Meltemi editore/ La rabbia: la psichiatra Rosalba Trabalzini analizza 5 casi di violenza cinque contro le donne

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«Come tutti gli stati emotivi, la rabbia, e la conseguente aggressività, deve essere vissuta, ha solo bisogno di essere educata e indirizzata in attività costruttive positive. Per questo è bene non sottovalutare la portata di questo stato emotivo, non deve essere represso, ma prima ascoltato, compreso e poi plasmato, affinché sia foriero di traguardi positivi nello sviluppo individuale e soprattutto attivo: nello studio, nello sport, nella ricerca e in tutto quello che può essere innovazione per il genere umano a qualsiasi livello»: “La rabbia. Analisi di cinque casi di violenza” (Meltemi editore)è l’interessante saggio della psichiatra Rosalba Trabalzini, la quale ha deciso di approfondire i suoi studi sulla violenza contro le donne ed è andata a ricercare le origini dell’aggressività, sia genetiche che epigenetiche.
Per farlo, ha scelto di sottoporre a terapia cinque uomini che ha incontrato in un istituto penitenziario in cui svolgeva la sua professione di psichiatra; l’autrice racconta del suo ruolo all’interno del duro contesto del carcere, e ci presenta i cinque soggetti che sono stati importanti per acquisire informazioni preziose sulla genesi della rabbia.
Questi cinque uomini hanno compiuto violenze gravi su una o più donne, e in tre dei cinque casi si è arrivati anche all’omicidio; la psichiatra illustra il metodo di analisi utilizzato, spiegandoci dal punto di vista scientifico come nasca biologicamente l’istinto dell’aggressività, per poi parlare anche delle concause legate al contesto sociale e famigliare in cui si è cresciuti e in cui si vive.
Per l’autrice è fondamentale la prevenzione: i bambini vanno educati a gestire la loro aggressività, e sia la famiglia che la scuola devono fare in modo che non si reprima questo istinto primordiale, che ci ha permesso di sopravvivere all’evoluzione, ma che si comprenda e si rivolga verso scopi positivi.
Nel corso delle sue sedute, la psichiatra si è resa conto che ognuno di quegli uomini aveva avuto un’infanzia difficile, segnata da abbandoni e violenze; lungi dal voler dare una giustificazione alle loro empie azioni, l’autrice cerca di individuare quei fattori che concorrono a spingere al comportamento violento: «Com’è possibile che i piccoli Abele si tramutino in tanti piccoli Caino? Sono tanti gli interrogativi che in quei mesi mi sono posta: siamo tutti un po’ Abele e un po’ Caino? E, se le cose stanno davvero così, qual è la linea di confine e come è possibile compiere quel salto che conduce al diritto di togliere la vita a un amico, a un fratello, alla donna amata, ai genitori e persino al proprio figlio?». (Sabina Conti)
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