Sera d’estate; le famiglie, quello che resta, ormai lontane; un gruppo di amici su un terrazzo. Il caldo del giorno è ancora nell’aria e sulla nostra pelle. Un giro di gelati, un caffè ed è subito un silenzio carico di cose non dette.
Lontano, qualcuno, con una chitarra, arranca dietro le note di una canzone di Pino Daniele.
Come è facile farsi prendere dalla malinconia. Dello scudetto si è detto fin troppo; e presto l’interesse cala. Azzardo un argomento; in effetti lo butto in mezzo a noi solo per sentire il suono di una voce: la mia.
L’ultimo libro letto? Chiedo.
Io, continuo, ho appena terminato di leggere “Cassandra a Mogadiscio”. Una brutta pagina della nostra storia recente. I disastri, le atrocità che siamo stati capaci di compiere ed oggi assistiamo a nauseabondi rigurgiti di nostalgie del passato continuando a ripetere “italiani brava gente”.
Mi accorgo, in tempo, che non tutti mi seguono; quasi tutti tacciono e qualcuno dice di interessarsi di politica solo per necessità e per quel tanto che gli può tornare utile. “Tanto, conclude, sono tutti uguali”. La solita litania e la possibile discussione finisce così.
Lascio cadere l’argomento lettura. Troppo rischioso. Mi chiedo, spesso, come sia possibile essere amici con persone che dichiarano, con convinzione, una visione della vita nella quale non mi riconosco. Basta l’affetto maturato in tanti anni? Con qualcuno dai lontani anni della scuola?
Ammetto che non so darmi una risposta convincente. Forse l’abitudine, forse la pigrizia che impedisce di prendere decisioni drastiche, decisioni che mi metterebbero di fronte a responsabilità. E perché non la paura di rendersi conto di quanto sia difficile, oggi, comprendere le ragioni degli altri?
L’ultimo film visto? Semmai a casa propria? La discussione si rianima fra chi è fautore delle nuove piattaforme televisive e chi, non pochi in realtà, difende il rito della sala cinematografica, luogo vissuto anche come punto d’incontro. Certo oggi il ritmo spesso frenetico della nostra vita induce a pause salottiere, casalinghe ma il cinema è un’altra cosa.
La nostalgia per le vecchie, care sale, quella sì, riaffiora prepotente nella mente di noi tutti.
È un susseguirsi di “ti ricordi” “c’eri anche tu quella volta”. Risate amare nelle quali ognuno ritorna ai suoi ricordi; quando, attraverso una spessa nebbia dl fumo (allora, nelle sale, si poteva fumare) il film veniva seguito con attenzione anche se la vicinanza della ragazza, ci trasportava in un altro film più intimo e, certo, vissuto con maggiore intensità.
Tutto quello che ci riporta indietro nel tempo può diventare, allora, motivo di rimpianto.
Film preferito? Azzardo per rompere quel velo di tristezza. So di chiedere una cosa quasi impossibile: un film può essere legato ad una stagione della propria vita; ed allora le pellicole legate a quel determinato momento possono essere tante.
Qualcuno avanza una risposta: un film o un genere di film per poi correggersi e avanzare un’altra risposta della quale in fondo ammette di non essere convinto. Ripensare ai tanti film visti significa riavvolgere il nastro degli anni vissuti, con le vittorie e le sconfitte; il rischio che qualcosa si sia persa per sempre è concreto. Dare una risposta alla mia domanda non è facile anche se io, lo ammetto, una mia classifica ce l’ho. «Io, dico, ho due pellicole che segnano i miei continui punti di riferimento»; e tutti mi guardano poco convinti e aspettano le mie parole.
Improvvisa una pioggia interrompe le nostri voci ed i nostri pensieri. Gli amici decidono di andar via. E allora la malinconia, quella saudade che è tutta napoletana, non mi lascia scampo.
Rientro mentre la mia mente continua un suo percorso ed io decido di seguirla.
Il ricordo del cinema che ho tanto amato fino a suggerirmi, sia pure per un breve periodo, di lavorare in quel campo, mi è tutto chiaro. Riandare a quando, poco più che adolescente in una popolare sala del quartiere vidi “Scarpette rosse” è solo un primo ricordo; intatta rivivo quelle nuove impressioni: i colori e le animazioni (la scena dei giornali che, ruotando, diventano ballerini) della pellicola mi svelarono un mondo fantastico: tecnica ed emozioni utilizzati per raccontare la nota favola di Andersen; ma è soprattutto a Milano che ritorna il mio pensiero quando, militare in quella città, appena possibile trascorrevo ore in un cinema d‘essai, come allora si chiamavano quelle sale che proiettavano film di un certo interesse artistico.
In quel cinema, piccolo come poteva essere una sala degli anni sessanta, ricordo di aver visto “Hiroshima mon amour, 1959” , “Cléo dalle cinque alle sette, 1962”, “Jules e Jim, 1962,”, “Vite vendute, 1953”, “ Viale del tramonto, 1950”, “L’Avventura, 1960”, “Roma città aperta, 1945”, “Senso, 1954”, ”Le notti bianche, 1957”, “Uccellacci e uccellini, 1966”, “Accattone, “, “Vangelo secondo Matteo, 1964“, “Bellissima, 1951 “, “I Vitelloni, 1953“, “La strada, 1954“, “La passione di Giovanna d’arco, 1928“, film muto con una straordinaria Renée Falconetti, opera di Dreyer il quale, nel 1955, girerà lo splendido “Ordet”.
Spesso il cinema organizzava la rassegna di tutte le opere di un regista, come Charles Chaplin, o anche le pellicole di Buster Keaton (i due lavoreranno, poi, insieme, in “Luce della ribalta”).
Credo che la sala si chiamasse Olimpia, ma non ne sono sicuro, così come è possibile che i titoli ricordati non siano esatti. Con l’aiuto del Morandini riorganizzo le date delle pellicole; mi accorgo che, cronologicamente, dovrei eliminarne qualcuna, così come di sicuro dimentico un gran numero di altre; ma quello che posso dire con certezza è che quella sala, così come altri luoghi milanesi, segnarono la mia crescita culturale con una maggiore capacità critica. Anche se devo ammettere che il mitico bar “Giamaica” in via Brera, nei pressi del Corpo d’armata dove ero impiegato come topografo, non mi vide cliente molto interessato. Negli anni sessanta il locale apparteneva a chi aveva già fatto le sue scelte. Ed io ero ancora alla ricerca di un mio spazio.
Al mio ritorno non ci fu più tempo per divertimenti inutili. Intanto, dopo un soggiorno romano di circa due mesi, sufficienti per capire che io il cinema semmai lo volevo studiare e non fare, ripresi i miei interrotti esami di architettura ed allora “Le mani sulla città” di Rosi, divenne occasione di grande dibattito che coinvolse non soltanto noi studenti della facoltà. La mia passione per il cinema si era ormai radicata. La sala di padre Lombardo, il cineforum in via San Sebastiano, divenne un appuntamento settimanale di grande interesse; tante generazioni sono cresciute ascoltando quel gesuita così colto e così aperto ai problemi che la società presentava in quegli anni.
Quando le prime proiezioni passavano in sale dal costo più accessibile non ne perdevo una. Un giorno, ricordo, all’uscita del cinema incontrai una coppia di amici che entrava; ritornai a rivedere il film per poi discuterne con loro. La pellicola era “Calle Mayor, 1956” con una brava Betsy Blair già vista in “Marty, 1955”, il bellissimo film che valse l’Oscar al suo interprete, l’italoamericano Ernest Borgnine.
In quegli anni la stagione di prosa, in primavera, nel teatro Mediterraneo e la musica sinfonica del San Carlo, con le mitiche file all’alba per i concerti di Arturo Benedetti Michelangeli, formarono i principali riferimenti culturali miei e degli amici con il quali formavo un gruppo molto selettivo.
La visione di “Yellow Submarine”, in un piovoso giorno di aprile, concluse la mia indimenticabile giornata di laurea.
Dall’autunno iniziò la mia attività lavorativa, nella scuola prima e poi, dopo qualche anno, nell’Università.
Oggi la difficoltà dell’età limita il mio piacere per il cinema ma, dopo tanti anni, confesso che la visione di film quali “Il posto delle fragole” e “8 ½,” ancora mi emozionano come quando li ho visti la prima volta.
Non piove più; ritorno fuori per spegnere le luci sul terrazzo mentre la chitarra continua ma Pino Daniele non c’è.
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L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quelli a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019), La casa nel Parco. Un giorno tra il Museo e il Real Bosco di Capodimonte (AGE 2020) e Agorà, ombre e storia nelle piazze di Napoli (La Valle del Tempo, 2021) curati con Clorinda Irace e Mario Rovinello..
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”, “Una caduta rovinosa”, “Cronaca nera”, “La cartellina rossa”. “L’ultima scelta”, “Un disco rotto”, “Sogno di un giorno di mezzo agosto”, “Il mare verde”, “L’arrosto di Ariosto”, “Madre”. Questo racconto s’intitola “Una battuta di meno e una sposa di troppo”, “Agenda di famiglia”, “Amaro commiato”, “Attesa”.
Foto da Pixabay

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