Al Museo archeologico nazionale di Napoli è arrivata tutta bellezza delle opere e dei manufatti dell’Impero bizantino con la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” fino al 13 febbraio 2023 e curata da Federico Marazzi.
L’esposizione è ricca (oltre 400 reperti) e si incentra sulla Grecia, su Napoli e sull’Italia meridionale includendo diversi ambiti come quello religioso, culturale, sociale e artistico. Diversi i pezzi appartenenti alle collezioni del Mann o concessi in prestito da oltre 50 istituzioni sia italiane che greche e molti visibili per la prima volta, come quelli provenienti dagli scavi della linea metropolitana di Salonicco. Una sinergia dietro la quale c’è un lavoro durato circa due anni e che ha permesso oggi di regalare al vasto pubblico un interessante “concentrato” di una storia durata un millennio.
Infatti tutto inizia con la fine di Romolo Augusto dell’Impero Romano d’Occidente… oppure con la morte di Teodosio I… oppure ancora con la fondazione di Costantinopoli. E finisce nel 1453 con la conquista di quest’ultima da parte dei Turchi Ottomani di Maometto II.
Se le tesi sulle origini sono varie, sta di fatto che i Bizantini stravolsero la struttura del precedente Impero, imposero la lingua greca al posto della latina e il titolo di Basileus al posto di Augustus. Questo solo per citare alcuni dei cambiamenti epocali fatti da un popolo che comunque si riteneva “romeo” (ossia “romano” in greco), del Regno dei romani detto allora Basileia Rhomaion. La denominazione “bizantino” la troveremo solo dal Cinquecento in poi.
Mille anni racchiusi nel Salone della Meridiana tra sculture, croci greche, monete, gioielli di pregiata manifattura, oggetti di uso quotidiano o cose venute fuori da un racconto fantasy, come le due corone nuziali in bronzo e l’elmo ostrogoto. Eccezionali inoltre i prestiti dalla Biblioteca Laurenziana di Firenze: un Tetravangelo greco con 294 miniature, forse già della biblioteca di Lorenzo il Magnifico e una miscellanea di testi medici.
Napoli fu città bizantina per ben 6 secoli dopo essere stata conquistata da Belisario. Nel chiostro maggiore della chiesa di Santa Patrizia c’è il pozzo attraverso cui si dice che sia sbucato il generale con i suoi soldati per entrare nella città e conquistarla dopo un lungo assedio. Seguirono un ramo dell’antico acquedotto greco detto “della Bolla” che dall’esterno delle mura portava all’interno.
E quando poi il controllo imperiale si indebolì, i capi popolo napoletani istituirono un proprio governo autonomo, il Ducato di Napoli, per circa 300 anni. Personaggio principale fu il Duca Sergio I Conte di Cuma che sancì l’ereditarietà del ducato stesso, segnando di fatto la formazione di uno stato completamente indipendente. Fu un punto strategico per i traffici commerciali e una porta privilegiata sul mondo culturale bizantino, al quale comunque rimase fedele.
Qualche traccia o influenza dell’arte dell’epoca resta tra gli elementi architettonici della chiesa di San Giorgio Maggiore, tra le decorazioni musive di San Lorenzo Maggiore, quelle di San Giovanni in Fonte e Santa Restituta all’interno del Duomo di Napoli e alcuni elementi di oreficeria conservati nel Museo del Tesoro di San Gennaro.
Proprio per le poche e limitate testimonianze strettamente napoletane, la mostra portata al Mann aggiunge un importante tassello alla conoscenza di questo periodo storico e della sua valenza.
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Le immagini della mostra al Mann sono di Valentina Guerra