“Giuseppe Pirozzi. L’atelier dello scultore”. La mostra, inaugurata il 16 settembre 2024, resterà fino al 6 gennaio 2025 nel Cellaio, edificio storico situato all’interno del Museo e Real Bosco di Capodimonte.
Porta Piccola consente l’accesso al Museo e Real Bosco di Capodimonte da via Miano. Subito dopo l’ingresso la strada si biforca: per raggiungere la Reggia bisogna scegliere la diramazione che va a destra, proseguendo a sinistra, invece, si può procedere verso nord.
In questa direzione poco dopo si incontra Porta Caccetta attraverso la quale si entra nel cosiddetto Chiuso della Fagianiera, un recinto adoperato una volta per la schiusa dei fagiani, che dopo essere stati alimentati col frumento, coltivato nei terreni adiacenti, venivano utilizzati per le battute di caccia reali.
A partire dal 1835, i botanici Gussone e Dehnhardt hanno dato una nuova forma a quel terreno creando finte colline e praterie, macchie a bosco ed alberature isolate, esotiche o autoctone. In questo paesaggio pastorale, in cui sopravvivono edifici monumentali come l’antica Fabbrica della Porcellana di Capodimonte e la chiesa di San Gennaro, ci sono strutture legate alle attività produttive del Bosco come il Cellaio che, come ci ricorda il sito web, fin dal Settecento è stato utilizzato per conservare botti di vino, fascine, legna, ghiande ma anche grano, miglio, fagioli, fave, prodotti che assicurano l’alimentazione alla selvaggina del Bosco o che sono messi in vendita.
Il Cellaio, adibito negli ultimi anni a sede di convegni e manifestazioni, ospita una mostra sulla lunga attività dello scultore Giuseppe Pirozzi. Nelle intenzioni dei curatori il progetto espositivo si prefigge di ricreare l’esperienza della visita all’atelier dello scultore: un posto dove si materializza il lavoro dell’artista.
L’atelier, in effetti, è uno spazio polivalente dove certo si producono le opere d’arte, ma anche dove le stesse si conservano, in attesa della loro sorte, si incontrano committenti, collezionisti e viaggiatori, ci si ritrova con altri artisti. In altre parole è un luogo che possiamo considerare un po’ officina e un po’ museo, un po’ fabbrica e un po’ salotto.
Le 108 opere esposte offrono la successione di un percorso creativo che ripercorre il periodo compreso tra gli anni Cinquanta e oggi. Le opere, provenienti dallo studio dell’artista e da varie collezioni museali e private, individuano un tracciato antologico completo che evidenzia l’evoluzione delle tecniche, delle forme e dei linguaggi utilizzati dall’autore.
La mia scultura è sempre stata profondamente autobiografica … le mie opere affondano le proprie radici nel rapporto viscerale con la natura … nella relazione umana … con i miei cari e con coloro che ho incontrato nel mio cammino. L’ispirazione … si trova in ogni luogo e in ogni momento … si tratti della piccola gioia che mi procurano i passeri alla “mensa” che allestisco per loro sul balcone di casa, dell’irritazione per un kleenex gettato a terra …, della serenità dello sguardo che si perde nel mare …, del dolore per le macerie di un paese in guerra raccontato dai media, della melanconia di un oggetto … che fa affiorare un ricordo d’infanzia, dell’indignazione per le parole caustiche del politico di turno … Ogni evento suscita emozione e l’emozione è energia da cui nascono cose. … Da molti anni, la pratica del fare arte è una modalità per sublimare e rielaborare in forme plastiche gli stimoli prodotti dal presente, una sorta di meditazione attraverso la quale sedimentare l’esperienza del vissuto – e quindi del pensiero e della memoria – per poi riformularla in linguaggio espressivo, così da conferirle una dimensione estetica tangibile e da farne lo strumento di una comunicazione .
Giuseppe Pirozzi nasce nel 1934, un anno caratterizzato da vari eventi significativi: le elezioni della Camera dei deputati, trasformate in referendum, vinte dal regime con il 99,85% dei voti, la prima volta di Hitler in Italia a Venezia e la condanna e la messa all’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa dell’intera opera di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile. E’ un bambino quando dal 1940 al 1945 si consuma in Italia il dramma della seconda guerra mondiale, caratterizzato da sofferenze, distruzioni e massacri.
Dopo il conflitto, l’Europa si trova ad affrontare una profonda crisi sociale e culturale. La seconda Guerra Mondiale, oltre alle devastazioni, porta ad un mutamento all’interno dell’arte, perché l’arte non è indifferente ma parte attiva della storia degli uomini. Mutamento che parte da una riflessione su una giusta collocazione della coscienza dell’uomo nel suo presente ma che riguarda anche la fiducia nel progresso e nella scienza che, con la bomba di Hiroshima, genera diffidenza nella possibilità di riscatto per la razza umana e di sfiducia nel futuro.
Un mutamento che porta gli artisti a ricercare nuove forme espressive: essi si adoperano per trovare, nelle singole poetiche meditative, un senso del profondo con svariate tecniche, al di là delle apparenze dettate dalle forme. Superata la relazione forma-contenuto, con la materia immaginata come svincolata da simboli e stili, la rinascita, che si realizza attraverso esperienze individuali o collettive differenti, si concretizza spesso in una rivolta esistenziale contro tutto ciò che è standardizzato e tradizionale, con un rifiuto di tutto ciò che è figurativo e, quindi, con la ricerca di un linguaggio astratto e attraverso una strada di libera individualità . Questo è il clima che si respira in quegli anni nel mondo dell’arte; Napoli partecipa a tale fermento artistico con un dibattito estetico – culturale che presenta segni di raffinata originalità.
Durante gli anni di studio al Liceo Artistico di Napoli ha come maestro e mentore Antonio Venditti, uno scultore che Vincenzo Ciardo, già all’epoca in cui completa gli studi all’Accademia, nel 1937-38, descrive come un autore che ha … una sua maniera di esprimersi vivace e fin troppo spigliata, tutta immediatezza ed efficacia descrittiva, pure se compiaciuta di un certo pittoricismo di ascendenza rinascimentale .
Del maestro Venditti oltre ad apprezzare quello spirito di ricerca teso a dare un nuovo respiro all’arte meridionale, che si concretizza successivamente nella partecipazione con altri artisti al MAC, il Movimento Arte Concreta, Pirozzi elogia il docente appassionato che sa coinvolgere. Lui era davvero un insegnante … Con lui la lezione non finiva in aula, tutti noi andavamo al suo studio e collaboravamo … alla realizzazione di alcune sue opere. Con lui ho lavorato dapprima il gesso e la cera ed è grazie a lui che ho scoperto la missione dell’insegnamento .
Dopo gli studi al Liceo Artistico di Napoli ho deciso di proseguire la formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ho frequentato il Corso di Scultura (1954-58) di Alessandro Monteleone e poi di Emilio Greco. Ho avuto così modo di acquisire una piena consapevolezza tecnica nell’arte scultorea che mi ha consentito di spaziare tra diverse metodologie e materiali e di affrontare poi la realizzazione delle prime sculture in bronzo con fusione a cera persa presso la fonderia artistica Di Giacomo, alle Fontanelle… dove ho imparato la modellazione direttamente in cera e ho eseguito alcune grandi sculture .
Subito dopo il diploma inizia l’attività didattica all’Istituto d’Arte d’Isernia; successivamente, nel 1964, ottiene la cattedra di Plastica al Liceo Artistico di Napoli prima di essere nominato docente di Plastica Ornamentale dell’Accademia delle Belle Arti dal 1981 al 2001.
Il suo percorso espositivo, che ripercorre quello artistico, parte dalla ricerca figurativa degli anni Cinquanta, è attraversato dall’incontro con il linguaggio informale negli anni Sessanta e vede un ritorno al figurativo nelle sculture dei decenni successivi. L’esplorazione delle correnti di pensiero che si sono succedute nel Dopoguerra gli consente di utilizzare tantissimi tipi di materiale per le sue sculture, in particolare il bronzo, una materia a cui è particolarmente legato e di cui è un maestro.
Ad aprire la mostra Mena una testa in cera del 1954 a seguire altre opere di quel periodo con alcune sculture in bronzo, tra cui una Testa del 1956, sono state donate dall’artista al Museo di Capodimonte.
È la foto di una scultura di donna a campeggiare sui manifesti della mostra: si tratta di Figura seduta del 1955 che viene esposta nel 1957 in una mostra dell’Istituto culturale spagnolo di Napoli . Sembra un abbraccio del pittore alla sua creatura che sintetizza il processo formativo conseguito in quel periodo.
Si tratta di un percorso che risente degli insegnamenti del maestro di Accademia e scultore Emilio Greco, del quale rielabora la produzione in gesso dei busti femminili e il suo studio di torsione del corpo umano.
Puntuale e rigorosa la riflessione di Vitaliano Corbi in occasione della mostra antologica del 2006 a Castel Nuovo sulla definizione volumetrica concepita da Giuseppe Pirozzi: al fine di consentire all’opera, in condizioni di diffusa e uniforme luminosità, di mettere in vista la propria struttura plastica e il modo in cui questa si articola e si dispone nello spazio. In gesso patinato e di proprietà dell’artista questa opera giovanile, un’esile e sofferente figura femminile senza braccia, rappresenta il momento del passaggio dalla fase figurativa a quella informale.
Questo passaggio è stimolato dalla presenza in Accademia di Augusto Perez, assistente di Greco dal ’55, che alimenta il rinnovamento artistico arrivato attraverso le ricerche e le tecniche informali sulla scia della conoscenza delle opere di Henry Moore e della nuova avanguardia plastica inglese.
Appartengono a questo periodo opere come Danza spezzata del 1959, Colloquio intimo del 1961, Umano del 1961, Figura alata del 1962 e Animale in amore del 1963.
Questi nuovi fermenti creativi lo portano, tra il 1959 e il 1967, a rielaborare l’impostazione accademica, con una ricerca che predilige l’aspetto gestuale e la sperimentazione di nuovi materiali come la cera, il cemento, l’amianto e il piombo. Con quest’ultimo, in particolare, collauda una tecnica personale di fusione con cui plasma una serie di immagini drammatiche e fortemente contemporanee, caratterizzate da una materia fortemente tormentata .
I disegni esposti in questa parte della mostra che vanno dal 1956 al 1965 sono particolarmente interessanti perché evidenziano un dato: sono realizzati da uno scultore e cioè un artista che per sua natura è portato a indagare la forma nello spazio. Poiché nella maggior parte dei casi gli scultori pongono al centro delle loro attenzioni la figura umana nei loro disegni riportano i criteri proporzionali, le masse, l’opacità e gli ingombri.
I disegni esposti sono spesso immagini di corpi robusti al livello chiaroscurale, che sanno colloquiare anche nelle pose più solenni, impregnati di quel pathos quotidiano che è il seme che nutre ogni classicità.
Una delle opere che richiama rimandi è senza dubbio Contenitore del 1968.
Certamente il filo conduttore era la ribellione. L’ho preparata nel corso del 1967 e fu esposta l’anno dopo, e sappiamo cosa è stato il Sessantotto. In quell’opera c’è la materia che esplode, ma anche una metafora: c’è il contrasto tra la forma perfetta del cilindro e la materia che esplode. In fondo, è un modo di rappresentare la rivoluzione. Del resto, le mie sculture sono un autoritratto, un frutto della memoria e delle mie sensazioni, mediate dalla materia.
La formazione classica di Pirozzi, che si esprime nella rielaborazione della forma e della monumentalità antica, anche nelle opere del periodo della sperimentazione informale lascia trasparire un equilibrio compositivo classico e un drammatico chiaroscuro che sembra richiamare il barocco della tradizione figurativa napoletana. Le sculture del tutto astratte di questo periodo con il tempo evolvono e dai travagli della materia affiorano accenni di corpi posti in dialogo con gli oggetti del contesto: è il segno del recupero dell’elemento figurativo. A ricordarlo è lo stesso artista: La figura umana, abbandonata, tornò ben presto, seppur in chiave diversa, destrutturata, resa per frammenti, inserita in elementi architettonici, in forme che ricordano il barocco napoletano .
Negli anni Ottanta, i brani di volti inseriti in un contesto articolato diventano oggetti di un’emozione, parti di un racconto che il critico romano Enrico Crispolti, che segue lo scultore sin dagli albori, definisce una diaspora di frammenti allusivi attorno a una sorta di riquadratura che, in qualche modo, finisce per trattenerli, ordinarli, esibirli .
Appartiene agli anni Ottanta l’opera Psiche come testimonianza che si ispira alla Psiche di Capua conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Psiche, donna di una bellezza rara, scatena le ire della Dea Afrodite (Venere) che chiede ad Amore (Cupido) di aiutarla a liberarsene ma Cupido finisce per innamorarsene. La porta nel suo palazzo senza rivelarle chi fosse; quando una notte Psiche illumina con una lanterna il suo volto lo fa svegliare e scappare. Psiche comincia la sua ricerca fino al palazzo di Venere che decide di sottoporla a quattro impossibili prove che riesce a superare solo grazie all’aiuto degli dei. Anche Amore la cerca e quando la ritrova Zeus concede ai due innamorati il dono dell’immortalità.
In questa leggenda i protagonisti sono Psiche, in greco antico anima e Cupido, figura associata alle pulsioni amorose ed erotiche. L’idea sottesa all’opera è che solo il ricongiungimento di due risorse immateriali, il desiderio e l’anima, può dare l’immortalità. È il percorso spirituale che l’anima umana (Psyche) deve intraprendere per tornare ad essere puramente “divina” e quindi immortale.
La cornice in bronzo sembra volerci farci riflettere sulla vita: inquadra il pezzo di realtà che ciascuno vive sovrascritto da un codice costituito da lettere e cifre, svelato dalla mano dell’artista che occupa la parte alta della scultura. Il volto di Psiche, che condivide la propria origine con la materia, nel comporsi e decomporsi con le forme, segue il ciclo della vita. La materia e la forma non possono essere per sempre, ma la ricerca che ha consentito di dare una forma alla materia come il percorso spirituale del mito può consentire di rendere immortale quella riflessione e farla diventare patrimonio di tutti.
Negli ultimi anni la sperimentazione di una nuova tecnica scultorea. Dagli anni Duemila … gradualmente la scultura ceramica – alla quale mi ero occasionalmente rivolto “per divertimento” negli anni Settanta – ha conquistato uno spazio crescente nel mio orizzonte creativo e oggi la terracotta, spesso ingobbiata, costituisce la materia prevalente delle mie sculture
Della ricca produzione di opere dell’artista fanno parte anche i gioielli, una sorta di arte da indossare che occupa lo spazio di una vetrina all’interno della mostra. Si tratta di sculture prodotte a partire dagli anni Settanta volte a sviluppare una ricerca plastica che concentra in un volume ridotto una serie di immagini che Vitaliano Corbi ha definito nitide ed insieme energiche. Si tratta di pezzi unici, anelli, bracciali, ciondoli, modellati e fusi a cera persa e realizzati in argento e/o oro a volte impreziositi con pietre o gemme incastonate.
L’evento espositivo coincide con l’acquisizione alla collezione del Museo e Real Bosco di Capodimonte di sette opere donate dall’artista, tra cui una grande scultura in bronzo installata sul prato in prossimità del Cellaio: La fisicità che si scioglie nell’amplesso con l’anima e Due corpi riflessi nell’onda infranta.
Si tratta di un ‘dittico’ di sculture monumentali realizzate in gesso e presentate per la prima volta nel 1988 e ora donate a Capodimonte nella versione in bronzo. La fusione in bronzo è stata realizzata grazie al generoso contributo del collezionista e mecenate Gianfranco D’Amato, da sempre sostenitore del lavoro dello scultore e delle attività del Museo, che sottolinea: Supportare Capodimonte nella realizzazione di questa opera è stato un modo per onorare la mia stima per il Maestro Pirozzi e rinnovare quel rapporto di dono reciproco che caratterizza le amicizie intense, tanto più profonde perché unite nel segno della comune passione per l’arte.
Dopo l’inaugurazione del dittico mi raggiunge un mio caro amico l’artista Francesco Alessio che è stato allievo di Giuseppe Pirozzi durante gli anni passati tra Liceo e Accademia. Rivedere le opere della mostra con lui è stato rivivere i movimenti artistici di un’epoca intimamente legati al percorso che ha dato vita alle tante opere prodotte dal suo maestro.
Il ritorno verso casa, dopo un’immersione nella creatività in cui lo spirito si è deliziato nel contatto di un’idea e un’emozione che diventa forma, è sempre un po’ malinconico. Mentre io e Francesco percorriamo il sentiero che si dipana dolcemente sul terreno modellato a collinetta e fisso la sagoma del cellaio rivedo il bambino che ha manifestato precocemente la sua spiccata sensibilità estetica e la sua attitudine ad osservare e che ora ci restituisce in questo ambiente bucolico quanto ha realizzato attraverso il linguaggio grafico e scultoreo, degli aspetti più intimi e poetici del “piccolo” mondo della provincia rurale nel quale è cresciuto.
Il paesaggio che fa da proscenio alla natura e alle costruzioni è esso stesso un protagonista perché accoglie, custodisce e valorizza i pensieri trasfigurati in forme. Avevamo da poco lasciato il dittico che plasticamente riproduce la relazione complessa tra quella proprietà esclusiva della persona che è l’interiorità e gli elementi problematici del contesto che incontriamo Massi erratici un’opera di Marisa Albanese realizzata con gli elementi lapidei provenienti dai bombardamenti del 1943-44 riportati alla luce dopo essere stati abbandonati nel Bosco di Capodimonte. Sylvian Bellenger la definisce una poesia di pietra e ci ricorda che la storia non è scritta per sempre e che l’arte è una lotta che trasforma anche la distruzione in rinascita e speranza.
Il rumore degli aerei che continuamente sorvolano il Museo e il Bosco di Capodimonte con il loro assordante rumore mi fa riflettere sui viaggiatori di quell’aereo che sfrecciano veloci per non perdere un tempo che pure vorrebbero fermare nel vano desiderio di non vederne i segni sul proprio viso.
Da lassù è difficile notare i dolci pendii realizzati per deliziare gli occhi e ristorare lo spirito ed è ancora più difficile che questo ritmo vorticoso riesca a consentirci di osservare il messaggio o come dice il maestro Pirozzi la testimonianza che un’opera racchiude.
Gli slogan hanno preso il posto della lettura e si scorrono velocemente le immagini su instagram, in attesa che qualcuna colpisca o testimoni un gossip; in questi momenti si avverte la necessità di fermarsi per dare un senso e un valore al tempo. L’arte non rinuncia mai a donare armonia al mondo e si fa fatica a trasmetterlo: io mi accorgo che faccio fatica a raccontarlo.
©Riproduzione riservata
NOTE
[1] Lorena Coppola Giuseppe Pirozzi: un poeta meridionale della scultura liberamente tratto da https://www.politicameridionalista.com/2024/09/08/giuseppe-pirozzi-scultore-premio-dorso-intervista/
[2] Giovanni Cardone Vitalità del Tempo liberamente tratto da https://news-art.it/news/vitalita-del-tempo—un-rinnovato-percorso-ed-un-nuovo-allestimento-dedicato-al-novecento.htm
[3] Dal 1947 al 1949 espone con i componenti del Gruppo Sud. Nel 1950 con Barisani, De Fusco e Tatafiore formano il gruppo di arte astratta concreta napoletana e nel 1953 firma con loro il manifesto del M.A.C. ( Movimento Arte Concreta) in occasione di una mostra allestita presso la galleria “MEDEA” di Napoli.
[4] Domenico Sepe L’artista è un rivoluzionario Il Contro Verso https://www.ilcontroverso.it/2021/03/20/giuseppe-pirozzi-lartista-e-un-rivoluzionario/
[5] L. Coppola. Giuseppe Pirozzi: un poeta meridionale della scultura Politica Meridionalista Febbraio 14, 2021 https://www.giuseppepirozzi.it/l-coppola-giuseppe-pirozzi-un-poeta-meridionale-della-scultura/
[6] Martina Tramontano Giuseppe Pirozzi e l’antico: memoria e ‘relazione’ Polygraphia Dipartimento di Lettere e Beni Culturali 5 2023 pag. 45
[7] Dopo aver plasmato l’opera in argilla ed averne ottenuto il calco in gesso, fa liquefare con la fiamma ossidrica il piombo che, raffreddandosi istantaneamente all’interno della forma, lascia poi intravedere le colature artigianali in superficie.
[8] Domenico Sepe Giuseppe Pirozzi: l’artista è un rivoluzionario Il ControVerso testata giornalistica indipendente 20/03/2021 https://www.ilcontroverso.it/category/le-rubriche/rubrica-sentrevoir/
[9] Martina Tramontano Opera citata pag. 47
[10] E. Crispolti, in Confronto in scultura, catalogo della mostra (Amalfi, 1983), a cura di M. Bignardi, Salerno 1983 p. 12
[11] L. Coppola. Giuseppe Pirozzi: un poeta meridionale della scultura Opera citata