Le disobbedienti/Artemisia Gentileschi tra i colori delle stelle: la pittrice che inventò per sé la via della libertà

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Questa è la prima recensione, da quando è nata la rubrica #ledisobbedienti, che dedico a un libro in cui si racconta di una donna che ha compiuto scelte contro corrente ad esser scritto da un uomo. E si nota. La differenza c’è ed è interessante.
La protagonista non è soggetto facile da affrontare, Raffaele Messina con “Artemisia Gentileschi e i colori delle stelle” da poco in libreria per Colonnese editore, si cimenta con una donna che fu ricca di talento, coraggio e determinazione, una donna dalla personalità strutturata e complessa.
Nelle note l’autore precisa che non ha inteso scrivere una biografia romanzata né un saggio ma un romanzo e come tale lo leggiamo. Il libro è costruito in due parti dedicate a momenti differenti della vita della protagonista: quello della giovinezza – trascorso a Roma presso la casa paterna – e quello della maturità speso a Napoli.
A segnare la diversità dei due atti non vi è solo la distanza temporale e quella geografica ma anche il registro linguistico scelto dall’autore: da trivio, salace e volgare per la prima, più stemperato per la seconda. Una scelta che denota attenzione per la ricostruzione dell’ambientazione, delle suggestioni di un’atmosfera e per la definizione caratteriale dei personaggi.
La prima parte del testo riguarda i tragici fatti legati allo stupro che Artemisia subì da un pittore che frequentava la bottega del padre Orazio. Messina ricostruisce gli avvenimenti riportando frammenti del processo in cui la vittima, sì la vittima, venne sottoposta alla tortura della sibilla – cordicelle fissate intorno alle dita che venivano via via strette sempre più – affinché confermasse la sua versione accusatoria o la ritrattasse.
Il particolare non è da trascurare poiché secondo alcuni biografi la scelta cadde su questo tipo di tortura al fine di colpire Artemisia per l’ardire – una donna che pensava di diventare pittrice in un mondo di pittori andava ridimensionata, giammai avrebbe dovuto far carriera – attraverso una menomazione delle mani, strumento del suo talento di pittrice, per altri la scelta del supplizio fu compiuta considerando quale potesse essere, tra le tante, quella più sopportabile e meno grave. Sia come sia Messina la tortura la rende con vivide pennellate mostrando la scena, la sofferenza fisica e psicologica della giovane Artemisia giungono fino al lettore/ice.
Il processo che vide coinvolta la giovane pittrice fece rumore e gli atti conservati sono utili per comprendere l’andamento reso incalzante e coinvolgente dalle pagine del romanzo che ne trae spunto e materia per descrivere stati d’animo e pensieri dei protagonisti.
La seconda parte del testo si concentra sugli anni in cui Artemisia Gentileschi visse a Napoli dipingendo opere divenute famose. La descrizione dei luoghi, del modo di abbigliarsi, degli usi e della lingua ci accompagnano in una città barocca durante il Vicereame spagnolo, una città agitata da moti di popolo e attraversata da fame, miseria e splendore.
Da un lato la rozza violenza di una umanità degradata confinata nei vicoli maleodoranti e dall’altra le bellezze paesaggistiche di un golfo famoso nel mondo. Una città in cui le scuole pittoriche danno vita a opere di grande bellezza, è l’epoca di Bernardo Cavallino, Salvator Rosa, Jusepe de Ribera conosciuto con il soprannome “lo spagnoletto” per la sua nazionalità, di Massimo Stanzione e della sua allieva figlia d’arte Diana De Rosa conosciuta come Annella di Massimo.
Messina è interessato al Seicento napoletano, epoca ricca di storie, cui dedica questo nuovo lavoro dopo i due precedenti. Nelle pagine della seconda parte del testo si trovano le considerazioni di una donna e un’artista che, avendo superato i cinquant’anni, inizia a far bilanci della propria vita.
Artemisia, consapevole di vivere in un modello sociale che opprime le donne, crea la propria via per la libertà, si afferma nel mondo dell’arte, guadagna e vive del suo lavoro e dopo esser stata maritata dal padre, con un collega privo del suo talento e della sua bravura, decide di scegliere per sé e non condannarsi a una vita senza amore.
Dal padre ereditò l’attenzione per l’invenzione del genio di Caravaggio – il magistrale uso della luce – e direttamente da quest’ultimo apprese la rivoluzionaria scelta di rappresentare le umane passioni senza censurarne la profondità.
Le sue tele di Giuditta e Oloferne hanno una potenza evocativa che cattura lo sguardo e il cuore, esprimono la rabbia di chi ha subito una violenza ma rifiuta il ruolo di vittima, sono una dichiarazione d’intenti. Il suo stile elaborato, pregno della lezione caravaggesca e della tecnica appresa dal padre, salta dalla pagina alla tela e nella mostra “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta”, allestita a Palazzo Barberini fino a pochi giorni fa, si poteva cogliere, vedere, quanto le parole di Messina raccontano.
Ventinove tele interpretano lo stesso soggetto ma, tra queste, spiccano per la vis interpretativa quella dipinta da Caravaggio e un’altra che inchioda lo spettatore, quella dipinta da Artemisia. Entrambe contengono ritratti di modelli significativi. Nella prima le fattezze della Giuditta sono quelle di Maddalena Antognetti, cortigiana legata al pittore da funeste e intricate vicende mentre, nella seconda, il volto feroce cui la pittrice indirizza i sentimenti di violenza, vendetta e rabbia è quello del suo stupratore Agostino Tassi, Artemisia con il sangue che buca la tela lava l’onta subita e dà sfogo alla propria rabbia. Una forza vibrante che il tratto iconografico restituisce intatto a distanza di secoli, la stessa forza che l’autore ha voluto trasporre nelle pagine.
Artemisia fu donna dal carattere coraggioso e il talento straordinario ma non fu un unicum, non fu la sola donna artista del suo tempo. A raggiungere la fama prima di lei furono la pittrice Sofonisba Anguissola (1532 (?) – 1625) apprezzata da Michelangelo e citata da Vasari nelle “Vite”, l’architettrice e pittrice Plautilla Bricci (1616 – 1705) considerata alla stregua di Lorenzo Bernini e la pittrice Giovanna Garzoni (1600-1670).
Nel periodo in cui si volge il romanzo – siamo tra la Controriforma e il Barocco – il ruolo della donna subisce dei cambiamenti nello schema sociale, il talento diventa professione riconosciuta e oltre la possibilità della formazione in bottega si aprono le porte delle accademie, Artemisia fu ammessa a quella delle Arti del disegno di Firenze mentre Plautilla Bricci partecipò agli incontri dell’accademia di San Luca.
Alle donne, ancora per lungo tempo, fu precluso lo studio dell’anatomia umana con l’osservazione dal vero del nudo ma, rispetto a quel che fu il secolo successivo, il Seicento si caratterizzò per l’apertura verso un nuovo modello femminile, si affermava una donna dotata di carattere e intraprendenza.
Nel 1633 Francesco Pona scriveva “La galleria delle donne celebri” mentre in Francia si animava il dibattito chiamato “querelles des femmes”. Jacques du Bosc in “Les femmes heroiques” andava oltre il modello femminile rinascimentale così come proposto anche da Marie de Gournay e Madeleine de Scudery che guardavano al temperamento di donne forti come Elisabetta I, Maria de’ Medici e Anna d’Austria.
A questo punto la domanda è: cosa, tra le righe del romanzo di Messina, lascia trapelare un punto di vista maschile? «Massimo [Stanzione] la incitò a procedere oltre, verso la sagrestia, ma Artemisia non voleva perdere per nulla al mondo quell’occasione unica di ammirare i capolavori che vi erano raccolti. Scaltra come tutte le donne che sanno ciò che vogliono, gli diede da parlare per rallentarne il passo». La ricchezza che regala la lettura di un libro è lo sguardo personale che l’autore/ice imprime e – non v’è dubbio – che Messina abbia un suo stile.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Raffaele Messina
Artemisia e i colori delle stelle
Colonnese editore
Pagine 165
euro 15

L’AUTORE
Raffaele Messina è docente e narratore. Dottore di ricerca in italianistica ed esperto di didattica della letteratura è autore di saggi storico-letterari e manuali scolastici. Collabora con la rivista “l’Espresso napoletano” e con “il Quotidiano del Sud”. In narrativa ha esordito con il romanzo “Ritrovarsi” (Guida editori, 2018) cui hanno fatto seguito il racconto “La bottega di Caravaggio” edito da Colonnese nel 2019 e le raccolte “Con la coda dell’occhio” (Homo scrivens” e “Masaniello innamorato e altri racconti” (Colonnese).

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