«No all’immigrazione»! Così, pochi giorni fa, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, salutava il comizio del partito reazionario gemello “Vox” in Andalusia. Eppure, ciò che tanti populisti di estrema destra del nostro tempo volutamente rimuovono è che la storia dell’umanità è fatta di grandi migrazioni, dovute a fattori economico-sociali, alle guerre, all’aspettativa di una vita migliore.
Perché, dunque, così tante donne e uomini sono costretti a lasciarsi tutto alle spalle e viaggiare soli verso un paese sconosciuto, un luogo senza famiglia né amici, dove ogni cosa è anonima e il futuro un’incognita?
Ci risponde la lettura della bellissima graphic novel L’approdo di Shaun Tan, eclettico illustratore e scrittore australiano, che rammenta le dimensioni bibliche dei flussi migratori dall’Europa ai continenti Oltreoceano fra il XIX e il XX secolo. L’opera venne pubblicata nel 2006 e giunse in Italia nel 2008.
Già sfogliando la prima pagina, si possono osservare le miniature illustrate di decine di volti del passato, elaborati da vecchie fotografie, che nella loro apparente staticità raccontano con occhi vivi la propria esperienza. Proprio come in una fiaba, l’opera risucchia il lettore all’interno della vita di un uomo povero, costretto a separarsi dalla moglie e dalla propria figlioletta, cercando un lavoro in una sorta di terra promessa, incarnata per lungo tempo dagli Stati Uniti d’America.
Tan, artista figlio di malesi immigrati in Australia negli anni Sessanta del Novecento, è capace di restituire la cruda dimensione della separazione dagli affetti per intraprendere un lungo viaggio, raccontando l’attesa timorosa di centinaia, migliaia, milioni di persone stipate come topi nei convogli di treni o nelle stive di terza e quarta classe delle navi con altri esseri umani, riuniti dalla medesima disperata ricerca di un futuro migliore dalla miseria quotidiana. Un futuro migliore che impatta con la spietata dimensione di Ellis Island, isolotto nella Baia di New York, da dove sono transitati tra il 1892 e il 1954 circa 12 milioni di immigrati, classificati per genere, razza, classe, patologie e disturbi psicologici.
Il silent book di Tan, privo di parole, trabocca di suoni e conversazioni in lingue sconosciute, che affratellano oppressi provenienti dai più remoti angoli del globo in un’immaginifica megalopoli industriale, che fagocita la forza lavoro immigrata nei lavori più umili e degradanti.

In alto, un’illustrazione di Shaun Tan. Sopra: la copertina dell’opera

Il racconto che si dipana nelle pagine passa in rassegna tutto il calvario che un qualsiasi immigrato povero ha dovuto patire nella ricerca del proprio “american dream”. Il titolo stesso -in lingua originale: The arrival– lascia intuire questa aspettativa messianica seguita a un’Odissea di peripezie e pericoli, che segna in realtà il punto di inizio di un grande senso di alienazione e solitudine.
Tuttavia, a riparare il profondo senso di smarrimento, cui il protagonista reagisce con intraprendenza, soggiungono la solidarietà di altri oppressi, ciascuno con alle spalle storie difficili da digerire, in cui si alternano la violenza della guerra all’avanzata dei movimenti fascisti.
Accompagnato nelle sue peripezie da un cagnolino fantasmatico, sorta di animale totemico che protegge il viaggiatore, il protagonista vive dunque una quotidianità fatta di sfruttamento, ma anche di intensa umanità.
Questo dialogo, fatto di gesti semplici che scaldano il cuore, determina una koinè di solidarietà e fratellanza, fatta di frammenti di vetro colorati trasportati dall’Oceano, che consentono al protagonista di fronteggiare numerosi ostacoli e ricongiungersi, infine, coi propri cari.
Le illustrazioni, composte con l’incrocio di diverse tecniche artistiche, dalla matita di grafite alle tempere, dai colori acrilici agli olii e ai pastelli, risultano autentiche non solo perché ispirate da anni di ricerca in fondi archivistici, ma infinitamente dettagliati e originali, grazie alle pagine anticate, chiazzate e all’effetto di cuoio rovinato.
La storia dell’esperienza del migrante, delineata con amore e resa magistralmente da Shaun Tan, diviene così una sorta di documentario magicamente raccontato tramite il Surrealismo. Non a caso, l’opera, tra i tanti riconoscimenti, ha ricevuto una Menzione speciale alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna nel 2007 e il Fauve d’or come miglior libro al Festival d’Angolême nel 2008. Tan ha poi vinto numerosi altri premi per le sue opere e ha ricevuto anche un Premio Oscar, nel 2011, per il miglior cortometraggio di animazione col suo Oggetti smarriti, consacrandolo come un innovativo sperimentatore di tecniche e stili differenti.
Tornando a L’approdo, questa graphic novel senza parole, ancora di una grandissima attualità, è la storia di ogni migrante, ogni rifugiato, ogni apolide, nonché un tributo a tutti coloro che si sono messi in viaggio, senza arrendersi, per un domani migliore in cui abolire chiusure, frontiere e confini.
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