“5 domande per Napoli”“. Proseguiamo con la nostra rubrica di approfondimento politico. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Ne parliamo con Diego Guida, direttore editoriale Guida Editori.
Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno ed un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo.
Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?
«Napoli ha sempre rappresentato, nella storia anche più recente, un “unicum”, e non per questo, condivisibile in ogni occasione, purtroppo. La millenaria storia della nostra Città ha visto fin troppe contraddizioni e particolarità che ne danno un volto straordinario, un volto che non si può non amare. E … amare, vuol dire anche avere la disponibilità a “sopportarne” anche i difetti, auspicando di riuscire a valorizzarne i pregi, anche se non sempre è così, almeno agli occhi di chi Napoli non la conosce fino in fondo. L’idea di “futuro” per la nostra Città è fin troppo decantata, eppure fin troppo trascurata per poter portare il capoluogo del Mezzogiorno alla ribalta anche internazionale: il posto che merita di certo. Ora, però, è il momento di rimboccarsi davvero le maniche e avviare progetti di sviluppo, di politica condivisa a prescindere dagli schieramenti politici (ma … ce ne sono ancora?) per non lasciare intentate le indispensabili azioni politiche di sviluppo legate anche alla formidabile opportunità che ci viene offerta dai fiumi di denari in arrivo anche dalla Ue per investimenti sui territori».
L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?
«Mi si chiede di una … “rottura traumatica”? Ma, questa rottura c’è già stata: in questi ultimi anni non ho visto, forse mi sfugge? Una programmazione, una progetto per Napoli che avesse un respiro almeno di medio termine, con investimenti programmati negli anni a venire, a prescindere dalla durata del mandato elettorale, una speranza di riqualificazione anche urbanistica che vada al di là dei già programmati lavori per il trasporto su ferro, o dei grandissimi risultati di Aeroporto e turismo che mi sembra siano stati risultati … piuttosto spontanei, rispetto a quanto poteva venire programmato dalla politica locale. Napoli dovrebbe candidarsi a recuperare il centralissimo ruolo di capofila di una politica meridionale attenta alle esigenze del territorio, credo che solo in questa chiave la Città potrà, nei prossimi anni, esser tenta in conto anche dalla politica nazionale: per quel che sarà in grado di fare…».
Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?
«La tanto decantata “società civile” napoletana, temo, volterà ancora la faccia ai progetti politici se non saranno supportai da figure credibili, senza scheletri negli armadi e con l’entusiasmo del fare. Io conto davvero che nel prossimo futuro qualcosa potrà smuoversi nell’animo dei concittadini che dovranno necessariamente comprendere che siamo davvero a un capolinea, siamo tutti sulla stessa barca e non possiamo permetterci di abbandonarla: siamo una comunità e nella comunità dovremo vivere il futuro, senza nessuna eccezione».
Dopo il Covid – 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?
«Certamente richiamando i giovani che hanno lasciato la nostra terra. Il Covid ci sta costringendo a un nuovo modello di lavoro, con il telelavoro abbiamo la possibilità di interloquire con tutti gli angoli del mondo, costruire reti di conoscenze con cui progettare e “pensare”. La capacità di parlare tutti la stessa lingua… telematicamente: questo è l’impegno da prendere nell’immediato: recuperare le forze giovani e vitali, quelle pronte al cambiamento con l’orgoglio di vivere a Napoli».
La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città?
«Innanzitutto partendo con il valorizzare la nostra cultura, le nostre radici e il modo di trasferire queste conoscenze il più possibile tra noi. La storia ci insegna che un territorio è più ricco e sano, quanto più ricca e sana è la sua capacità di fare rete, di scambiare idee, opinioni, e far circolare liberamente il pensiero: solo condividendo questi valori essenziali si potrà allargare il dibattito e allargare la base democratica che è la vera ricchezza di un territorio attivo e dinamico La crescita culturale della Città avrà necessariamente un percorso anche sociale di condivisione: crescita culturale e crescita sociale sono strettamente connesse e collegate tra loro, senza, si avrà solamente e tristemente il fiato corto…».
©Riproduzione riservata