Leggere un romanzo d’esordio è sempre entusiasmante: un nuovo stile, un diverso punto d’osservazione, una differente costruzione dei personaggi e dell’articolazione della trama da scoprire.
“La donna di Brooklyn”, da pochi giorni in libreria per Piemme, è il primo romanzo di Tracey Enerson Wood. La storia, su cui si basa il romanzo, è vera e riguarda la costruzione del ponte di Brooklyn.
Un’icona, un simbolo che investe diverse categorie individuali e collettive: l’identità, il significato di progresso, il lavoro degli immigrati nell’infrastrutturazione del nuovo mondo, il design innovativo.
Mia nonna era italiana ed emigrò a New York negli anni Venti del Novecento, quando da bambina le chiedevo dove fosse nata mi rispondeva convinta: sotto il ponte di Brooklyn!
La guardavo perplessa ma lei mi assicurava che sì, era proprio lì che era nata. Crescendo ho compreso il perché della sua risposta, ho compreso la difficoltà di trovarsi a cavallo tra due culture e sentirsi sospese come su un ponte che unisce due lembi di terra.
Ci sono momenti in cui ti senti di appartenere a una sponda e momenti in cui ti ritrovi nell’altra e su di te pende la spada di Damocle del tradimento verso le proprie origini o verso il paese che ti ha accolta. Sensazione che, purtroppo, non è tramontata con lo spirare del secolo ma è andata assumendo contorni via via più drammatici e marcati in ragione dei grandi flussi migratori che nel nuovo millennio attraversano paesi e continenti.
Aprendo il libro ero dunque incuriosita, mi attendeva la storia della nascita di un’opera ingegneristica pregna di significati. L’autrice racconta di come una giovane donna, Emily Warren, abbia fatto cose non previste per le donne, cose inaudite come sostituirsi al marito nel sovraintendere alla costruzione di un ponte senza aver studiato ingegneria.
Siamo negli anni Settanta dell’Ottocento e la protagonista sposa Washington Roebling, fascinoso ingegnere di origine tedesca che ha combattuto nella guerra civile, uno dei combattenti nella famosa battaglia di Gettysburg.
Il progetto ingegneristico cattura il suo interesse e l’arditezza dell’idea è nelle sue corde ma queste non sono cose da donne, da lei ci si aspetta che tagli nastri alle inaugurazioni e aiuti a cercare investitori da convincere per sostenere l’impresa ma…ma le cose non sempre vanno come noi vorremmo e intervengono accadimenti che scompigliano i piani. Non svelo nulla.
Emily si trova a dirigere i lavori, dover conquistare il rispetto degli operai, dei politici e degli investitori infischiandosene dei pettegolezzi. Inizia a lavorare alla costruzione del ponte osservando e facendo da messaggera tra le maestranze e suo marito fino a imparare a disegnare pezzi non esistenti per risolvere problemi legati alla costruzione. Come poté accadere ciò? Come fu possibile un simile cambiamento di ruolo?
«Il mio limite principale sembrava in realtà essere una spiccata incapacità di stare al mio posto. O meglio la mancanza di interesse per il posto che mi era stato assegnato».
Le restrizioni che il modello sociale della sua epoca le imponeva le andavano troppo strette, esattamente come i vestiti appesantiti da corsetti e sellini che le impedivano i movimenti togliendole il fiato.
Ai detrattori che la accusavano di non avere titoli per poter dirigere il cantiere rispondeva: «Le mie credenziali, signore. Naturalmente, troverà poche certificazioni ufficiali. Purtroppo non sono concesse alle donne in questo paese».
Nel corso degli anni combatte una faticosa battaglia che ha il duplice obiettivo di terminare il progetto che suo suocero e suo marito avevano sognato e di aprire la strada ai diritti delle donne.
Chi tra noi nella vita si è trovata a lavorare in contesti maschili può ben comprendere il senso di frustrazione e rabbia che talvolta assale, il pregiudizio sempre in agguato che -quando non dichiarato subdolamente strisciante- costringe a dover dimostrare di essere all’altezza, di essere capace stando ben attenta a non urtare la suscettibilità di quegli uomini che possono sentirsi minacciati dalla competenza di una donna.
«Sono colpevole di aver sottostimato il mio stesso sesso, non considerando quante altre cose fosse in grado di fare. Ma ho sempre pensato che tutte le donne dovrebbero avere la possibilità di fare ciò che desiderano».
Ecco questo è un pensiero – rivoluzionario – tipicamente americano. Lo affermo con cognizione di causa perché quando mia madre fece il percorso inverso a quello di mia nonna, lasciando New York per trasferirsi in Italia, questa consapevolezza connaturata al suo modello culturale si scontrò con il nostro della fine degli anni Cinquanta del secolo scorso.
Mia madre si guardava intorno domandandosi perché le donne non si ribellassero all’idea che tante fossero le cose loro precluse e – in assoluta controtendenza – tirò su due figlie e un figlio instillando in loro l’autostima necessaria a perseguire i propri interessi senza badare al genere di appartenenza perché ognuno decide di essere e fare quel che più ama nella vita, ognuno ha il diritto di coltivare il proprio talento.
Emily fa altrettanto con il suo unico figlio e arriva alle considerazioni che ancora oggi sfibrano molte donne: come posso lavorare e crescere dei figli senza sentirmi in colpa e senza dover rinunciare a qualcosa di importante?
La protagonista analizza le proprie scelte e i propri comportamenti confrontandosi con il modello di educazione materna, con la presenza di un amato fratello maggiore punto di riferimento e con il marito. Come tutte le donne, anche lei, cerca la quadra. Come tutte le donne alimenta sensi di colpa per arrivare, con la maturità, a comprendere il bisogno di perdonare sé stessa.
È un bel romanzo con una scrittura fluida e coinvolgente che inchioda alla pagina. L’intreccio e i dialoghi sono ben costruiti e la storia ha il grande merito di far luce su una verità sconosciuta ai più: se il ponte di Brooklyn esiste è grazie alla tenacia, la determinazione e la volontà di una donna. La storia che leggiamo corrisponde al vero, Emily Warren è realmente esistita e ha sostituito il marito nel ruolo di ingegnere capo del cantiere per la costruzione del ponte di Brooklyn.
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IL LIBRO
Tracey Enerson Wood
La donna di Brooklyn
Piemme
pagine 424
euro 18,90
L’AUTRICE
Ha girato il mondo insieme al marito militare e ai due figli, e ha lavorato come infermiera e imprenditrice. Nel frattempo, ha continuato a coltivare la sua passione per la scrittura, cimentandosi in opere teatrali, sceneggiature e racconti. Originaria del New Jersey, attualmente vive con la sua famiglia tra la Germania e la Florida. La donna di Brooklyn è il suo primo romanzo.
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