Le ragioni del conflitto tra Russa e Ucraina. Ne parliamo con Antonio Perillo, un attivista napoletano della «Carovana antifascista per il Donbass». Questa esperienza di solidarietà italiana, nata dal basso nel 2014, si aggregò all’indomani dei fatti di piazza Maidan. Grazie a diversi viaggi compiuti nelle regioni orientali del paese, la Carovana riuscì a portare aiuti umanitari alle popolazioni stremate dalla guerra civile, denunciando i soprusi compiuti dal governo di Kiev e il ruolo giocato da Unione europea e Stati Uniti d’America, che hanno favorito la degenerazione del conflitto.
Cos’è accaduto nel 2014 in Ucraina?
Sono venuti al pettine una serie di nodi che si erano intrecciati negli anni precedenti in una parte di frontiera dell’Europa. «Ucraina», di fatti, significa terra di frontiera. Dopo la caduta dell’URSS, questo paese è divenuto terreno di contesa tra la Russia e il campo politico occidentale. Già nel 2005, la presidenza di Viktor Juščenko si indirizzò a un orientamento più filo-europeista, sostenuto da una prima serie di manifestazioni di piazza. Tuttavia, non riuscì a stringere dei rapporti economici con l’Unione Europea. Poi, nel 2010, venne eletto Viktor Janukovyč, che cercò di portare avanti una posizione di neutralità tra la Russia e le potenze occidentali. Nel 2014, la crisi scoppiò proprio perché Janukovyč annunciò di voler sospendere le trattattive con l’Unione Europea.
Perché lo fece?
L’Unione europea aveva richiesto all’Ucraina una serie di riforme economiche molto stringenti. Janukovyč dichiarò che alcune delle misure richieste, tra cui la liberalizzazione del mercato dell’energia, in particolare del settore del gas, avrebbero provocato, nel breve e medio periodo, un aumento dei carburanti e del costo della vita per gli ucraini. Al contrario di quanto è stato detto poi, Janukovyč non era una marionetta di Putin. Giovi ricordare che venne accolto con tutti gli onori dai principali governi europei, fino a quando non puntò i piedi sulle riforme ultraliberiste richieste dall’U.E.. Pochi giorni dopo, cominciarono le manifestazioni a Kiev, in piazza Maidan e altrove. Queste proteste, inizialmente portate avanti dagli studenti, chiedevano la continuazione dei negoziati e l’adesione a un campo economico più occidentale. La crisi si aggravò nei mesi successivi. Le prime violenze si verificarono attorno al Natale del 2013, ma degenerarono effettivamente nel gennaio-febbraio 2014, dove si registrarono episodi più violenti.
Cosa cambiò a un certo punto?
Le prime mobilitazioni furono molto ampie, ma sostanzialmente non registrarono scontri importanti fra manifestanti e forze dell’ordine. Lo stesso presidente Janukovyč, prendendo atto della partecipazione di piazza, si era detto disponibile al dialogo, incontrando le principali opposizioni. Ciò avvenne effettivamente il 21 febbraio 2014, quando Janukovyč si incontrò coi leader della protesta, tra cui Vitaly Klyčhko dell’UDAR (Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma), Oleh Tjahnybok di Svoboda – entrambe formazioni dichiaratamente ultranazionaliste e antisemite- alla presenza dei ministri degli esteri di Germania, Francia, Polonia, oltre che di un inviato della federazione russa. Tutti loro stipularono un negoziato, che prevedeva il ritorno alla Costituzione del 2004, il cui fondamento era una diminuzione dei poteri presidenziali. Nonostante questo, pochi giorni dopo si verificò un aggravarsi degli scontri di piazza. A febbraio, si registrano numerose uccisioni di manifestanti e di membri delle forze dell’ordine appartenenti ai reparti antisommossa. Questi omicidi vennero compiuti da dei cecchini. A questa situazione, il governo ucraino non era preparato e non resse all’indignazione che si sollevò. La crisi degenerò e sfociò in un vero e proprio colpo di stato. Il presidente si spostò da Kiev a Kharkov, mentre venivano occupate la sede del governo e la sua abitazione privata. I golpisti presero il controllo della capitale. Janukovyč scelse di abbandonare il paese e chiese asilo politico alla Russia.
Quali forze hanno operato dietro il colpo di stato?
Alle spalle di questo golpe hanno operato partiti ultranazionalisti e apertamente neonazisti con una pesante complicità dell’Occidente. Le violente proteste di piazza vennero ribattezzate “Euromaidan” e chiedevano all’Ucraina di entrare nella Ue divenendone partner commerciali. Fino a quel momento, l’Ucraina aveva sempre avuto un’economia interconnessa con la Russia e gli altri stati asiatici che facevano parte dell’ex-Unione Sovietica. La Ue e gli Stati Uniti d’America svolsero un ruolo attivo nel colpo di stato, finanziando e armando questi gruppi di estrema destra. I principali dirigenti europei, di fatto, instaurarono rapporti coi partiti di opposizione di “Euromaidan”, tra cui figuravano partiti nazionalisti, di destra ed estrema destra. Come gruppo del Gue/Ngl (Gruppo della Sinistra al Parlamento Europeo) denunciammo all’epoca il ruolo di Gianni Pittella, già presidente del Gruppo Socialista Europeo e vice presidente del Parlamento europeo, che si recò in piazza Maidan gettando benzina sul fuoco. Egli organizzò poi, l’incontro tra Julija Timošenko, una delle leader dell’opposizione ucraina, e Laura Boldrini, allora presidente Camera dei Deputati in Italia. Chi aveva armato i cecchini e i nazionalisti? Chi era intervenuto nel governo ucraino per inasprire le tensioni di piazza? Guardando al contesto complessivo e a come l’Ucraina rapidamente si sia posta in una condizione di totale dipendenza dai paesi occidentali, troviamo una conferma delle ingerenze occidentali in Ucraina.
Che ruolo giocarono gli Stati Uniti d’America?
Gli Usa organizzarono una rete di rapporti coi partiti di estrema destra. In questi contatti, ebbero un ruolo attivo sia l’ambasciatore americano in Ucraina, Geoff Pyatt, sia Victoria Nuland, che all’epoca ricopriva un ruolo di primo piano nell’amministrazione Obama in qualità di collaboratrice dell’allora vice-presidente Joe Biden. Gli Usa finanziarono le opposizioni con centinaia di milioni di dollari. In questi mesi, è tornata alla luce una telefonata del 2014 – finita nel calderone reso noto da Wikileaks – in cui Pyatt e la Nuland discutevano su quale fosse il candidato preferibile per prendere il posto di presidente dopo il colpo di stato. Gli effetti delle ingerenze nordamericane furono palpabili sin dalla fine di marzo 2014, quando il presidente ad interim Jazeniuk firmò un trattato per l’adesione all’Unione europea. Il cambio di governo a Kiev avvenne con una modalità fuori dalla costituzione ucraina. Si operò un voto per l’impeachment di Janukovyč, ma non si raggiunsero i due terzi del parlamento. Nonostante questo, si andò avanti. Dopo pochi mesi, ascese al potere Petro Porošenko, un grande imprenditore ucraino, che venne eletto primo ministro.
Che interessi economici ci sono dietro questo conflitto?
L’opinione pubblica non sa che una delle principali fonti di introito economico per l’Ucraina sono le royalties per il passaggio del gas attraverso il gasdotto Nord Stream 1, che dalla Russia arriva direttamente ai paesi dell’Europa occidentale. Questo flusso di gas non è stato interrotto dalla guerra, così come non è cessato il pagamento da parte dei paesi per il gas russo e le conseguenti royalties per il transito di questa materia sul suolo ucraino. Dopo l’esperienza dell’Urss, in questo paese c’è stata una progressiva liberalizzazione in tutti i settori dell’economia che ha portato alla svendita di grandi aziende statali, tutte quante accaparrate da oligarchi. Gli interessi economici in gioco sono enormi, ma a pagarne il prezzo è la popolazione civile.
Da dove nasce la figura di Viktor Zelenšky?
La sua popolarità è dovuta alla celebre serie tv ucraina “Servitore del popolo”, trasmessa fino a pochi mesi prima delle elezioni presidenziali. Il suo exploit elettorale è senza precedenti in un paese europeo, ma deve il suo successo a un oligarca, Ihor Kolomojs’kyj, che ha finanziato la sua casa di produzione televisiva e la sua campagna politica. Nelle serie televisiva, Zelenšky interpretava un professore di storia che, quasi un po’ per caso, si trovava ad essere presidente dell’Ucraina. Nel 2019, l’attuale presidente ucraino si presentò al pubblico come un paladino della lotta alla corruzione. Non fu un caso. Ci sono documenti che dimostrano come la Ue da mesi battesse particolarmente su questo tema, parlando di fenomeni di corruzione e malversazione nei confronti della pubblica amministrazione. Il voto a Zelenšky fu indirizzato anche per smorzare i tratti più marcatamente nazionalisti e neonazisti del nuovo regime instauratosi a Kiev, cercando di contenere il conflitto civile.
Che effetto ha sortito la sua elezione?
Zelenšky non diede seguito al suo programma. Procedette, come aveva fatto il suo predecessore Porošenko, sul terreno dell’incorporazione delle milizie neonaziste sia nell’esercito, sia nelle forze dell’ordine ucraine. Come sappiamo, queste forze continuarono a svolgere un ruolo di repressione del dissenso, inasprendo la retorica nazionalista e accanendosi sull’etnia russa in Donbass e Crimea. Zelenšky è asceso al potere come un leader populista, che si è presentato come paladino del cittadino comune. Aveva detto di voler combattere la corruzione, le élite e di voler portare la pace con i russi. Nella pratica, non ha intaccato di un metro il potere delle oligarchie in Ucraina e non ha fatto niente per allentare le tensioni con la Russia.
Che legami intercorrono tra Zelenšky e la famiglia Biden?
Il figlio del presidente, Hunter Biden, possiede una società di consulenza che fa affari in diversi paesi dell’Europa orientale. Il suo ruolo in Ucraina è stato un punto di attacco della campagna di Donald Trump nell’ultima corsa alla Casa Bianca. Questa vicenda si è conclusa con un nulla di fatto dal punto di vista giuridico. Quindi, non prenderei per oro colato ciò che ha diffuso la campagna trumpista. Resta però il fatto che il figlio di Biden ha avuto rapporti molto intensi con Porošenko e Zelenšky, entrambi fortemente compromessi con Washington. Dal canto suo, la Ue aveva garantito un miliardo e mezzo di finanziamenti al governo ucraino, di cui una gran parte con fondi non vincolati, che sono andati poi a rinforzare l’esercito. Il rapporto con gli Usa va oltre il figlio di Biden: sono moltissime le multinazionali che hanno aperto i loro battenti in Ucraina, soprattutto per lo sfruttamento dei ricchissimi giacimenti di materie prime.
Perché il Donbass è così importante nell’esplosione di questo conflitto?
In Ucraina, oltre un terzo della popolazione è madrelingua russo. Inoltre, circa il 90% parla e capisce questa lingua. Dopo il successo di “Euromaidan”, il collante del nuovo governo di Kiev divenne il nazionalismo antirusso. Tutta una parte del paese di lingua, cultura ed etnia russi si ribellò. Scoppiarono una serie di rivolte nella parte orientale e sud-orientale del paese, dove maggiormente era concentrata la componente russofona. Mariupol, nota in questi giorni per l’assedio che sta subendo, fu una delle città da cui si irradiò la sollevazione popolare dei sindacati e dei cittadini contro il colpo di stato. Di fatti, divenne uno dei centri della rivolta autonomista e, proprio per questo, lì fu più dura la repressione delle forze di Kiev. L’altro teatro della rivolta fu Odessa, città ucraina sita sul Mar Nero che, nel maggio 2014, visse l’episodio del massacro della Casa dei sindacati a opera di forze neonaziste, che erano giunte in città col pretesto di una partita della nazionale. A ridosso dell’incontro di calcio, queste squadracce armate assaltarono la sede dei sindacati e le diedero fuoco, massacrando decine di attivisti asserragliatisi all’interno. Ci furono poi, battaglie campali all’aeroporto di Donetsk e a Slov”jans’k. I rivoltosi del Donbass occuparono caserme e si armarono per contrastare la violenza dell’esercito regolare e delle formazioni paramilitari neonaziste.
Cosa fecero i paesi europei per frenare il conflitto?
Anziché utilizzare la diplomazia e riportare la calma, la Ue fomentò il governo di Kiev e lo spinse ancora di più alla guerra civile. Entrò in vigore la legge sulle lingue in Ucraina, paese che ha tantissime minoranze linguistiche, di cui la più grande è quella russa. Nel 2019, subito dopo il suo insediamento, Zelensky ha promulgato le legge sulla “difesa della lingua” voluta dal predecessore Porošenko. La legge stabilisce che l’unica lingua ufficiale di stato è l’ucraino, rendendola obbligatoria in moltissimi campi della vita politica, educativa e culturale del Paese e perfino nelle pubblicazioni a stampa. Si è trattato di fatto di un passo ulteriore nel processo di emarginazione della lingua e cultura russe, ampiamente diffuse nel Paese, iniziato con l’Euromaidan seguendo le parole d’ordine del nazionalismo ucraino. In definitiva, possiamo dire che i paesi occidentali hanno alimentato il conflitto civile sulla base di discriminazioni etniche e linguistiche, che invece a chiacchiere dicono di voler combattere a ogni costo.
Non ci furono tentativi di riportare la pace?
Nel 2015, venne stipulato il trattato di Minsk, che prevedeva una tregua per dividere l’Ucraina dalle regioni autonomiste del sudest, riconoscendo parzialmente le autoproclamate repubbliche filo-russe di Lugansk e Donetsk. Questo trattato impediva l’utilizzo di armi pesanti e mezzi corazzati e avrebbe dovuto portare al progressivo riconoscimento dei diritti di queste repubbliche tramite negoziati e, infine, libere elezioni. Questa tregua non ebbe mai seguito. Al contrario, prima con Porošenko poi, con Zelenšky, abbiamo assistito alla ripresa di una nuova ondata di bombardamenti e violenze. Gli U.S.A. si sono contraddistinti per aver dato al governo di Kiev forniture militari, armamenti e addestramento di personale poi, impiegati nel conflitto.
È vero che al Donbass è stato mosso un embargo da parte del governo di Kiev?
Sì, perché quella regione è la parte più industrializzata e ricca del paese, prospera di materie prime, carbone e minerali di ogni tipo, non completamente sfruttati. Attorno a quella regione, c’è un interesse evidente. Il governo di Kiev ha mosso un embargo a queste regioni che, prive di componentistica e manutenzione, ha reso inutilizzabili le strutture, aumentando la sofferenza delle popolazioni. Come dicevo, attorno all’energia e al gas si sta giocando una partita enorme.
Cosa intendi?
Uno degli elementi scatenanti di questo conflitto è la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, il cui obiettivo era di aggirare Ucraina e paesi baltici, ostili alla Russia, trasportando direttamente gas in Germania attraverso il Mar Baltico. L’Ucraina non usa gas russo, si fornisce all’estero e, fino a poco prima dello scoppio del conflitto, stava incominciando a fare uso delle proprie riserve naturali. Quel paese è ricco di metalli e risorse utili nella componentistica elettronica e nella catena di approvvigionamento energetico che, dopo due anni di pandemia, acquistano ancora più valore. È evidente che in Ucraina opera un partito antirusso che tenta di smarcare il paese dal punto di vista energetico anche per rinegoziare, da un punto di vista più vantaggioso, la necessità che ha la Russia di far arrivare il proprio gas in Europa.
Quindi, il controllo delle risorse è un obiettivo strategico di questa guerra?
Se non ci fosse stato il problema delle materie prime, non ci sarebbe un conflitto di queste proporzioni. Gli Usa hanno avuto un ruolo nell’imporre sanzioni alle società che formano il consorzio del Nord Stream 2, inizialmente costituita da diverse compagnie europee e attualmente costituita dalla sola Gazprom. La grande multinazionale russa aveva proposto condizioni favorevoli per l’acquisto del gas alla Ue, in particolare alla Germania. I partner europei sono venuti meno per pressioni statunitensi. Il gasdotto è pronto, ma è inutilizzato perché non sono mai arrivate le autorizzazioni ambientali. Purtroppo, il pubblico italiano non è a conoscenza di tutte queste cose. L’idea che si ha di piazza Maidan, è di un movimento per la democrazia che ora resiste a un’aggressione da parte di un altro paese. Si omette la realtà e non si dice che c’è un conflitto in corso dal 2013 e che Stati Uniti e Europa hanno inasprito la tensione, diffondendo notizie che non spiegano l’intervento russo. Dopodiché, ci tengo a ribadirlo, non è possibile stare dalla parte di Putin.
Perché?
In Russia c’è un’opposizione di sinistra, guidata dai partiti comunisti. In Donbass, c’era una situazione analoga, che è stata ridimensionata con lo scoppio del conflitto con l’ascesa di esponenti filoputiniani. La vecchia guardia della rivolta, assieme a chi ha costituito le milizie popolari, è stata messa da parte. Ricordiamo che Alksandr Zacharčenko, presidente della repubblica di Donetsk, venne fatto esplodere in un attentato nel 2018. Attualmente, si sono insediati a capo delle repubbliche autonomiste uomini fedeli a Mosca. Tutto il bombardamento mediatico che subiamo quotidianamente non ci aiuta a fare chiarezza su questi elementi e a capire cosa potremmo fare. L’atteggiamento manicheo – secondo il quale in Ucraina c’è il bene, in Russia c’è il male- non aiuta a comprendere gli interessi in campo e porta solo verso l’estensione del conflitto. Tra l’altro, non si capisce perché Italia, Germania e altri paesi, che inviano armi e soldi a Kiev, non entrino direttamente in guerra come paesi co-belligeranti comportandosi, di fatto, come se lo fossero.
Cosa ha rappresentato la Carovana antifascista in Donbass?
È un percorso di solidarietà e sostegno umanitario che venne promosso fin dal 2014 dalla Banda Bassotti, collettivo musicale. A questo percorso aderirono da subito una serie di realtà comuniste e militanti. Io vi presi parte come dirigente nazionale di Rifondazione Comunista e assistente dell’eurodeputata Eleonora Forenza. La Carovana si mobiltò nel senso della costruzione di viaggi ufficiali in Donbass con lo scopo di distribuire medicinali, generi di prima necessità, giocattoli per bambini alla popolazione civile. Dal 2014, infatti, c’è stato un embargo totale in quelle regioni. La Carovana visitò ospedali pediatrici, scuole, strutture civili e ha provato a dialogare politicamente con entrambi i governi delle repubbliche del Donbass, nonché coi partiti comunisti e di sinistra ivi presenti.
Che cosa avete appreso in quei viaggi?
In quelle regioni, dove si sono viste alcune delle battaglie più cruente della Seconda guerra mondiale, c’è una forte prevalenza russa. L’Urss ripopolò quelle zone devastate, in cui venne sterminata la popolazione civile dai nazisti, con genti russe e dell’estremo oriente asiatico. Anche per questa ragione lì persiste un forte sentimento antifascista, antinazista, socialista. Quando a Kiev ascese al potere un governo che faceva proprie le parole d’ordine del nazionalismo ucraino e dei collaboratori del nazismo, celebrando figure come quelle di Stephan Bandera, in quelle regioni si riaccese un forte sentimento antifascista. Le repubbliche popolari rimisero in piedi le statue di Lenin che i golpisti avevano abbattuto dopo l’EuroMaidan.
Ma le istituzioni europee non tennero conto della vostra iniziativa? L’unica parlamentare europea che si recò in Donbass fu Eleonora Forenza, dirigente di Rifondazione comunista ed esponente del Gue/Ngl, cioè di un gruppo di opposizione. Visitò nel 2017 la linea del fronte, parlò con gli sfollati e i parenti delle vittime. In quell’occasione, apprendemmo delle 14 mila vittime provocate dallo scoppio di questa guerra in Donbass. Dal punto di vista politico, ci rendemmo conto che la tregua di Minsk non aveva avuto alcuna efficacia. Nessuna delle persone con cui parlammo lì credeva possibile un riavvicinamento con Kiev, almeno fin quando vi fossero rimasti insediati i nazionalisti. Anche per questo, in molti già allora sostenevano l’intervento della Russia.
E quale fu la vostra posizione?
Noi sostenemmo l’applicazione degli accordi di Minsk, senza interventismi militari esterni e con la rigida applicazione degli accordi. Poiché accedemmo al Donbass dal confine russo, il governo Porošenko ci accusò di ingresso illecito in Ucraina e, in virtù delle leggi approvate, fummo accusati addirittura di terrorismo. Venne richiesta anche la nostra estradizione. Informammo tempestivamente la Farnesina che, data la natura umanitaria della nostra iniziativa, non diede seguito a queste richieste. Le radici di questo conflitto erano già allora visibili. L’Italia e la Ue hanno delle responsabilità enormi e hanno fatto di tutto affinché il conflitto deflagrasse. Negli ultimi tempi, l’Ucraina aveva ammassato sulla linea del fronte truppe militari molto consistenti. Già da un anno, si denunciava la presenza di truppe russe al confine. Tuttavia, il concentramento militare sul fronte ucraino non è stato oggetto di rimproveri. Anzi, giusto per aggiungere il carico da novanta, la Nato ha svolto le sue esercitazioni militari dalla Georgia al Mar Nero, passando per la Polonia e i paesi baltici, cioè ai confini russi. La Carovana antifascista è stata una forma di solidarietà che ha provato a costruire un dialogo che dovevano portare avanti le istituzioni.
Nel 2014, il Fatto Quotidiano rese nota la presenza di neofascisti italiani nelle milizie neonaziste ucraine. Cosa ne pensi?
Sappiamo che dall’Italia sono partiti militanti di Casapound e Forza Nuova, che sono andati ad addestrarsi all’interno di queste milizie. Bisogna sapere che la ricomposizione di forze eversive di estrema desta è un fenomeno mondiale, che riguarda Ucraina, Russia, Italia, Europa, Sud America, Stati Uniti (si pensi all’assalto al Campidoglio). Questo fenomeno ha radici lunghissime e fa parte della consunzione degli anticorpi antifascisti e antinazisti sviluppatisi con la Seconda Guerra mondiale. In particolare, in Europa Orientale esiste da tempo un connubio fra forze nazionaliste di estrema destra e neonazisti. La stessa cosa è accaduta anche in Russia: lì il nazionalismo è portatore di un’ideologia antiliberale, che vive la contrapposizione con l’Occidente non in chiave antifascista. Ungheria e Polonia sono governate da anni da forze di estrema destra, che hanno nei propri esecutivi esponenti di strutture e formazioni apertamente neonaziste. Questo dovrebbe preoccupare tutta l’Europa. I gruppi neofascisti italiani hanno pensato di andare a combattere in Ucraina per questi valori. Solo in Grecia è stato sciolto un gruppo, Alba dorata. Ma in Italia, nonostante i grandi proclami, come nel caso dell’assalto forzanovista alla Cgil, possiamo concludere che il neofascismo è ampiamente tollerato e, per certi versi, legalizzato.
Perché ci dovrebbe preoccupare questo fenomeno?
In Ucraina c’è stato un salto di qualità da parte della galassia neofascista. Ci sono neonazisti che sono armati fino ai denti e sono stati integrati nel sistema istituzionale e militare di uno stato non piccolo, che conta 45 milioni di abitanti. Un grande paese viene finanziato con miliardi in armamenti pesanti. Nelle ultime settimane di guerra, il capo del battaglione “Azov” è stato nominato eroe nazionale da Zelenšky, così come il capo del battaglione “Aidar” è stato nominato governatore di Odessa. Queste squadre armate hanno funto da grimaldello politico di consolidamento del consenso governativo. Inoltre, sono uno strumento di repressione delle opposizioni, sia dei partiti filorussi, sia dei partiti socialisti e comunisti.
Quindi, avrebbe ragione Putin nel dire di voler “denazificare” l’Ucraina?
Assolutamente, no. Putin non scatena questa guerra per sconfiggere i nazisti. La denazificazione è solo un argomento di propaganda. Tuttavia, il problema esiste. Se in Italia avessimo Forza Nuova a capo di una divisione dell’esercito, penso che saremmo tutti molto preoccupati. Se avessimo Pravj Sektor e Svoboda a fare ronde e ordine pubblico, avremmo un problema di repressione. Personalmente, non penso che il Donbass sia una bandiera senza macchia della resurrezione del socialismo, data anche la composizione molto eterogenea delle forze in campo. C’è però una vicenda molto complessa, all’interno della quale c’è anche uno sdoganamento del nazionalismo di destra e del neonazismo contro cui una parte della popolazione del Donbass si è sollevata. In questo, sono ancora più esecrabili i pronuciamenti dei governi europei, che dipingono il governo ucraino come tutore della libertà, della democrazia, eleggendolo a difensore dei valori occidentali.
Per concludere, secondo te si svilupperà una pacificazione o rischiamo una guerra aperta?
Siamo in mezzo a due tenaglie di propaganda micidiali. Da un lato, quella russa, che ci arriva in modo inferiore. Poi, c’è la propaganda atlantista, che sta offuscando molte delle ragioni del conflitto e non sta fornendo informazioni che rispondono alla realtà. In base a quanto affermano i nostri telegiornali, sembrerebbe che l’Ucraina stia sostanzialmente vincendo la guerra. Dato che la Russia sarebbe impantanata nell’avanzata, si starebbe abbandonando al terrorismo sulle popolazioni civili. Non penso sia così e non credo neppure alla versione del Ministero della difesa russo, che parla di decine di chilometri di avanzata al giorno. L’esito militare non è prevedibile. Quello che a me sembra di vedere, è una prevalenza sul campo della parte russa. Certo, non c’è stata una vittoria-lampo in pochi giorni, come qualcuno aveva paventato, ma c’è un’oggettiva avanzata. Tuttavia, non mi interessa l’aspetto prettamente militare. Mi auspico che prevalgano i negoziati, perché la necessità principale è il cessate il fuoco per consentire ai civili di ricevere aiuti umanitari o consentire loro di scappare.
Il governo italiano si sta operando per la ripresa di un dialogo fra le parti?
I negoziati vengono sabotati dall’atteggiamento che stanno avendo i paesi occidentali. In particolare, l’Italia si sta contraddistinguendo come la parte più violentemente antirussa. Il nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha dichiarato che Putin è “peggio di un animale”. Parole simili non hanno pari nelle dichiarazioni di altri leader europei. Queste cose sono degli ostacoli verso il dialogo. Le sanzioni alla Russia erano scontate, ma questo livello di isteria antirussa è andata oltre vicende politiche e militari, riversandosi sulla cultura, sullo sport (impendendo agli atleti delle paralimpiadi di partecipare alle competizioni internazionali), sulle persone comuni. E ha coinvolto anche chi, nel nostro Paese, provava a interrogarsi sulle reali ragioni del conflitto. Questo clima montante è un mezzo per allontanare il negoziato e far proseguire la guerra. Se dovessi valutare l’esito dei negoziati dall’atteggiamento dell’Occidente, con l’assenza di una proposta e l’invio massiccio di armi, temo che questo conflitto si possa solo prolungare. Alcuni circoli occidentali sostengono che la Russia possa impantanarsi in Ucraina con la guerra e le sanzioni. Quindi che sia poi costretta a ritirarsi, uscendo indebolita dal conflitto. Da osservatore che cerca di farsi largo nella propaganda, con il beneficio di alcuni elementi di memoria e di testimonianza diretta, temo conseguenze gravi per la popolazione ucraina e per la pace fra i popoli.
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ALCUNE FONTI E LINK DI RIFERIMENTO:
Conversazione tra Pyatt e Nuland: https://www.youtube.com/watch?v=WV9J6sxCs5k
Dati OCSE sulle vittime in Donbass: https://www.osce.org/files/f/documents/f/b/469734.pdf
Gasdotti Nord Stream 1 e 2: https://www.youtube.com/watch?v=FPlpA9OalpQ