Domani, mercoledì 30 novembre, alle 17, Palazzo Serra di Cassano in via Monte di Dio 14 (NapolI9, ospita la presentazione del libro di Carlo Di Lieto, “La donna e il mare: gli archetipi della scrittura di Corrado Calabrò” (Roberto Vallardi editore), incontro dedicato ai cinquant’anni di attività del poeta, coordinato da Donatella Trotta. Con l’autore Carlo Di Lieto, intervengono: Antonio Filippetti, Lorenza Rocco, Luciana Stefanelli Cervelli e Maurizio Vitiello. di seguito pubblichiamo un intervento di Antonio Filippetti.
Per commentare l’opera di un autore come Corrado Calabrò che ha dedicato tutta la sua attività creativa alla poesia, sostanziata in oltre venti raccolte nell’arco di più di cinquant’anni di milizia, appare doveroso prima di tutto fare qualche considerazione sul “genere” ovvero sulle ragioni per cui uno scrittore di primo piano abbia così tenacemente dedicato il proprio lavoro alla produzione poetica.
E qui entra necessariamente in gioco una valutazione diremmo teorica: cosa rappresenta la poesia e perché a essa è possibile votarsi senza soluzione di continuità. La risposta non è certo semplice se anche uno studioso come Georges Bataille affermava che “la poesia è il nostro fondamento anche se non sappiamo come definirla”.
Ci troviamo cioè di fronte a un “assoluto” che per antonomasia non è definibile. E lo stesso Calabrò confesserà problematicamente in un’intervista che “nella poesia si sublima tutto quello che il poeta ha dentro e – ancora più – quello che non sapeva di avere dentro”. Ora per meglio intendere la poesia di Calabrò giunge in libreria un documentatissimo saggio di Carlo Di Lieto che esplora l’opera del poeta nella sua interezza e complessità adottando l’originale metro della psico-critica.
L’opera di Calabrò è stata a lungo oggetto di analisi da parte della critica più qualificata; di lui si sono occupati tra gli altri e a più riprese Piero Cimatti, Carlo Bo, Dante Maffia, Mario Luzi, Elio Pecora, Domenico Rea, Renato Minore, Maria Luisa Spaziani; e tutti hanno per così dire analizzato e descritto il mondo intenzionale di questo poeta.
Carlo Di Lieto ci fornisce una chiave di lettura al tempo stesso insolita e definitiva in quanto riporta il testo ad una matrice ispirativa inequivocabile. Secondo il critico, infatti, la chiave per intendere la poesia di Calabrò, o per meglio dire gli archetipi che presiedono alla sua vocazione, è da rintracciare nella dicotomia tra la donna e il mare. Ed è una suggestione che alla fine si rileva fondata e vincente. Scrive Di Lieto: “La voce del poeta è nell’anima delle cose naturali, la particolare sintonia è nella voce del mare”. E poi ancora: “La personificazione del mare è la doppia anima del poeta, il suo subcosciente viene alla luce senza infingimenti. E’ un amplesso voluttuoso, forse un involontario rapporto sessuale, vissuto con intensità, fino all’estasi dello sfinimento”.
Ma come avviene anche nella poesia di Eugenio Montale, il mare rappresenta necessariamente il luogo in cui si abilita l’esperienza, si misura cioè la capacità dell’”equorea creatura”, di assolvere il proprio destino in un agone sempre incerto o addirittura tempestoso ma nel quale si inverano al tempo stesso sogni e passioni, speranze e delusioni.
Del resto lo sa bene Calabrò quando cita Senofonte: “ora siamo trasportati come i naviganti che, per quanto solchino il mare, non possiedono il tratto che lasciano dietro di sé più di quanto non possiedono il tratto che devono ancora solcare”. Il che tradotto con un suo testo poetico, suona più o meno così: “se non sognassi non avrei un passato/ non appartiene al navigante il mare/che ha solcato/Non trattiene chi nuota/altro che il sogno/ del mare che ha abbracciato”.
Il lucidissimo studio di Di Lieto illumina non solo l’opera di Calabrò ma ci consente per così dire una riflessione più ampia che attiene proprio alla peculiarità della poesia e al suo significato e che anche Calabrò può accogliere nel proprio humus creativo, vale a dire l’indispensabile funzione del poeta nella società di tutti i tempi in quanto tramite ed interprete di quello che I.A. Richards definì come “una musica d’idee”, vale a dire la lunga, difficile, armoniosa meditazione sull’esistenza che è poi anche l’espressione linguistica più alta (vedi Leopardi) dell’animo umano.
Antonio Filippetti
Carlo Di Lieto
La donna e il mare,
Gli archetipi della scrittura di Corrado Calabrò,
Vallardi Editore, pp,256, euro 12,00