Luigi Esposito è un pianista napoletano, classe 1985. Dopo anni di studio e collaborazioni con numerosi artisti, è finalmente riuscito a pubblicare un disco tutto suo: “Portami a vedere il mare”, che sta riscuotendo ottimi apprezzamenti da parte del pubblico e della critica.
Chi sei?
Sono un pianista e un compositore.
Il tuo album, Portami a vedere il mare, è un passo importante per la tua carriera artistica. Ce ne puoi parlare?
È il mio primo disco da solista, pubblicato il 15 luglio 2022 con l’etichetta indipendente Apogeo records. L’ho presentato la scorsa estate all’Anfiteatro greco-romano del Parco Archeologico del Pausilypon in una cornice suggestiva.
Cosa esprimi nel tuo ultimo lavoro?
È un disco che parla d’amore e del mio rapporto viscerale col mare, un luogo in cui mi piace andare per mettere in ordine i pensieri. È un lavoro che parla del sentimento della mancanza, della famiglia, del distacco, ma che cammina sempre su un fondale di dolcezza e malinconia.
Nel disco, balza all’orecchio la fusione fra pianoforte e percussioni. Ci sono altri musicisti che hanno collaborato alla sua realizzazione? L’opera è stata realizzata e arrangiata assieme al maestro Emiliano Barrella. Oltre lui, c’è stata la collaborazione di numerosi artisti. In una traccia c’è un quartetto d’archi, composto da Caterina Bianco al violino, Annarita Di Pace al secondo violino, Roberto Bianco alla viola e Davide Maria Viola al violoncello. In due brani poi, c’è la partecipazione di Fabiana Martone, che ha scritto anche il testo di una traccia del disco. La particolarità del progetto è che il percussionista, in alcuni brani, suona all’interno del pianoforte. Per me, questa fusione fra piano e percussione è molto importante. Serviva a chiudere un cerchio.
In che senso?
La batteria è stato il primo strumento che ho suonato ed è il motivo per cui ho scelto di realizzare un progetto in cui si fondessero i due strumenti. Ho un rapporto particolare col piano. Quando suono, immagino un’orchestra. Il pianoforte è il mezzo dove vedo tutta la musica che immagino. A volte, pretendo da lui delle cose che non potrebbe darmi, ma che riesco comunque a tirare fuori immaginando di suonare altri strumenti.
Recentemente, hai presentato il tuo album all’associazione Magma di Livio Cirillo e Chiara Fabbricatore. Nell’introduzione, hai detto che il mare non lo puoi andare a guardare con chiunque…
Si, non ci vai con tutti. Ci vai con chi sa stare con te nel silenzio senza il bisogno di riempire vuoti. Stare davanti al mare per me è come suonare con gli altri, non ci sono protagonisti, l’unica protagonista è la musica. Stessa cosa accade con il mare, non c’è bisogno di descriverlo se lo si ha davanti, bisogna solo seguirne il flusso. Noi non siamo altro che un tramite.
Sul pianoforte, spesso figura un burattino che ha le tue sembianze. Chi è?
È Mino, il protagonista della copertina dell’album, che nasce da un’idea della mia fotografa, Diana De Luca. Non volevo comparire in copertina. Lei, allora, ha pensato di mettere un burattino e di vestirlo a mia immagine e somiglianza. I suoi indumenti sono stati disegnati e realizzati da Nìcole Decembrino, che è una modellista e fashion designer bravissima. Mino rappresenta il mio alter ego. In copertina, si vedono le mie mani che lo portano a vedere il mare. Il che vuole essere una metafora di tutte le persone che vorrei portare a vedere il mare con la mia musica.
Per avere successo come musicista bisogna per forza emigrare?
A Napoli, c’è un fermento artistico enorme, ma manca l’industria dell’arte. Gli spazi sono esigui e si fa a cazzotti per averli. Certo, fuori ci sono molte più opportunità. Tuttavia, il mio sogno è di portare la mia musica in giro, ritornando sempre qui.
Cosa ti ispira Napoli?
Molte cose. Ciò che accende la miccia qui, è il fatto che niente sia facile o scontato. La città è uno stimolo continuo, il suo paesaggio ti porta a scoprire sempre qualcosa di nuovo. Adoro camminare per strada e guardare la gente, lasciandomi ispirare da questo teatro a cielo aperto, che va visto e vissuto anche nelle sue difficoltà.
Nel brano “Susette” hai fatto una dedica alla tua mamma, che hai definito come la tua ‘giuria popolare’. Perchè?
Lei vuole sapere quali brani suonerò in un mio concerto, quali inserirò in un disco. Sostiene che se un brano piaccia a lei, può piacere a tutti. Mio padre (musicista), invece, fa da ‘giuria tecnica’.
Parlando della qualità artistica della musica e della necessità di ricercare bellezza, secondo te, l’industria discografica offre a tutti questa possibilità?
L’artista deve fare delle scelte. Se vuole seguire un suo percorso e fregarsene dell’industria e delle mode oppure no. Nel momento in cui si cerca di piacere a tutti, è finita l’arte.
Quanto impattano i social sulla musica contemporanea?
Purtroppo, incidono moltissimo. Tuttavia, giovi ricordare che i social non sono necessariamente lo specchio della realtà. I follower non vogliono dire bravura. Anzi, ciò che si nota, anche nelle grandi rassegne, è che manca proprio l’esperienza sul campo, che un tempo si maturava nella gavetta della scena underground. I locali dove prima crescevano gli artisti sono sempre di meno. Ragion per cui c’è sempre una minore qualità musicale. Ci si stupisce che i giovani non sappiano reggere le emozioni o che stonino, così come ci si stupisce per i cantanti bravi, quando questi dovrebbero essere la normalità (a certi livelli). I social sono una rovina. La verità si vede quando si sale sul palco e si fa vedere quanto si vale realmente.
Un tuo giudizio sul festival di Sanremo?
Penso sempre che non ci sia un’edizione peggiore della precendente e invece ho quasi rimpianto la scorsa edizione del festival. Certo, ci sono sempre due-tre canzoni che si salvano. Ad esempio, l’ultimo brano delle edizioni di Sanremo che mi è piaciuto tanto è stato quello di Tosca. Ma Sanremo sta diventando sempre meno un festival della canzone e sempre più un varietà. Una passerella dove si guarda l’outfit del cantante e tutto quello che non ha a che fare con la musica. Se ci fossero più persone che scegliessero di venire ai concerti dal vivo, invece di restare a casa a guardare la tv, forse sul palco di Sanremo ci sarebbe più qualità, più emozione.
Tu saliresti sul palco dell’Ariston?
Certo, perché la musica, oltre che una passione, è un lavoro per me. Sanremo è una grande vetrina. Da musicista suoni con un’orchestra e dei grandi professionisti. Se sei un cantante, però, nel momento in cui finisci nelle mani di una major, hai finito di fare “l’artista”. Corri il rischio o di sfondare o di fare pochissimi concerti all’anno, indirizzato nel canale che va in quel momento.
Le major strangolano le nuove idee nel mondo della musica?
Sì. Soprattutto, se vuoi portare avanti un tuo messaggio e una tua identità, c’è il rischio che non ti facciano andare da nessuna parte.
Hai progetti per il futuro?
Nel mio cassetto, ho talmente tanta musica scritta da ricavarne almeno tre album. Sto continuando a scrivere cose nuove e ci sono altri singoli che usciranno. Sto già pensando a un prossimo disco, ma vivo sempre questa ansia che la penna va molto più veloce della mia vita. Se avessi una produzione o uno studio miei, farei uscire un disco all’anno, ma i tempi nella realtà sono più lunghi. Fra lo scrivere un album, produrlo, registrarlo, divulgarlo, passa almeno un anno. Poi, bisogna portare avanti quell’opera, ma capita che sei già con la testa altrove e hai bisogno di più tempo.
A che pubblico ti rivolgi?
Alle persone a cui piace immergersi nella musica e a cui piace viaggiare. Mi piacerebbe che la mia musica divenisse magari la colonna sonora di qualche film. Ho studiato tecniche di comunicazione per il cinema con il maestro Pericle Odierna. Lì, ho compreso la differenza fra la musica da film, che necessita di immagini, e musica per film, costruita su una pellicola già determinata per un pubblico che dovrà guardarla. Mi piacerebbe se qualche regista venisse colpito dalla mia musica. Chiunque mi ascolti, sostiene che quando metto le mani sul piano parte la pellicola. Tendo a scrivere delle suite, dei brani in cui la stessa melodia si sviluppa diversamente all’interno della composizione. C’è un viaggio che le mie melodie fanno compiere e questo dice molto del mio modo di sentire la musica.
C’è un rito che segui quando componi?
Per me, l’ispirazione è lo scontrino che arriva da un’esperienza vissuta. Non scrivo nel momento in cui vivo le cose, perché ho bisogno di metabolizzarle. Ma l’ispirazione mi arriva anche in altre forme. Spesso mi capita di essere per strada e di canticchiare delle melodie che mi vengono in mente. Magari, registro le linee melodiche sul cellulare. A volte, lascio i miei amici per andare a casa a registrare e mettere le cose sul pianoforte. La musica, oltre ad essere un lavoro, è un bisogno di vita ed è essenziale coglierne l’importanza. Non ha senso rinviare a domani una cosa che puoi fare subito. È una necessità che non si può rimandare, perché ogni momento è irripetibile. Forse, anche per questo mi sento un devoto alla musica, che è come se si impossessasse di me.
Durante un tuo concerto, hai detto che stavi parlando troppo, togliendo tempo alla musica. Non credi che ci manchi l’educazione alla bellezza in questa società?
Le persone hanno bisogno di essere rese partecipi ed è bello creare uno scenario prima di introdurre un brano. Il modo migliore di parlare di me, è la musica. In questa società, manca il pubblico attento alla bellezza. Manca la cura verso il bello. Viviamo in un mondo eccessivamente veloce. La nostra vita è condizionata dai tempi imposti dai social. Faccio un esempio. Quando si pubblica un video, si consiglia rigorosamente di non oltrepassare i due minuti, altrimenti le persone non lo guarderanno. Questo è il sintomo di un problema, il voler tutto subito. Anche nelle canzoni che ascoltiamo al festival di Sanremo, intro e riff strumentali quasi non ci sono più o sono sempre più brevi, strofe piccolissime che arrivano subito al ritornello. Spesso le canzoni di oggi sono costruite a tavolino, finalizzate a entrare in testa come dei chiodi ma senza restituire alcuna emozione.
Alcuni dei brani più celebri della storia del rock, e forse della musica, sono Epitaph dei King Crimson o No Quarter dei Led Zeppelin, che durano più di otto minuti. Oggi sarebbe concepibile scrivere brani del genere?
Un tempo, solo dall’ascolto delle prime note comprendevi il brano che si stava eseguendo. Oggi, è tutto compresso e viene distrutto. La musica e la bellezza necessitano di un tempo per arrivare ed entrarti dentro. Di certo, brani come quelli che citavi non finirebbero sul palco di Sanremo. Fortunatamente, però, c’è ancora un pubblico che ascolta quella musica. Sanremo è lo specchio dell’Italia, ma non rappresenta tutta la musica. Se vuoi portare avanti un tuo messaggio, una tua poetica, non devi guardare al palcoscenico dell’Ariston, dove difficilmente metterai piede.
Se un ragazzo o una ragazza venissero da te per studiare musica, cosa gli diresti?
Innanzitutto, di ascoltare qualsiasi tipo di musica. Poi, che il tempo che si ha da investire nello studio da giovani, non torna più. Fare musica vuol dire fare ricerca continua. La musica va fatta assieme agli altri. Spesso mi imbatto in ragazzi che vengono dal conservatorio, che magari hanno studiato anni e anni, ma non hanno alcuna idea del senso ritmico, del suonare insieme o dell’andare a tempo. Quindi, mi trovo a doverli “smontare e rimontare” e spiegargli che il modo di stare dietro lo strumento varia a seconda del tipo di musica che si esegue. Se devi fare una musica per far ballare, non puoi rimanere ingessato dietro il pianoforte, ma devi sentirla prima tu e quindi assecondarla con il corpo.
Dovrebbero esserci le università della musica, dove andrebbero studiati tutti i generi musicali, e non luoghi in cui rinchiudersi per dieci anni facendo solo un certo tipo di musica, per poi uscire e trovarsi spaesati nella realtà. Bisognerebbe apprendere tutte le tipologie di musica per poi scegliere. In questo, la tecnologia da un lato ha accelerato e migliorato alcuni processi, ma dall’altro ha illuso di saper fare, perché grazie alle macchine oggi tutto è possibile, tutto si può modificare. Sono diventati tutti ‘produttori’, ma molti, ahimè, non sanno individuare una sola nota sul pentagramma. Fortunatamente ci sono ragazzi che si rendono conto che la tecnologia – se non abbinata a una profonda conoscenza della musica- ti porta fino a un certo punto e quindi decidono di prendere lezioni. Ma, allo stesso tempo, oggi non si può prescindere dal saper usare, almeno un po’, i programmi per fare musica.
Sarebbe bello se ci fossero delle case della musica: un modo di dare la possibilità a tutti – soprattutto a chi non ha i mezzi economici- di utilizzare strumenti e imparare a suonare?
Sarebbe bellissimo. Io stesso ho dovuto fare grandi sacrifici e diversi mestieri per pagarmi gli studi e poter suonare. Ho fatto il lavapiatti, il cameriere, il buttadentro nei locali. Sarebbe bellissimo se tutti avessero l’opportunità di ascoltare e apprendere la musica, che per me è come una missione.
Non pensi che manchi una scena underground in città?
Sto rimpiangendo gli anni in cui ho iniziato a suonare. Napoli ha scelto di mangiare. Quando ero ragazzo, ad esempio, la sola via Bellini era piena di locali in cui suonare dal vivo. Adesso, non è così. Abbiamo una tradizione musicale enorme e ci stiamo riducendo a raccontarci tramite la pizza fritta e il crocchè. Ci siamo dimenticati che nessun posto al mondo ha una musica che prende il nome dalla propria città. La nostra terra ha la tradizione della canzone partenopea. In nessun posto al mondo c’è questa cosa. I grandi artisti si esibivano nel Festival della musica napoletana, che ancora oggi rappresenta l’Italia nel Mondo.
Pensi che i neomelodici siano in continuità con questa tradizione?
C’è un gruppo giovane che porta avanti la tradizione classica napoletana, i Suonno d’ajere, che sono bravissimi. Loro si rifanno al repertorio classico. I neomelodici, invece, non li seguo, ma so che hanno un bacino di pubblico molto vasto, che a mio parere però non c’entra con la musica classica napoletana. I giovani non hanno proprio idea del nostro patrimonio. Napoli sta vivendo un periodo difficile da questo punto di vista. Noi abbiamo una bomba in mano e, invece, scegliamo di ‘mangiare’. Si preferisce il mordi e fuggi, piuttosto che la prospettiva. La dimensione underground è fondamentale. Si passa dai milioni di visualizzazioni sui social direttamente al palco di Sanremo. Invece, è nell’underground che nascono i talenti e i cantanti si fanno le ossa. Il grande talento, anche se non ha tutta la tecnologia a disposizione, sale sul palco e suona, perché viene da una scuola in cui sei abituato a fare tutto da solo e a misurarti con le difficoltà.
Qual è un genere musicale che, per te, può avere un futuro?
Oggi, la musica è talmente una contaminazione di tanti generi che è difficile dirlo. Bisogna ascoltare qualsiasi tipo di musica. Mi impegno ad ascoltare la musica sempre con la pancia e non con l’orecchio tecnico. Voglio capire cosa mi arriva di più. Non perché la parte tecnica non sia importante, ma perché la musica deve arrivare all’anima delle persone. Uno deve abbracciare tutti generi, studiarli. Un artista raccoglie, prende tutto e poi, toglie per capire cosa vuole essere, senza farsi condizionare dalle mode.
Una curiosità: ci sono una serie di accordi che esprimono il rumore del mare?
Il Fa minore 11. Per me è uno degli accordi più belli del mondo, perché quando metto le mani in quel posto, è come se le mettessi nelle onde.
©Riproduzione riservata
Music/ Neapolitan pianist Luigi Esposito: “I take listeners to see the sea. With my album.”
Luigi Esposito is a Neapolitan pianist, born in 1986. After years of studying and collaborating with other musicians, he has finally managed to release a record of his own, “Portami a vedere il mare,” which is receiving excellent praise from audiences and critics.
Who are you?
I am a pianist and composer.
Your album, Take me to see the sea, is an important step in your artistic career. Can you tell us about it?
It is my first solo album, which was released on July 15, 2022 under the independent label Apogeo records. I presented it last summer at the Greek-Roman Amphitheater of the Pausilypon Archaeological Park in an evocative setting.
What do you express in your latest work?
It is a record about love and my visceral relationship with the sea, which is where I like to go to put my thoughts in order. It is a work about the feeling of lack, family, and detachment, but it always walks on a backdrop of sweetness and melancholy.
On the record, the fusion of piano and percussion leaps to the ear. Are there other musicians who collaborated in its realization?
The work was created and arranged together with maestro Emiliano Barrella. Besides him, there was the collaboration of numerous artists. In one track there is a string quartet, consisting of Caterina Bianco on violin, Annarita Di Pace on second violin, Roberto Bianco on viola, and Davide Maria Viola on cello. In two tracks then, there is the participation of Fabiana Martone, who also wrote the lyrics of one track on the record. The particularity of the project is that the percussionist, in some tracks, plays inside the piano. For me, this fusion of piano and percussion is very important. It served to close a circle.
In what sense?
The drums were the first instrument I played, and that’s why I chose to make a project in which the two instruments were merged. I have a special relationship with the piano. When I play, I imagine an orchestra. The piano is the medium where I see all the music I imagine. Sometimes, I demand things from it that it couldn’t give me, but I can still pull it out by imagining playing other instruments.
Recently, you presented your album at Livio Cirillo and Chiara Fabbricatore’s Magma Association. In the introduction, you said that you can’t go and look at the sea with just anyone….
Yes, you don’t go there with everyone. You go there with those who can be with you in silence. Being in front of the sea, for me, is like playing in front of another person. There are no protagonists, the only protagonist is the music. Same thing happens with the sea, there is no need to describe it if you have it in front of you. One just has to follow its flow.
On the piano, you often figure a puppet who has your likeness. Who is he?
He is Mino, the protagonist of the album cover, which is the brainchild of my photographer, Diana De Luca. I didn’t want to appear on the cover. She, then, thought of putting a puppet and dressing him in my image. The clothes were designed and made by Nicòle Decembrino, who is a very good Patternmaker and fashion designer. Mino represents my alter ego. On the cover, you can see my hands taking him to see the sea. Which is meant to be a metaphor for all the people I would like to take to see the sea with my music.
To succeed as a musician, does one have to emigrate?
In Naples, there is a huge artistic ferment, but the art industry is lacking. Spaces are scarce and you fight for them. Of course, there are many more opportunities outside. However, my dream is to take my music on the road, always returning here.
What inspires you Naples?
Many things. What lights the fuse here is the fact that nothing is easy or obvious. The city is a constant stimulus, its landscape always leads you to discover something new. I love walking the streets and watching people, being inspired by this open-air theater, which must be seen and experienced even in its difficulties.
In the song “Suzette,” you made a dedication to your mother, whom you referred to as your ‘popular jury.’ Why?
She wants to know which songs I will play in a concert of mine, which ones I will put on a record. She maintains that if she likes a song, everyone can like it. My father, on the other hand, acts as a ‘technical jury’.
Talking about the artistic quality of music and the need to search for beauty, in your opinion, does the record industry offer everyone this opportunity?
The artist has to make choices. Whether he wants to follow his own path and not give a damn about the industry or not. The moment you try to please everyone, art is over.
What effect do social media have on contemporary music?
Unfortunately, they impact a great deal. However, it is worth remembering that social is not necessarily a mirror of reality. Followers do not mean bravura. On the contrary, what is noticeable even in the big festivals is that, there is a lack of the very experience in the field, which used to mature in the underground scene. The venues where artists used to grow are fewer and fewer. Reason why there is always a lower quality of music. We are surprised that young people cannot hold their emotions or that they are out of tune, just as we are surprised about good singers, when these should be the norm. Social media are a bane. The truth is seen when you get on stage and show what you are really worth.
Your opinion about the Sanremo festival?
I always think that there is no worse edition than the one I just saw. I almost regretted the last edition of the festival. Of course, there are always two to three songs that can be saved. Generally, you prefer the piece that is arranged well and stays in your head. For example, the last song from the Sanremo editions that I liked was Tosca’s. But it has to be said that Sanremo is becoming less and less a song festival and more and more a variety show. Now, it has become a catwalk where you look at the singer’s outfit and everything that doesn’t have to do with music. If more people chose to come to live concerts, maybe there would be more quality on the Sanremo stage.
Would you go on the Ariston stage?
Of course, because music, besides being a passion, is a job for me. Sanremo is a great showcase. As a musician you play with an orchestra and great professionals. If you were a singer, however, the moment you end up in the hands of a major, you’re done being an artist. You run the risk either of breaking through or of doing very few concerts a year, addressed in the channel that goes at that moment.
Do the majors strangle new ideas in the music business?
Yes. Above all, if you want to pursue your own message and identity, they don’t let you go anywhere.
Do you have plans for the future?
In my drawer, I have so much music written that I can get at least three albums out of it. I’m continuing to write new things, and there are more singles coming out. I’m already thinking about a next record, but I always live this anxiety that the pen goes much faster than my life. If I had my own production or studio I would release one record a year, but the time frame in reality is longer. Between writing an album, producing it, recording it, releasing it, at least a year goes by. Then, you have to carry on that work, but it happens that you are already with your head elsewhere and need more time.
What audience do you target?
People who like to immerse themselves in music and who like to travel. I would like my music to perhaps become the soundtrack for some movies. I studied techniques of composing music for film. There I understood the difference between film music, which needs images, and film music, which is built on an already determined film for an audience to watch. I would love it if some filmmakers were impressed by my music. Anyone who listens to me claims that when I put my hands on the piano the film starts. I try to write suites, pieces in which the melodies develop differently. There is a journey that the music takes, and that says a lot about the way I feel about music.
Is there a ritual you follow when you compose?
For me, inspiration is the receipt that comes from a lived experience. I don’t write in the moment I experience things, because I need to metabolize them. But inspiration also comes to me in other forms. I am often on the street and hum melodies that come to me. Maybe, I record the melody lines on my cell phone. Sometimes, I leave my friends to go home and record and put things on the piano. Music, besides being a job, is a necessity of life, and you have to grasp its importance. There is no point in putting off until tomorrow something you can do right away. It is a necessity that cannot be postponed. Perhaps, this is also why I feel like a devotee to music, which is as if it took possession of me.
During one of your concerts, you said you were talking too much, taking time away from the music. Don’t you think we lack beauty education in our society?
People need to be made to participate, and it is good to create a scenario before introducing a song. The best way to talk about me is through music. In our society, there is a lack of a caring audience for beauty. There is a lack of care for beauty. We live in an excessively fast-paced world. Our lives are conditioned by the times imposed by social media. I give an example. When posting a video, it is strictly advised not to exceed two minutes, otherwise people will not watch it. This is a symptom of a problem, wanting everything right away. Even at the Sanremo festival, there are no more instrumental intros, there are these tiny stanzas that go straight to the chorus, because it has to get into your head. Today’s songs are built from the ground up, because they are nails that have to enter the brain, but without returning any emotion.
Some of the most famous songs in rock history, and perhaps in music history, are King Crimson’s Epitaph or Led Zeppelin’s No Quarter, which last more than eight minutes. Would it be conceivable to write such songs today?
The songs of the past had instrumental intros and riffs. Just from hearing the first notes you understood the song. Today, everything is compressed and destroyed. Music and beauty need time to arrive and get inside you. Certainly, songs like the ones you mentioned would not end up on the Sanremo stage. Fortunately, however, there is still an audience that listens to that music. Sanremo is a mirror of Italy, but it does not represent music. If you want to pursue your own message, your own poetics, you don’t have to look to the Ariston stage, where you are unlikely to set foot.
If a boy or girl came to you to study music, what would you tell them?
First, to listen to any kind of music. Then, that the time you have to invest in music when you are young doesn’t come back. Making music means doing continuous research. Music has to be made together with others. I often come across kids who come from the conservatory, who may have studied years and years, but have no idea about rhythmic sense, playing together, or being behind an instrument. So, I find myself having to take them apart and explain to them that the way to stand behind the instrument varies depending on the kind of music you have to make. If you have to do a piece of music to make people dance, you can’t stay plastered behind the piano, but you have to hear that thing first.
There should be music universities, where all music should be studied and not places where you study for ten years, doing only a certain kind of music, and then you go out and have no idea of the reality. All kinds of music should be learned, even the electronic part. In this, technological machines are also trouble, because they delude you into thinking you can make music. They have all become ‘producers,’ but they cannot identify a single note on the staff. There is a need for study and musical culture.
It would be great if there were music houses: a way to give everyone-especially those who do not have the financial means-to use instruments and learn to play?
That would be beautiful. I myself have had to make great sacrifices and change many professions to play music. I’ve been a dishwasher, a waiter, a buttadentro in clubs. It would be wonderful if everyone had the opportunity to listen to and learn music, which for me is like a mission.
Don’t you think there is a lack of an underground scene in the city?
I’m regretting the years when I started playing music. Naples has chosen to eat. When I was a boy, for example, Via Bellini alone was full of clubs where I could play live. Now, that is not the case. We have a huge musical tradition and we are reducing ourselves to telling our story through fried pizza and crocchè. We have forgotten that no place in the world has city music. Our land has the tradition of Neapolitan song. Nowhere in the world has this. The great artists used to perform in the Neapolitan Music Festival, which still represents Italy in the World.
Do you think neomelodici are in continuity with this tradition?
There is a young group that carries on the Neapolitan classical tradition, the Suonno d’ajere, who are very good. They go back to the classical repertoire. Neomelodici, on the other hand, I don’t follow, but I know they have a very large audience, which in my opinion, however, has nothing to do with Neapolitan classical music. Young people really have no idea about our heritage. Naples is having a difficult time in this respect. We have a bomb in our hands and instead we choose to eat. Biting is preferred over perspective. The underground dimension is fundamental. That’s why there are the various Blanco people who don’t hear in ear monitors and throw flowers for air. Because they haven’t paid their dues. They go from millions of views on social media to the Sanremo stage. Instead, it is in the underground that talent is born and singers make their bones. Great talent, even if they don’t have all the technology at their disposal, goes on stage and plays, because they come from a school where you are used to doing everything yourself and measuring yourself against difficulties.
What is one genre of music that, for you, can have a future?
Today, music is such a contamination of so many genres that it is hard to say. You have to listen to all kinds of music. I strive to hear music with my gut and not with my technical ear. I want to understand what comes to me the most. Not because the technical part is not important, but because music has to reach people. One has to embrace all genres, embrace them, study them. A musician collects, takes it all in and then takes it out to figure out what he wants to be, without being influenced by fads.
A curiosity: is there a set of chords that can express the sound of the sea?
The F minor 11. It is one of the most beautiful chords in the world, because I know that when I put my hands in that place there, it is as if I put them in the waves.