los Sentidos, sul concetto di città. Era il 2010 e con il mio gruppo, Interno 5, affiancammo Enrique con un ruolo di accompagnamento drammaturgico e produzione esecutiva dello spettacolo “Cosa deve fare Napoli per rimanere in equilibrio sopra un uovo?” spettacolo che debuttò all’interno del Napoli Teatro Festival di quell’anno. Nel suo spettacolo la città viene decostruita e ricostruita con l’immaginazione su fondamenta più solide e questo è quello che ritengo essere il nostro compito anche alla luce delle fragilità emerse durante questo periodo emergenziale. È quanto mai urgente cogliere questo tornado, questo momento di difficoltà, per ripensare a un sistema nuovo, rigenerarlo. Siamo in un momento straordinario, un momento di grande difficoltà in cui questo tornado si è abbattuto in maniera omogenea su tutti noi, ma purtroppo, come avviene in tutte le catastrofi, si sono moltiplicate le diseguaglianze e mentre i “grossi” hanno traballato, i più fragili sono morti o rischiano di cadere. Dobbiamo prenderci cura della “nostra fragilità” potenziando il sistema sanitario, producendo cultura, generando economia, ma anche e soprattutto ricostruendo una collettività e agendo concretamente sulle disuguaglianze. Il punto chiave è evidentemente la tematizzazione di un disagio collettivo: la trasformazione di un malessere, di una condizione potenzialmente ed effettivamente paralizzante, in un punto di vista interessante sulle cose, consente di liberare le energie più creative di un territorio, di un’epoca. Ed è esattamente ciò che è accaduto in questo periodo: sono nati tantissimi focolai di pensiero e di condivisione, abbracci virtuali e tavoli politici dove è emersa forte l’esigenza di non lasciare nessuno per strada. Il grido che si è levato poderoso non è stato tanto ce la faremo, ma speriamo di essere tutti. Uno dei paradigmi emersi dall’emergenza in corso – in uno scenario dai confini ancora incerti e nebulosi – è che non si può affrontare la società del rischio senza una società civile forte e organizzata. Per rispondere ai rischi sistemici che la sfida della contemporaneità impone, abbiamo bisogno di immaginare un nuovo patto di cura delle città e dei territori, fondato sulla collaborazione tra i vari attori delle comunità. Napoli deve, secondo me, puntare ad essere una moderna città europea, incrocio di culture, avamposto nel mediterraneo. Dare valore alle periferie: il discorso sulla città non può prescindere dai luoghi, ed in particolare da un certo tipo di luoghi; ci sono luoghi che più di altri, producono esperienze in grado di riflettersi positivamente sul rapporto che l’uomo ha con il mondo, migliorandolo. Luoghi di confine in cui si manifesta, forte e resistente, una spinta verso la conoscenza, una tensione culturale permanente, uno sforzo ostinato ad indagare l’uomo. Napoli deve essere una città in cui i servizi siano all’altezza della vocazione turistica e culturale che le appartiene e che abbia cura del suo territorio, del patrimonio architettonico, artistico, del verde, che sia all’insegna della legalità in tutti gli aspetti della vita sociale».
2)L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?
«Credo che le “rotture” non portino mai a risultati positivi. Solo il dialogo tra istituzioni può sanare anche antiche “sottrazioni”. Ma ognuno deve fare la sua parte. Napoli non può essere una folcloristica città assistita ma può e deve dimostrare di essere in grado di ben amministrare le risorse economiche, culturali e naturali che possiede».
3)Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?
«Il dialogo tra sordi è impossibile. E’ necessario che si costruiscano le condizioni per armonizzare gli interessi, se legittimi, dei vari soggetti. E’ questo il compito della politica: far sì che la libertà di qualcuno non leda la libertà degli altri. Solo con questi presupposti di regole condivise il dialogo tra i vari soggetti della comunità è possibile».
4)Dopo il Covid– 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?
«La cultura e il rispetto della legalità sono il terreno su cui si può seminare una rinascita della città. Grande attenzione alla scuola, in particolare quella primaria, dove quest’anno la pandemia ha esacerbato le differenze sociali tra i bambini. Occorre fornire tutti gli strumenti per il recupero di chi, già culturalmente e socialmente disagiato, è ulteriormente rimasto indietro».
5)La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città?
«La partecipazione presuppone essere “parte” di un processo decisionale e non solo pubblico ininfluente. Se la politica adotta comportamenti e atti concreti rispettosi della legittimità degli interessi e premia il merito e non gli elettori “fedeli”, la partecipazione sarà naturalmente accresciuta».
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