Chi è cresciuto ascoltando i racconti di genitori, nonni e conoscenti sul periodo della guerra ritroverà sensazioni note nelle pagine del libro “La sartoria di via Chiatamone” di Marinella Savino edito da Nutrimenti. Chi, oltre a portarsi dentro quelle immagini vivide, è cresciuto nel quartiere Chiaja di Napoli, teatro del racconto, percorrerà i passi insieme con i protagonisti. Per me è stato così.
Girando le pagine ho svoltato per via Calabritto verso Piazza dei Martiri o, da via Chiatamone, mi sono incamminata verso la Riviera di Chiaia costeggiando la villa comunale fino a Villa Pignatelli. Il fulcro del piccolo mondo presentato da Savino è una donna minuta, determinata e volitiva: Carolina Esposito.
Quella che scopriamo è la sua guerra contro la miseria, la paura e l’orrore che investì il mondo con lo scoppio del secondo sanguinoso conflitto del Novecento. Creatrice di bellezza sartoriale avvia una sua fiorente attività e ha la fortuna di incontrare un uomo innamorato che amerà e con il quale metterà su famiglia.
La sua è una filosofia di vita improntata al pragmatismo partenopeo cui si aggiunge quello di matrice femminile: nella vita bisogna rimboccarsi le maniche e – quando possibile – prevenire gli eventi prima che ci travolgano, senza dar troppo peso a quel che pensano gli altri.
«L’etimo di Carolina è “donna libera” e, lei, con la sua testa, fu libera per tutta la vita. Fuori dalla sua testa, no, non fu libera mai e per niente, perché nacque e visse in un’età in cui la libertà, per una femmina, aveva poco senso. Ma di quello che accadeva fuori dalla sua testa non le importò mai nulla. Badò sempre e solo al dentro».
Questo è l’incipit del romanzo. Il carattere ruvido e l’attitudine al comando rendono la protagonista il punto di riferimento di una rete di legami familiari, amicali e di vicinato, legami che appartengono a un mondo passato. Legami di cortile che creavano piccole comunità composte da diverse famiglie che condividevano la routine quotidiana, una comunità che si mobilitava e sosteneva nei momenti di difficoltà e dolore e gioiva in quelli di festa. Comunità in cui nessuno veniva lasciato solo.
La tutela della privacy non esisteva ancora ma il welfare sì, era quello di prossimità legato non solo alla parentela di sangue ma anche a quella figlia dell’assidua frequentazione quotidiana.
Abituata ad assumere decisioni e agire, fin dall’infanzia, Carolina comprende il valore dell’indipendenza economica e del lavoro, crea una piccola impresa con delle lavoranti che – per osmosi – diventano parte della comunità. Oggi si direbbe, con un termine in gran voga, che era una persona inclusiva e si parlerebbe di leadership femminile.
Allora non c’era bisogno di usare una parola specifica, quel modo di essere e comportarsi era la normalità, la solidarietà era scontata come l’aria e la presenza del Vesuvio e le donne, che avevano spazi decisionali e organizzativi ampi e indiscussi in ambito domestico, talvolta se li costruivano anche in quelli economico e sociale.
I proventi del lavoro aiuteranno Carolina a sostenere la sua comunità, quella che costruisce partendo dalla sua famiglia e inglobando amici, collaboratrici e vicini di casa durante gli anni terribili dall’entrata in guerra fino allo sbarco delle truppe alleate a Salerno e il loro successivo insediamento in città.
«Carolina, così, senza nemmeno sapere come, si trovò a ospitare lei la famiglia Fedele, che, di sfollati, nel suo palazzo, non ce n’erano e men che meno in casa sua, che s’era affollata, più che sfollata, grazie alla guerra».
Il razionamento alimentare, il mercato nero, i bombardamenti sempre più frequenti e pesanti, le corse nei rifugi, la paura e la miseria sono raccontate con uno stile scorrevole inframmezzato di frasi ed espressioni dialettali, perché la lingua di Carolina è quella napoletana ed è in questa che pensa, sogna, ama, soffre e s’indigna. Una bella storia scritta bene. Il che, come l’inclusività e la parità tra uomini e donne, non è cosa scontata.
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IL LIBRO
Marinella Savino
La sartoria di Via Chiatamone
Nutrimenti
pagine 170
euro 16
L’AUTRICE
Marinella Savino è nata a Napoli e vive a Roma. La sartoria di Via Chiatamone è il suo primo romanzo, finalista al Premio Calvino 2018.
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