Le disobbedienti/ “Gli agonizzanti”: al tramonto di un’epoca, Regina di Luanto racconta la donna nuova del Novecento. Quelle battaglie ancora attuali

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«Sì e non puoi credere quanto sia intelligente… Ah! Che errore pretendere che il cervello della donna è inferiore al nostro! Basta coltivarlo! Basta educarlo!» fa dire a un uomo Regina di Luanto, anagramma di Guendalina Roti, in un romanzo pubblicato nel 1900 e da poco riproposto da 8tto edizioni: “Gli agonizzanti”.
Al tramonto di un’epoca entra in scena la donna nuova. È trascorso un secolo e i temi affrontati dall’autrice sono ancora tutti sul tappeto, con sfumature diverse grazie alle tante battaglie condotte dalle donne, ma ancora qui, sempre attuali e non del tutto superati.
Isabella Zerdoni, la protagonista, sedotta e abbandonata dall’inconsistente vanesio Giulio Bessardi consapevole dei rischi sfida le regole sociali dell’epoca rifiutando le “riparazioni” proposte: «E poi fino a che si appartiene ai forti, ai potenti, tutto ci è lecito e permesso; guai però a cambiare la carta e schierarsi tra i ribelli, che in sostanza altro non sono che caduti…Non vi è pietà da sperare allora…».
La società descritta è quella romana dell’alta borghesia, del potere corrotto e dell’aristocrazia – in parte decaduta – tutti uniti da un codice di comportamento che l’autrice fustiga perché improntato all’ipocrita formalismo, all’esasperato manierismo che rifugge la sincerità e la spontaneità e alle relazioni fondate sulla convenienza e l’apparenza.
Isabella si sente estranea al proprio nucleo familiare nei confronti del quale non rintraccia nessuna affinità, di più, avverte un che di losco e torbido: «Bella, giovane, povera con tutte le abitudini e le apparenze della ricchezza, era favorevolmente situata per vedere la doppia faccia delle cose, tanto più che il suo cervello era naturalmente inclinato alle analisi minuziose».
Nello sviluppo dei personaggi l’autrice racconta la vacuità e l’evanescenza di talune esistenze contrapponendole a quelle di altri che si distinguono per la ricerca di gratificazione attraverso il lavoro, gli affetti sinceri e la condivisione di ideali.
È interessante il suo soffermarsi su un aspetto che caratterizza anche il nostro modello sociale, un caposaldo dell’antropologia, il bisogno di omologazione come strumento di appartenenza a un gruppo: «La similitudine del vestiario, la similitudine degli atteggiamenti studiati, faceva di tutti quegli individui tante copie di uno stesso modello. Tutto quello che di caratteristico, di personale ci può essere nella fisionomia di un uomo era totalmente cancellato in loro; per obbedire ai decreti della moda, che imponeva loro quella speciale smorfia per reggere la grossa lente nell’occhio, quel dato gesto per eseguire un saluto, quel dato passo per aver la camminatura elegante e così di seguito, essi diventano manichini automatici, che a mala pena si distinguevano l’uno dall’altro».
Leggere questo passo, come altri, fa sorgere il dubbio circa l’epoca in cui sappiamo esser stato scritto poiché quel che vediamo sulla pagina appare come lo specchio fedele della contemporaneità in cui stereotipi e pregiudizi, mode dalla breve parabola e un senso generale di appiattimento trionfano sull’unicità, l’identità e lo stile personale.
Da questi comportamenti, ora come allora, deriva l’anonimato come effetto collaterale del bisogno di affiliazione a una identità collettiva che, quando minacciata, sviluppa sistemi di difesa aggressivi per sterilizzare l’operato degli/le outsider che possano metterne in dubbio il valore e l’importanza.
Leggiamo di dinamiche in cui un/a leader diventa tale perché popolare secondo i canoni estetici del momento e detta il passo e le regole al resto del gruppo e di come quanti non si allineano vengano stigmatizzati, derisi, espulsi e sanzionati con pene più o meno gravi.
Qual è il peccato di Isabella e di quelli che non si piegano all’omologazione? L’imperdonabile colpa è nel voler affermare l’autonomia di pensiero e il giudizio critico, attività inconciliabili e non tollerate dai modelli sociali. Peccato tanto più grave se perpetrato da una donna.
Ma l’autrice non permette che la sua protagonista sia messa a tacere e soggiogata, sarà lei a scegliere il suo destino, a intraprendere la strada che le consentirà di non rinnegare sé stessa. Talvolta si ha l’impressione che nell’ultimo secolo ci sia stata una accelerazione spinta come mai avvenuto prima – e probabilmente considerando le scoperte scientifiche e il progresso tecnologico ciò corrisponde al vero – ma se si considera l’evoluzione sociale, allora, la prospettiva cambia e si ha l’impressione che questa non sia stata coinvolta nella supersonica velocità che ha investito scienza e tecnologia.
© Riproduzione riservata 

IL LIBRO
Regina di Luanto
Gli agonizzanti. Al tramonto di un’epoca entra in scena la donna nuova
8tto edizioni
Pagine 411
euro 19

L’AUTRICE
Regina di Luanto, anagramma di Guendalina Roti, fu scrittrice e giornalista a cavallo tra Ottocento e Novecento, nota per la sua arguzia e l’anticonformismo che ne fecero un’icona femminile di modernità . Collaborò alla Rivista italiana di scienze, di lettere, arti e teatri e più tardi alla rivista La donna. Quando morì improvvisamente nel 1914, venne definita come “la scrittrice più audace, più avanzata, più arrischiata che abbia avuto l’Italia letteraria dell’ultimo ventennio”.

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