Una battaglia per gli investimenti in sanità e salute pubblica. Il 29 e il 30 settembre si è tenuto il primo Congresso provinciale di Medicina democratica, che ha dato vita a due giornate dense di partecipazione e interventi.
Nella sede dell’Unione sindacale di base, che ha ospitato l’evento, sono andati al confronto medici, ricercatori, giuristi, operai, cittadini. L’organizzazione, sorta storicamente per occuparsi della salute nei luoghi di lavoro, ha dibattuto a fondo anche della questione ambientale e della crisi dell’ospedalità in Campania. Tra gruppi di lavoro tematici e assemblee plenarie, ne è scaturito un nuovo gruppo dirigente che avrà il compito di intensificare il lavoro dell’associazione.
Abbiamo seguito il dibattito e raccolto a margine alcune battute dal presidente della sezione napoletana di Medicina Democratica, Paolo Fierro, e da un dirigente medico, Simona Grassi.
Ci fai un riassunto di questo congresso provinciale, spiegandone l’importanza?
Fierro: Il congresso è stato molto partecipato. Questo è un bel riconoscimento per il lavoro fatto in più di dieci anni. Vedere questa sala piena ci incoraggia ad insistere in questa direzione. Medicina Democratica non è una scelta facile, né per i medici, né per gli attivisti, perché abbiamo sempre coniugato la lotta per la salute anche dal punto di vista scientifico coi problemi sociali, spesso stridenti che si intrecciano coi problemi ambientali. Abbiamo visto in che drammatica situazione versano alcuni territori: Salerno, la zona orientale di Napoli o Bagnoli. Abbiamo avuto una sessione tematica che ha riguardato l’amianto, discutendone con operai della Montefibre, dell’Italsider, raccogliendo testimoniantze di persone che sono state nel problema. Questo perché, come approccio, andiamo nel vivo delle situazioni e nelle sofferenze che vive la nostra popolazione.
Quanto impatta il tema dell’ambiente sulla salute della popolazione?
Fierro: Siamo a un punto di crisi. A livello nazionale, c’è un problema politico serio nella gestione dei rifiuti e nel traffico di sostanze nocive. Addirittura, trovammo documenti che testimoniavano la presenza di terreni che provenivano dall’Icmesa (Industria chimica del Nord Italia in cui si verificò un disastro ambientale ndr) nella nostra discarica di Pianura. Questa è la Campania, che era stata concepita come un territorio da abbandonare a da utilizzare come pattumiera. Ancora adesso ci sono delle criticità di una gravità inaudita.
Ti riferisci alla proposta d’impiantare un sito di gas naturale liquefatto (gnl) nella zona orientale di Napoli?
Fierro: Sì, questa è una scelta criminale, che si potrebbe trasformare in una bomba catastrofica. Non è vero che alla base di questi siti c’è una tecnologia sicura. Le statistiche dimostrano che ci sono già stati 74 incidenti più o meno gravi con morti, però sempre in zone isolate e lontane dalle aree urbane. Adesso, vogliono impiantare un sito del genere nel cuore di Napoli. Se scoppia il gnl a San Giovanni a Teduccio, scoppia tutta la città. Ripeto: è un progetto criminale, che viene sempre più incoraggiato, anzi, imposto agli abitanti, visto che, con la scusa della guerra, i rigassificatori vengono ritenuti l’unica via d’uscita dalla crisi energetica. Sembra quasi che chi è contro l’impianto di Vigliena sia filo-Putin. Invece, ci dobbiamo sempre rapportare alla salute e al benessere della popolazione e delle future generazioni, domandandoci che mondo lasceremo loro.
Nelle statistiche dell’Unione Europea, l’Italia è uno dei paesi col più alto numero di incidenti e morti sui luoghi di lavoro. Quanto è attuale questo tema nelle battaglie di Medicina democratica?
Fierro: Al nostro congresso, tra gli altri, hanno partecipato gli operai della Montefibre. Medicina Democratica è nata negli anni ’70, quando un pezzo d’università uscì dall’accademia e andò a incontrare il mondo delle fabbriche. Questa nuova scienza, l’epidemiologia, avvalendosi della statistica medica, ebbe una spinta vitale potentissima proprio sullo studio dell’impatto della nocività. Con le varie crisi -e questa in particolare- siamo riusciti a dimostrare che l’obiettivo della classe imprenditoriale nostrana è di risparmiare sulla sicurezza del lavoro e sull’impiantistica per cumulare profitti. In due anni, si sono verificati 21mila incidenti sui luoghi di lavoro con oltre 350 deceduti. È una guerra. Le domande che poniamo sono: che strumenti legislativi si mettono in campo per frenare questa strage? Che agenda politica hanno le forze governative in proposito? La politica parla solo d’imprese e famiglie. Non parla mai di lavoratori, dei territori inquinati, di salute e di sanità. Al massimo, lo fa solo quando gli cascano addosso i problemi, come la pandemia, che è già un terreno di retroguardia.
In campagna elettorale, Giorgia Meloni ha dichiarato che avrebbe rimosso tutti gli obblighi riguardanti la diffusione del contagio di varianti del Covid, come, per esempio, l’indossare le mascherine… Fierro: La destra ha sempre avuto un atteggiamento antiscientifico che attiene a una certa demagogia, che parla sempre all’istinto della gente. Noi, invece, abbiamo il dovere di far ragionare la gente. I vaccini sono nati qui in Campania. I Borbone ebbero l’illuminazione di sperimentare il vaccino contro il vaiolo, che per l’epoca fu una cosa innovativa. Dimostrarono l’efficacia della scienza su un terreno sì sperimentale, ma d’avanguardia. La storia della medicina e dell’umanità sarebbero state ben diverse senza vaccini. Altro discorso è il controllo su big pharma, sulla ricerca e la gestione reale della pandemia in termini che non si lascino influenzare dalla speculazione economica. Questo è un aspetto del problema. Ma circa la validità dei vaccini, è assurdo proporre la loro negazione. Un altro impegno solenne preso in campagna elettorale dalla destra è il ricreare una sanità fatta solo di ospedali e medici di base. Vuol dire, riproporre il vuoto in mezzo. Finora, abbiamo avuto proprio questa situazione. Sono totalmente mancate la prevenzione, le strutture intermedie, la capacità di filtrare le patologie prima che arrivino in ospedale. Questa visione è assente nella loro mentalità. È questo il futuro che ci aspetta. Noi chiaramente ci batteremo contro.
Qual è lo stato dell’arte della Sanità pubblica in Campania, dopo quasi tre anni di pandemia?
Grassi: La Sanità in Campania esce da 20 anni di tagli e 10 anni di commissariamento. L’analisi dei LEA (livelli essenziali di assistenza) ci dice che la Campania risulta inadempiente sia sul fronte della sanità ospedaliera, sia su quella territoriale. Quest’ultima dovrebbe essere ri-strutturata, ma la sua riorganizzazione stenta a partire. Lo stesso De Luca ha presentato il problema alla conferenza Stato-Regioni, dicendo che non abbiamo sufficienti risorse per aprire le strutture che servirebbero, ossia le case della Salute e gli Ospedali di Comunità. Questa carenza territoriale aumenta a dismisura il carico di lavoro degli ospedali.
Cosa impedisce l’accesso alle cure? Grassi: Ci sono molti problemi. Per quello che riguarda gli ospedali, il primo e più banale è che abbiamo perso negli ultimi anni ben due pronto soccorso solo nel territorio della Napoli 1 (Il Loreto Mare e il San Giovanni Bosco). Questo in una città che aveva già perso precedentemente altri presidi ospedalieri e in cui appunto la sanità territoriale è carente. I piani Regionali prevedono più porte di accesso alla rete dell’emergenza di quante non ce ne siano attualmente, senza contare il famoso pronto soccorso del Policlinico, che sembra in procinto di aprire da mesi ma che ancora tarda a diventare realtà. Abbiamo poi il problema della carenza delle strutture ambulatoriali, con liste di attesa lunghissime. Le statistiche ufficiali ci dicono che i tempi di attesa per una visita sono di 60 giorni in media (per alcune prestazioni anche 100 giorni). Quello che però riscontriamo nella pratica clinica è ancora peggio, spesso incontriamo persone che hanno prenotato visite con carattere di urgenza a 20-30 giorni, mentre dovrebbero essere assicurate entro le 48 ore. Le fotografie dei dati danno un’immagine che è sempre leggermente migliore di quello che accade nella realtà.
Cosa ne pensi della linea di “tolleranza zero” del presidente De Luca rispetto alla pandemia?
Grassi: Penso che senza tagli e commissariamenti avremmo avuto un servizio sanitario diverso e più forte in Campania.
Se dovessimo fronteggiare una nuova ondata di contagi, come risponderebbe adesso la rete sanitaria di prossimità nella nostra città? Grassi: Dalla pandemia ad oggi, i miglioramenti sono stati pochissimi. L’unica cosa fatta è stato assumere alcune unità di personale, comunque una minima cosa rispetto ai 13mila operatori persi con il blocco del turnover. Anche se sono state fatte delle assunzioni, non abbiamo più i servizi di prima. Una nuova ondata di contagi incontrerebbe le stesse problematiche delle precedenti. Sono un po’ più rodate le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), le quali però hanno cambiato missione molte volte e sono comunque fatte da medici precari, che svolgono questa attività durante il loro percorso formativo. Se riescono ad ottenere un posto a tempo indeterminato o ad accedere ad una borsa di specializzazione, lasciano l’incarico. Quindi non sono delle realtà immaginate per durare nel tempo, sono anch’esse precarie.
L’Italia è uno dei paesi col più alto tasso di mortalità sui luoghi di lavoro. Anche il nostro territorio è al centro del problema. Cosa propone di fare Medicina democratica?
Grassi: Penso che il problema sia legato alla normativa vigente, che ha determinato una specie di divorzio fra la salute e i lavoratori. In altri termini, la salute dei lavoratori, nel senso della sua difesa, praticamente non esiste più come tema. Anche la sensibilità al problema è del tutto sfumata. Sicuramente dovrebbe tornare materia di interesse, data la sua cruciale importanza. In una città come Napoli, questo problema dovrebbe essere affiancato alla lettura dello stato di salute delle periferie, dei quartieri popolari, perché non è possibile fotografare diversamente tutta la popolazione. Pensiamo alla larga fetta di popolazione che è (o risulta) inoccupata, e che quindi sfugge alla sorveglianza sui luoghi di lavoro, in particolare alle donne che hanno percentuali di disoccupazione superiore agli uomini e che troppo spesso sono così assorbite dal lavoro di cura domestica che incontrano i medici quando già presentano condizioni cliniche irreversibili. Non è un caso che abbiano una mortalità evitabile superiore. Il tema della salute dei lavoratori non è più in nessuna agenda e, incredibilmente, anche la specializzazione della medicina del lavoro è stata completamente snaturata rispetto allo spirito con cui era partita. Bisogna tornare a discutere di questi temi. È per questo che siamo qui.
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