A Galleria Toledo il dramma d’amore storico per eccellenza, in una tre giorni che precede d’un soffio la festa degli innamorati.
Io sono Fuoco e Aria, di Laura Angiulli, è tratto dalla vicenda di Antonio e Cleopatra e fa capo alle riscritture d’autore che la direttrice del teatro dei Quartieri sta portando avanti nella sua ricerca sulle nuove poetiche teatrali.
Una ricerca, la sua, sviluppata sul doppio binario che nella fattispecie equipara, sul tavolo da lavoro, Philip Roth e Shakespeare, con vicendevoli influenze, evidenti soprattutto nel dramma del Bardo d’Avon.
Chi avesse visto anche Lucy e le Altre, avrà notato una serie di analogie tra le due produzioni, entrambe con il pregio di spingere verso la sperimentazione elegante, scritture ostiche e corpose con tratti ancora inesplorati.
Lavorare sulle carte shakespeariane è quantomai rischioso, in un panorama teatrale che tende a guardare all’alcova conosciuta per proteggere la sicurezza del conosciuto da sperimentazioni di qualsiasi natura.
Nel nostro caso, tuttavia, il rischio corso è giustificato da un risultato eccellente, che stravolge modalità, tempistiche e scenari pur rispettando il dramma e le sue intenzioni finali.
In primis il dominio cronologico di ogni scena, si gioca in uno spazio-tempo fluido e sovrapposto, che non snatura l’andare della vicenda.
Gli accadimenti, temporalmente determinati, vengono resi dagli attori con incursioni senza soluzioni di continuità in un campo dominato da due oggetti principali: un tavolo di trattative e una chaise lounge, simboli rispettivi dell’anima della vicenda umana che vi si consuma, divisa com’è tra il ruolo di responsabilità storica dei protagonisti e la loro necessità d’amore segnata da pubbliche manifestazioni di intimità, capricci e voltafaccia. Tutti elementi che a distanza di millenni colpiscono per il loro sottile equilibrio che fa di questa storia archetipo delle più attuali vicende umane.
A calcare il palco una selezione di attori con più di una partecipazione nel cinema e nella serialità degli ultimi vent’anni: dai primi film di Martone a Gomorra, passando per l’Ernesto Murolo di Qui rido io.
Attori tutti, o quasi, già visti nella messa in scena dedicata a Roth, vestiti alla foggia degli anni cinquanta del secolo scorso. Una attualizzazione del vestiario che ricorda soldati e generali della seconda guerra mondiale (l’effetto Bastardi senza gloria è rafforzato da una curiosa somiglianza tra Luciano dell’Aglio e Daniel Brühl).
La scelta di attori maturi, tutti avvezzi al legno del Toledo, fa sembrare un gioco da ragazzi la resa pratica della scrittura che, se rispetta il dramma, lo fa leggero nella rapidità degli scambi taglienti, più dissacranti rispetto al testo originale. Una scrittura, insomma, che si svincola dalle lungaggini che erano croce e delizia di un teatro robusto, come quello shakespeariano.
Antonio Marfella (Marco Antonio) e Alessandra d’Elia ( Cleopatra) si muovono per tutta la casistica degli atteggiamenti che ci si aspetterebbe dai due protagonisti.
Così la necessità di comando consumata dall’insicurezza di un gioco sul filo del rasoio di Antonio, diviso tra l’andare, il restare, il ritornare, il credere, il fidarsi, il sospettare, e la lucidità travestita da isteria di Cleopatra, sono rese in altrettante manifestazioni degli attori, con tutta la tragedia di una vicenda umana che si consuma inesorabile, sotto gli occhi dello spettatore.
Laura Angiulli propone, quindi, una scrittura significativa, con una secchezza efficace che non mortifica, nella risultante, le intenzioni pure, distillate della scrittura originaria.
Un’attualizzazione che rende meglio digeribile la vicenda, ma che in qualche modo rispetta, con richiami saltuari, quella che doveva essere la recitazione del testo originale in un gioco che, altro da risultare stucchevole, rende conto del molto lavoro fatto.
La vicenda di Antonio e Cleopatra è da sempre nell’immaginario collettivo, conosciuta finanche da chi di teatro, di storia e di storie d’amore nulla sa.
In questa produzione di Galleria Toledo trova immensa vitalità. Il dramma è spezzettato, reso attuale, giocato su una velocità che riassume cinque atti lunghissimi in una godibile ora, contravvenendo alle aspettative di chi crede di passare il tempo a sbadigliare.
Galleria Toledo, in tempi di relazioni umane stranianti, dona allo spettatore un’ancora di salvezza con la rivisitazione riuscita di un dramma che sa di tradizione, calore e che segnerà probabilmente l’immaginario amoroso per sempre.
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Nelle foto di Anna Camerlingo, due scene dello spettacolo proposto da Galleria Toledo