Cronaca di fine settembre. Mentre il cielo minaccia tempesta alle 11 a Capodimonte c’è l’inaugurazione della mostra Flavio Favelli: Interni con marmi.
Nei giorni di pioggia Napoli diventa frenetica con gli ingorghi che si susseguono a ripetizione, non solo negli incroci e nei punti nevralgici ma anche nei piccoli tratti rettilinei: vetture che si spostano da una corsia all’altra, vetture che cercano di intrufolarsi nei piccoli spazi che si liberano quando chi guida non occupa prontamente la superficie liberata dall’autovettura che la precede.
La mancanza di sole rende tutti più vulnerabili e acuisce problemi endemici come la carenza del trasporto pubblico, le carreggiate e i marciapiedi dissestati con i basoli “saltati” a intrappolare acqua piovana e sporcizia che aggravano decoro e igiene; il cielo plumbeo che scarica acqua rende tutti coscienti ed insofferenti a questo stato di degrado che normalmente è sopportato.
L’assetto viario del centro antico, che spesso ha conservato la sua struttura originaria, era nato con il compito di rispondere ad altre esigenze e ad altro tipo di traffico: oggi la situazione è cambiata ed un paragonare tra i due contesti diventa difficile anche da immaginare.
Per raggiungere il luogo dell’evento ritengo opportuno uscire un po’ prima e mi sento molto fortunato quando alla fermata vedo arrivare il 204 un filobus che, secondo l’orario, dovrebbe arrivare con largo anticipo sull’inizio dei lavori. Non avevo, però, fatto i conti con la pioggia che causa intasi lungo il percorso e del grande blocco nel tratto Costantinopoli, Museo e via S. Teresa degli Scalzi.
Quando di corsa arrivo al secondo piano della Reggia di Capodimonte dove sono esposte le opere della mostra “Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli” davanti a me ho una coppia di turisti che mi rallenta il passo. Quando sto per entrare nella Sala dove è appena iniziata la manifestazione sento lui che dice “Oh my God” … “Look, Brigitte, look” e le mostra l’opera. Al primo impatto anch’io sono perplesso ma voglio comprendere e con attenzione cerco di seguire i vari interventi della presentazione.
L’esposizione dell’opera di Favelli rappresenta il nono appuntamento di Incontri Sensibili, le mostre focus del Museo e Real Bosco di Capodimonte che pongono in dialogo gli artisti contemporanei con le collezioni del Museo.
Incontri Sensibili, ha dichiarato il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger, rappresenta un incontro tra opere fuori dagli originari contesti storici, unite da ragioni iconografiche, da stati d’animo e di sensibilità. Fuori dagli ambiti abituali e in dialogo con altri capolavori, le opere raccontano…
In sintesi Incontri Sensibili consente alle opere di arte contemporanea di poter dialogare con quelle della collezione permanente del Museo e Real Bosco di Capodimonte. L’incontro tra esperienze artistiche del passato ed artisti contemporanei induce a guardare all’antico con occhi nuovi, sollecita una riflessione inconsueta, consente di svelarne significati inaspettati.
L’installazione di Flavio Favelli, fiorentino di nascita e bolognese di adozione[1], artista con un’esperienza internazionale e con lavori presenti in collezioni pubbliche e private, è stata ideata in relazione al Ciborio, realizzato nel primo Seicento, su progetto di Cosimo Fanzago per la chiesa di Santa Patrizia a Napoli.
I numerosi cibori e tabernacoli che ornano le chiese napoletane nel Seicento, andati in gran parte distrutti, e dei quali resta notizia solo nei documenti d’archivio o in rare incisioni, intendono confermare la centralità dell’Eucarestia sancita dal Concilio di Trento.
Nella Napoli di inizio Seicento gli ordini religiosi gareggiano nella realizzazione di decorazioni sfarzose delle chiese dove impegnano numerosi architetti, scultori, marmorai e orefici provenienti da tutta l’Italia e spesso anche da fuori.
Lombardi, veneti, toscani e romani sono attivi nella città partenopea, alcune volte per il tempo necessario a realizzare l’opera commissionata, altre volte perché decidono di trasferirsi stabilmente nella capitale del Viceregno: è stato questo il caso di Cosimo Fanzago.
L’artista, nato nel 1591 a Clusone in provincia di Bergamo, nel 1608 arriva a Napoli; a capo di una prolifica bottega s’impone prima come scultore e poi come architetto.
Divenuto l’ideatore della caratteristica decorazione barocca napoletana, la sua fama si diffonde oltre i confini ed è molto ricercato dentro e fuori del Regno. Nel 1619 le monache benedettine del complesso di Santa Patrizia, uno dei monasteri più ricchi e privilegiati dalla nobiltà napoletana, gli commissionano un tabernacolo per la chiesa esterna del complesso.[2]
Il monumentale tabernacolo, realizzato per contenere il Santissimo Sacramento nella chiesa, è una vera e propria architettura in miniatura, impreziosita da una ornamentazione raffinata e prestigiosa denominata del “commesso marmoreo”: si tratta di un’antica tecnica artistica che utilizza marmi tagliati per realizzare pavimentazioni e decorazioni murarie a intarsio.
Per la sua costruzione, che inizia nel 1619 e termina nel 1623, si avvale dell’opera dei toscani Nicola Botti, Romolo e Bartolomeo Balsimelli, abili artigiani del marmo che creano delicati e preziosi motivi: tralci vegetali, vasi con fiori e uccellini.
L’ingente somma pattuita, 5000 ducati, testimonia la prosperità economica del monastero. Il maestoso ciborio viene realizzato in bronzo dorato, rame dorato, marmi policromi e pietre dure tra cui riconosciamo il diaspro, l’ametista, l’agata e il lapislazzulo ed è arricchito da statuette di bronzo collocate nelle nicchie e nei timpani trafugate quando l’oggetto era ancora in Chiesa.
Le figurette oggi presenti sui timpani: le tre Virtù e il Pellicano che nutre i suoi piccoli sono state recuperate rispettivamente nel 2014 e nel 2020 dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio. Le statuine delle tre Virtù con la ricercatezza anatomica, i panneggi frangiati e ripiegati in triangoli e le raffinate acconciature sembrano mostrare l’abilità del Fanzago anche nelle sculture di piccolo formato.
Il bronzetto del pellicano, fuso in un unico pezzo e a tutto tondo, montato su una base sembra anticipare le monumentali e celebri aquile marmoree dei pulpiti realizzati dal Fanzago.
Il pellicano, ad eccezione del collo, particolarmente allungato, è, nella resa del becco, delle piume e degli artigli, più vicino all’immagine di un rapace che a quella dell’uccello pescatore. Le zampe dello straordinario bronzetto sono circondate da altri tre piccoli pellicani, fusi separatamente e poi avvitati alla base. Ad impreziosire il piccolo gruppo c’è un cristallo di rocca incastonato al centro della base che doveva brillare nella collocazione originale sul tabernacolo. Anche se destinato ad una fruizione prevalentemente a distanza, la raffinatezza del modellato e l’attenzione alla resa di ogni particolare, dimostrano l’intenzione del Fanzago di soddisfare non soltanto le esigenti committenti benedettine, ma anche di esibire la sua abilità nella realizzazione di bronzi di piccolo formato concepiti e realizzati con l’attenzione minuziosa di un orefice.
Il tabernacolo di Santa Patrizia segna di fatto il debutto di Fanzago nell’arte di lavorare il metallo con decorazioni a incavo e/o a rilievo, tramite il cesello, lo sbalzo e l’incisione, divenuta in seguito parte essenziale della produzione dell’artista e della sua bottega. Il pellicano che si lacera il petto per nutrire i figli con il suo sangue è, come noto, simbolo del sacrificio di Cristo diviene un elemento decorativo essenziale dei tabernacoli eucaristici. Dal petto dell’uccello bronzeo del Fanzago sgorga infatti un fiotto di sangue, reso dallo scultore con grande perizia di cesello.
Angela Tecce, presidente del Museo Madre di Napoli e curatrice con Sylvian Bellenger della mostra, ricorda di aver accompagnato l’artista a fare un giro per il Museo e un paio di giorni dopo la visita di aver ricevuto la comunicazione che l’opera scelta per questi Incontri Sensibili era il Ciborio di S. Patrizia.
Questo luogo accoglie cose molte preziose e tra l’altro non nascondo che avevo anche un po’ di timore perché questo Museo per le opere che contiene incute timore. Ho scelto il Ciborio per la sua caratteristica forma architettonica vicina all’edicola e al baldacchino e perché mi ricorda altri miei lavori.
L’installazione Interni con marmi di Flavio Favelli, composta da legno, che spesso ricicla da infissi usati, e da marmo chiamato a pavimentare gli spazi angusti che tali materiali descrivono, intende evocare gli ambienti domestici delle case borghesi italiane. L’opera ha una struttura che contrasta fortemente con la simmetria e la preziosità del Ciborio, espressione del Barocco napoletano ma allo stesso tempo consente di porre a confronto due modelli estetici e culturali, designati entrambi a custodire i misteri della vita.
Ho fatto un oggetto precario, non proprio volutamente preciso, quasi a marcare nella forma ma anche nel significato una distanza o una differenza. Credo che proprio nelle distanze e nelle differenze ci siano cose piu interessanti da trovare.
Con i suoi punti ciechi e i vani aperti la struttura che si poggia su un marcato piedistallo si sottopone all’attenzione dell’osservatore con le sue sconnessioni esterne ed interne.
Ho scelto questo materiale, il legno delle porte realizzate artigianalmente con modanature e in alcuni casi con più strati di vernice, perché conservano una loro storia. Una delle porte, per esempio, ha due piccoli adesivi della Nastro Azzurro, che rimanda sia al mondo dell’imprenditoria italiana che a una disciplina nobile quale la vela. Quello degli adesivi sui mobili e le porte è un uso che rimanda agli ambienti domestici degli anni Settanta e Ottanta che conosciamo bene e abbiamo praticato. … Questi frammenti del passato indicano un mondo che sta finendo, di cui sono il simbolo proprio le modanature fatte a mano, intrecciate alle immagini suadenti e seducenti del brand e della pubblicità … Ma ho voluto inserire anche elementi diversi, come il frammento di un antico soffitto ligneo con cui ho realizzato uno dei gradini del supporto … Quando ho finito di assemblare l’opera, mi è sembrata simile a un’edicola-cippo, a un mausoleo, che rimanda a appunto a qualcosa di funereo, un ambito desueto al giorno d’oggi, a meno che non si abbia una tomba di famiglia. La base conferisce un carattere monumentale all’installazione. Rispetto al Ciborio di Santa Patrizia, i piani sono ribaltati, mentre ad avvicinare le due opere è l’uso di materiali preziosi come il marmo portoro.
Per Angela Tecce l’opera fa parte di una riflessione che l’artista sta facendo sulla memoria, non su quella storica ma su una più recente su quelle delle nostre case borghesi: In un momento in cui si riflette molto su questa relazione antico contemporaneo, questo sguardo contemporaneo sulla nostra storia l’opera di Flavio Favelli lo fa in una maniera estremamente ricca di possibili sensi e significati. Certamente c’è la memoria di questo oggetto ma c’è anche la presenza di una visione contemporanea della memoria anche di una memoria più recente le case borghesi da cui sono fatti alcuni dei pezzi che costituiscono questa sorta di ciborio della contemporaneità.
La sintesi è ben illustrata dal direttore Bellenger: Questa serie di mostre Incontri Sensibili ci ha portato tanto ed ha cambiato tanto la visibilità cancellando la frontiera tra il contemporaneo e il passato. Abbiamo capito, grazie a questa serie di mostre, che gli artisti sono sempre preoccupati ossessionati dalle stesse cose della vita umana. Questa mostra è particolare non so se si tratta di un incontro direi piuttosto di una lezione sulla materia. Quest’opera si lega all’arte povera e l’arte povera fa nascere una visione nuova che ci rivela che la poesia si trova di più nella materia povera che nel lusso.
Quando vado via il tempo si è schiarito anche se di tanto in tanto schizzi di pioggia continuano a cadere malgrado il sole. Alla fermata dei mezzi pubblici il display indica che i bus viaggiano con ritardi enormi quando non sono cancellati. Anche se la situazione climatica è migliorata la situazione del traffico ne risentirà ancora per ore. Sono destinato a sedermi e ad aspettare ma anche a riflettere. Le strade, la pioggia e il traffico non mi appaiono come elementi isolati ma sembrano interagire nel tempo immediato e nei tempi lunghi quelli della storia. Ma hanno sempre una correlazione?
Il Ciborio viene realizzato all’epoca della controriforma: con il Concilio di Trento (1517) la Chiesa per rispondere alla riforma di Lutero, ne stila una con la quale attraverso le congregazioni e gli ordini si propone di ripristinare il controllo sulla cultura e sul territorio. Con Propaganda Fide (1612) si propone la diffusione del cattolicesimo sul territorio, viene infatti istituito il catechismo da insegnare ai fedeli nella lingua corrente, al fine di contrastare l’ignoranza religiosa e combattere gli errori dottrinali diffusi dalla Riforma Protestante. Con il Sant’Uffizio (1542) di stilare l’elenco dei libri proibiti e presiedere il tribunale dell’inquisizione per le accuse di eresia riservando una particolare attenzione al mondo filosofico e scientifico. Le pale d’altare e gli oggetti religiosi diventano spazio per costruire un percorso d’impegno estetico religioso, un catechismo messo in figura e trasformato in forme.
L’installazione Interno con marmi sposta l’attenzione sulle persone, riporta la vita di tutti i giorni alla ricerca di un’identità. Le sconnessioni dei materiali sembrano raccontare le fragilità che non hanno trovato risposta, anche se non è mancata una ricerca: nella scelta del marmo dei pavimenti, nelle modanature degli infissi utilizzati, negli strati di vernice che si coprono l’uno con l’altro. Non mancano i richiami delle sirene: la pubblicità, un mondo virtuale effervescente ed appariscente, capace di colorare la monotonia di una vita spesa tra pochi tinte omogenee e ripetitive. Ma è localizzata in un angolo, ha un’esistenza magra perchè non offre risposte convincenti e soprattutto durature. Il frammento di un antico soffitto, gradino del supporto e radice nobile dell’opera non riesce a caratterizzare una forma che resta anonima perché non esprime un disegno e non assolve ad una funzione. Un’opera che fa fatica a creare una propria storia a diventare storia perché manca un piano unico di riferimento in altre parole un unico pavimento da cui partire, un bisogno primario: la ricerca di senso.
Il direttore Bellenger vede l’opera di Favelli come una lezione sulla materia, una materia che diventa poesia. Forse è questo il significato di questo incontro: la materi
Il Ciborio è un’opera di grande raffinatezza nell’impiego di materiali diversi, significativa dell’ingegno artistico e della versatilità tecnica di Cosimo Fanzago e di quanti hanno collaborato a realizzarlo, caratterizza i pensieri e i desideri di un’epoca e l’arte che li rappresenta ma fa emergere anche l’assenza dell’uomo comune che può essere abbagliato dallo splendore ma rimanere estraneo a bellezza e armonia dell’opera.
In Interno con marmi mi pare rappresentato l’uomo che va alla ricerca di se stesso e del mondo che lo circonda anche se qualche volta lo fa in modo incerto e goffo.
Entrambe le opere sembrano ricordarci che gli elementi dei materiali e gli uomini hanno avuto in una stella primordiale una radice comune e credenti e non credenti non possono non considerare nella materia che si trasforma il miracolo dell’esistenza.
Nei giorni di pioggia e c’è traffico gli automobilisti cercano di occupare uno spazio qualsiasi per andare avanti come gli uomini nei momenti bui e senza respiro della vita.
Credo che nelle distanze e nelle differenze ci siano cose piu interessanti da trovare.
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NOTE
[1] Vive e lavora a Savigno, Bologna città dove si è laureato in Storia Orientale.
[2]Liberamente tratto da uno scritto di Paola D’Agostino https://capodimonte.cultura.gov.it/litalia-chiamo-capodimonte-oggi-racconta-il-tabernacolo-di-santa-patrizia-il-pellicano-e-le-virtu-ritrovate/
Per saperne di più
Museo e real bosco di Capodimonte
Interno con marmi di Flavio Fanelli
Fino al 27 novembre
Secondo piano dalle ore 10.00 alle ore 17.30 (ultimo accesso alle ore 17.00)
a cura di Angela Tecce e Sylvain Bellenger
con Luciana Berti