Le periferie del Sud come sentiero di crescita delle città del Mezzogiorno, oltre confini e regole. Infrastrutture e servizi per superare quartieri dormienti e deserti culturali. Una traccia di lavoro per rendere vivo il concetto di rigenerazione urbana in quei luoghi che presentano vuoti fisici e percepiti come aree che ospitano soggetti di scarto.
Un disegno che fin troppo spesso ha badato alla forma, all’astrattezza della penna, alla cromaticità dei colori piuttosto che alla sostanza fatta di bisogni, di relazioni, di socialità. Una corrente di pensiero che tarda ad affermarsi compiutamente è quella che pretenderebbe di considerare sullo stesso piano chi decide e chi utilizza quelle scelte, recuperare questo distacco consentirebbe di creare comunità decidenti, di strutturare soggetti in grado di scegliere il territorio come massimo luogo dell’emancipazione sociale, di praticare il luogo dove forgiare la propria autodeterminazione.
Il problema è innanzitutto di ordine culturale: bisogna capovolgere il doppio paradigma che ancora considera “distanza” l’incontro tra centro e periferia e la rigenerazione urbana che “dimentica” quella sociale. La periferia pubblica generatrice di degrado, questo è il modello che resta scolpito nell’immaginario collettivo. Da qui bisogna partire, non senza trovare le colpe per capire chi ha prodotto questo scenario urbano. Se non altro per non commettere gli stessi errori.
Non basta, semmai lo fosse stato per qualche momento storico, concludere il tutto con azioni di carattere edilizio ed urbanistico, senza considerare le dinamiche sociali che hanno permeato il tessuto di questi contenitori (esclusioni, devianze, sicurezza). L’acquisizione della cittadinanza si ottiene con la qualità della vita, ovvero i diritti si conquistano respirando aria pulita, camminando per strade sicure, usufruendo di servizi, aiutando chi è più indietro, connettendosi con il resto del mondo.
Gli interventi residenziali, purtroppo, hanno fatto sì che la memoria si perdesse, alle periferie è stata privata l’identità. Questi “non luoghi” hanno perso quegli elementi che hanno fatto storia, che privilegiavano vocazioni, rapporti, umanità, ceppi familiari e dinamiche sociali come identificativi di un luogo.
Lo sfruttamento dei territori di margine ha rappresentato una volgare discontinuità delle centralità che si sviluppavano altrove, non avendo la possibilità di diventare luoghi urbani e confinati a spazio pubblico non progettato. Ecco perchè avanzava la marginalità e la povertà sociale.
La rigenerazione dei contesti urbani periferici deve concentrare le azioni che risolvono la vulnerabilità di chi li vive, contraddicendo il “modello riqualificativo” degli anni ’90 che non ha voluto considerare gli standard di “città pubbliche” basati, principalmente, sulla creazione di comunità inserite in contesti di sostenibilità urbanistica ed ambientale.
Lanciamo una proposta di carattere nazionale per la Riqualificazione di 100 periferie del Sud; la periferia che condiziona il centro, il territorio decentrato non come luogo di accumulo scartato dalla città centripeta ma quel posto dove si decide il proprio destino, riprendiamoci gli spazi esclusi e diamogli contesto, centralità, innovazione, anima sociale.
Creiamo centri decisionali capaci di offrire progettazione dal basso, che abbiano a fondamento i diritti fondamentali quali il welfare di comunità, l’istruzione, il diritto all’abitare, la salute.
Il Piano Sud 2030 parta da qui, cominci a far funzionare ciò che pure in esso è contenuto. Adoperiamoci per la determinazione dei propri bisogni, per la soddisfazione delle necessità con azioni di contesto foriere di comportamenti civici virtuosi e risolutivi. Partiamo, avendo bene in mente dove vogliamo arrivare.
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In alto, la villa comunale di Scampia