Chi non ha memoria, non ha futuro. Questo è il senso del motto: “Venturi aevi non immemor” che campeggia nel palazzo Serra di Cassano a Napoli. Questo edificio nobiliare oggi ospita la prestigiosa sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, grazie al volere di uno dei più grandi e compianti intellettuali della nostra terra, Gerardo Marotta. Ma perché è necessario conoscere cos’è accaduto nel passato? Come ci ricorda Nicoletta Mazzone, dalle righe vergate per il “Nuovo Monitore Napoletano”:
«Fare e ripensare la storia, come insegnano Benedetto Croce e Antonio Gramsci, è un’attività fondamentale per imparare a discernere quanto del nostro passato è rimasto irrisolto e, di conseguenza, comprendere le dinamiche della propria contemporaneità e risolvere le sue contraddizioni, il che equivale a redimere le sue ingiustizie. Coloro i quali utilizzano il sopruso e la mistificazione hanno il loro unico obiettivo nel perpetrare il giogo che rende Napoli una terra dove valori come onore, lealtà e coerenza continuino ad essere sostituti dall’orrore e dalla miseria. Al di fuori dello studio, della massima divulgazione delle vite e delle opere del Martiri della Libertà non esiste alcuno strumento che, attraverso la formazione di una critica coscienza storica, possa formare quel legame con il passato che, solo, riesce a fare di ognuno di noi un degno successore dei nostri predecessori ed un rispettabile antenato morale per le nuove generazioni.»[1]
Il motto dell’antica casata dei Serra di Cassano, “Venturi aevi non immemor” (letteralmente: “pensiamo alle generazioni del tempo che verrà”), contiene un prezioso insegnamento. Infatti, cela la storia di una famiglia di nobili che preferì scelte difficili a scelte di comodo che avrebbero consentito di conservare titoli, patrimoni, benessere, serenità.
Al contrario, la vicenda rivoluzionaria alla quale aderirono li segnò duramente. E la storia di Gennaro Serra di Cassano, giovane rampollo della casata, che aderì agli ideali rivoluzionari giacobini e fu tra i principali artefici della Repubblica Napoletana del 1799, risulta emblematica.
Gennaro Maria Ignazio Francesco Serra nacque a Portici, il 30 settembre 1772, nella villa di famiglia, posta nella zona di Bellavista, ancor oggi detta Cassano. Figlio secondogenito del duca di Cassano, Luigi Serra, e di donna Giulia Carafa dei principi della Roccella, insieme al fratello Giuseppe, marchese di Trevi, venne inviato da giovanissimo a studiare nel collegio di Sorèze, in Francia. In quegli anni, si produssero gli eventi che sfociarono nella Rivoluzione francese (1789) e la proclamazione della Repubblica (1792), alla quale seguirono il ghigliottinamento di re Luigi XVI e della regina Maria Antonietta.
Il giovane Gennaro Serra entrò in contatto con le idee della rivoluzione. Affascinato dei concetti di democrazia, uguaglianza e libertà, frequentò i primi club illuministici di ispirazione progressista. Compiuti gli studi, poco dopo il suo ritorno a Napoli, prese parte attiva insieme al fratello Giuseppe ai circoli giacobini che si diffondevano in città in quegli anni.
Frequentò la Società patriottica napoletana, la cui direzione venne affidata a Carlo Lauberg, organizzazione cospirativa che annoverava al proprio interno intellettuali, ma anche nobili e borghesi animati dal desiderio di trasformare radicalmente la società in senso rivoluzionario e di abbattere il regime borbonico.
Tra gli allievi prediletti di Lauberg, un frate scolopio nativo di Teano, insegnante di chimica presso il Collegio militare della Nunziatella e già fondatore dell’Accademia di Chimica (altra società cospirativa), figurarono i pugliesi Ignazio Ciaia ed Emanuele De Deo (uno dei primi patrioti condannati al patibolo dai Borbone), nonché nobili come il conte di Ruvo Ettore Carafa e, appunto, il duca Gennaro Serra di Cassano. Quest’ultimo, venne arrestato nel 1795 e rilasciato solo tre anni dopo, nel 1798.
Il re Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d’Austria, sorella di Maria Antonietta, al principio del loro regno ebbero un atteggiamento riformistico. Attirarono a corte una serie di intellettuali e favorirono le arti, ma a seguito degli episodi rivoluzionari in corso in Francia, scatenarono una feroce politica repressiva di tutti i circoli illuministici e le idee liberali. Anche gli intellettuali che gravitavano nella corte reale, fra cui spiccavano giovani rampolli della nobiltà e della borghesia colta cittadina, vennero investiti da provvedimenti di censura e restrizione.
Con la discesa in Italia delle armate napoleoniche (1796-97), giunte fino a Roma, Ferdinando IV provò ad ergersi a paladino dell’assolutismo e della cristianità, nel mentre nella Penisola fiorivano Repubbliche ispirate agli ideali della rivoluzione francese, unite dal comune anelito di un’unità nazionale.
Il Borbone inviò un’armata a Roma, che venne armata svuotando tutte le casse del regno, ma le sue truppe, dirette dal feldmaresciallo austriaco Karl Mack, sicuramente superiori in numero ma peggio armate e organizzate, vennero sbaragliate nella battaglia di Civita Castellana (5 dicembre 1798) dall’esercito francese, guidato da Generale Jean Ètienne Championnet, che decise per una controffensiva diretta verso Napoli. Nel giro di un mese, l’esercito borbonico riuscì a prendere Roma, a perderla e a trascinarsi dietro le truppe napoleoniche.
Il re fuggì vilmente da Napoli, prosciugando completamente le casse del Banco Nazionale. Si imbarcò segretamente, il 21 dicembre 1798, sulla nave da guerra Vanguard dell’ammiraglio Horatio Nelson, salpando alla volta di Palermo.
La città rimase in preda all’anarchia dei lazzari, il sottoproletariato dell’epoca, che si sentirono traditi dal re, ma si dissero disposti a combattere l’esercito francese ormai alle porte della capitale del regno. Vennero assaltati e saccheggiati palazzo Filomarino e altri prestigiosi edifici nobiliari, si susseguirono scene di giustizia sommaria e regolamenti di conti. I lazzari temevano che i francesi si impossessassero della città e la spogliassero dalle sue ricchezze, lasciandosi andare alla violenza.
Nel frattempo, un gruppo di giacobini napoletani, le cui file si erano nutrite nel tempo della migliore intellighenzia dell’epoca, tra cui Eleonora Pimentel Fonseca, riuscì ad impadronirsi di Castel Sant’Elmo, principale roccaforte cittadina.
Il 21 gennaio 1799, gli insorti proclamarono la Repubblica Napoletana sotto la protezione della Francia, inastando sul bastione la bandiera turchina, gialla e rossa e piantando un albero della libertà nella piazza d’armi del castello.
Championnet riuscì a vincere la resistenza dei lazzari, si incontrò col governo provvisorio, guidato da Carlo Lauberg, riconobbe il valore dei lazzari in combattimento, ma anche dei patrioti che si erano impossessati di Castel Sant’Elmo, proclamando da soli la repubblica.
Gennaro Serra, legato da una profonda amicizia a Eleonora Pimentel Fonseca, divenne un ufficiale della Guardia Nazionale con il compito di costruire un reparto di cavalleria nel nascente esercito popolare che avrebbe dovuto difendere la neonata repubblica. Dopo pochi mesi, però, quell’esperienza venne soffocata dalla violenza delle armate sanfediste.
La marmaglia capitanata dai banditi Mammone e Fra’ Diavolo, famosi per compiere atti di cannibalismo e altre atrocità verso i nemici sconfitti, venne organizzata e diretta dal Cardinale Fabrizio Ruffo. Esso fu il braccio armato delle brame di potere di Ferdinando IV Borbone, sostenuto dall’Inghilterra, dalla Turchia e dalla Russia. Nel momento in cui le orde sanfediste sferrarono l’ultimo attacco alla capitale, Gennaro Serra fu valorosamente alla testa degli ultimi patrioti che si batterono fino all’ultimo per tentare un’ultima resistenza repubblicana al presidio di Capodimonte.
Una volta entrato in città, Ruffo concesse l’onore d’armi agli ultimi resistenti, impegnandosi a farli espatriare. Le sue promesse vennero però tradite dal rientro di Ferdinando IV che, scortato dalla flotta dell’ammiraglio Nelson, fece imprigionare e processare i rivoluzionari napoletani, attuando una spietata restaurazione nei mesi successivi e ma
ndando le migliori menti di Napoli e del Mezzogiorno al patibolo.
Dopo l’inevitabile capitolazione, seguita all’entrata dei sanfedisti in Napoli, Gennaro Serra fu costretto a riparare in un castello della città. Nel tentativo di fuga, venne riconosciuto dalla folla, aggredito e selvaggiamente picchiato. Venne nuovamente arrestato e incarcerato.
Il 20 agosto 1799, all’età di appena 26 anni, salì al patibolo costruito a piazza Mercato. Non gli vennero riconosciuti i privilegi dati ai nobili condannati. Davanti a una folla delirante, che attendeva eccitata le nuove esecuzioni dei rivoluzionari, la leggenda vuole che, prima della decapitazione, abbia pronunciato al boia queste ultime parole: «… ho sempre lottato per il loro bene ed ora li vedo festeggiare la mia morte».
Il padre di Gennaro, il duca Luigi Serra di Cassano, che aveva ospitato nella propria abitazione il quartier generale dei giacobini napoletani, tentò di intercedere col re per una grazia al figlio.
Al rifiuto del Borbone, eseguita la pena capitale, Il duca Serra di Cassano decise di sbarrare per sempre l’ingresso principale del suo palazzo: «chiudendo in faccia al tiranno il portone della sua dimora, tutt’oggi simbolo di quella repubblica di intellettuali che nei loro salotti dagli specchi dorati avevano sognato un mondo migliore»[2]. Dall’omicidio del figlio, il varco di via Egiziaca a Pizzofalcone rimase per sempre sbarrato in faccia al palazzo reale, mantenendo aperto soltanto l’accesso di via Monte di Dio.
I Borbone condannarono a morte la meglio gioventù napoletana. Oltre ad Eleonora Pimentel Fonseca e Gennaro Serra di Cassano, andarono al patibolo giuristi famosi, nobildonne, brillanti medici, scienziati di fama internazionale, come Mario Pagano, Luigia Sanfelice, Iganzio Ciaia, Giuliano Colonna, Vincenzo Lupo, il vescovo Natale, il sacerdote Nicola Pacifico, Antonio e Domenico Piatti, Domenico Cirillo, l’ammiraglio Francesco Caracciolo e tanti altri.
Nel 1983, il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali acquisì al patrimonio dello Stato il settecentesco Palazzo Serra di Cassano e lo destinò all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Un insieme architettonico fra i più notevoli del pur ricco patrimonio storico napoletano venne così recuperato a un’altissima funzione culturale.
Fu Gerardo Marotta, presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, a far riaprire il portone di Palazzo Serra di Cassano con una solenne cerimonia tenutasi il 10 settembre 1999, a duecento anni dalla rivoluzione che proclamò la Repubblica Napoletana.
A quell’evento, cui presenziarono l’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, le più alte cariche civili, gli intellettuali del Mezzogiorno, risuonarono le note dell’inno dei patrioti napoletani, scritto da Domenico Cimarosa: «Bell’Italia, ormai ti desta! Italiani, all’armi! All’armi! Altra sorte a noi non resta che di vincer o morir/ Dalla terra dei delitti mosse il passo il fuoco audace e nel sen di nostra pace venne l’empio ad infierir».
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ALCUNE FONTI E LINK CONSULTABILI:
Antonella Orefice, Eleonora Pimentel Fonseca – L’eroina della Repubblica napoletana del 1799, Salerno Editrice, 2019.
http://www.repubblicanapoletana.it/licap4.htm
http://www.repubblicanapoletana.it/gennaroserra.htm
https://www.iisf.it/index.php/istituto/palazzo-serra-di-cassano.html
http://www.lospeakerscorner.eu/porticesi-famosi-gennaro-serra-di-cassano/
https://www.ritacharbonnier.it/2014/06/napoli-il-palazzo-serra-di-cassano/
http://www.nobili-napoletani.it/Serra.htm
https://cosedinapoli.com/chiese-e-monumenti/palazzo-serra-di-cassano/ https://fondoambiente.it/luoghi/istituto-italiano-per-gli-studi-filosofici-a-palazzo-serra-di-cassano
https://www.touringclub.it/evento/i-luoghi-della-repubblica-napoletana-99
[1] http://www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1260:distrutta-la-lapide-in-onore-di-gennaro-serra-di-cassano&catid=64:articoli-sul-1799&Itemid=28
[2] Antonella Orefice, Eleonora Pimentel Fonseca – L’eroina della Repubblica napoletana del 1799, Salerno Editrice, pg. 220.