L’ingegnere Guido Semmola era una persona metodica che aveva fatto della precisione la sua regola di vita. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, il suo programma della giornata non prevedeva alcun possibile cambiamento rispetto a una organizzazione che, rodata nel tempo, gli aveva creato una serenità e una sicurezza che si riflettevano nella sua vita, sia lavorativa che privata.
In realtà anche il sabato e la domenica rispondevano ad una precisa pianificazione, semmai cambiavano, almeno in parte, i comprimari della sua recita quotidiana: il sabato visita all’anziana madre che viveva in campagna, nella casa di famiglia, accudita dalla fedele Angelina, mentre la domenica, con qualsiasi tempo ed in qualsiasi stagione, la trascorreva al Circolo Nautico fra una nuotata in piscina, il pranzo con qualche amico, un leggero riposo negli accoglienti camerini del circolo, una pomeridiana partita a carte e, infine, una serata occupata fra un leggero buffet e la sala dove qualche oratore, l’invitato del giorno, quasi sempre un interessante personaggio della finanza o della politica, intratteneva gli ospiti in una piacevole e mai molto lunga conversazione.
Ma ritorniamo al lunedì: sveglia alle sei per passare, dopo solo cinque minuti, nella piccola ma attrezzata palestra dove già lo aspettava Pietro il suo personal trainer che, da qualche tempo, lo aiutava a perdere peso, pochi chili in realtà, come gli aveva suggerito l’amico medico.
Alle sei e trentacinque l’ingegnere passava nella sala da bagno dalla quale usciva alle sette precise trovando già preparata la sua colazione che la fedele cameriera aveva apparecchiato in veranda, sempre lo stesso posto, insieme ad alcuni fogli che la segretaria, intanto, gli aveva faxato con il programma della giornata. Alle sette e trenta, il portiere lo salutava aprendogli la porta dell’ascensore mentre Fausto, l’autista, lo attendeva con il motore acceso della BMW.
La strada da percorrere non era molta per cui dopo appena venti minuti, venticinque in caso di traffico, il custode dell’importante Azienda della quale era il direttore generale, gli apriva la portiera dell’auto scortandolo verso l’ascensore personale quello, per intenderci, che nessuno degli impiegati poteva utilizzare. Ottenerne la chiave, alla quale tutti aspiravano, era il segno tangibile dell’avvenuta promozione.
Il percorso, al terzo piano, dall’ascensore al suo ufficio personale, avveniva attraversando un lungo corridoio con tappeto ed alti mobili in mogano e con tutto il personale, ognuno sulla porta del rispettivo ufficio, in attesa di un possibile invito, dell’ingegnere, a seguirlo.
La porta del suo studio si spalancava, aperta con un sincronismo perfetto dalla fedele segretaria, mentre un ragazzo, discreto, posava sulla scrivania una tazza di caffè ed una caraffa d’acqua.
Dopo i saluti, gentili ma brevi, la segretaria leggeva le notizie ritenute importanti avendo lei stessa, già precedentemente, predisposta la rassegna stampa.
La televisione, accesa su un canale finanziario, trasmetteva continuamente, in sottofondo, le ultime notizie dalle più importanti Borse del mondo. Poco dopo, inutile dire sempre alla stessa ora e dalla stessa porta dalla quale era uscito il ragazzo del caffè, entrava un giovane che, dopo un leggero saluto, si posizionava dietro la poltrona dell’ingegnere.
Quest’ultimo, per una tacita intesa, calava la testa all’indietro e quello, con mano leggera, perfezionava il taglio dei capelli, controllava che la barba fosse curata come sempre e poi iniziava una piacevole frizione che, almeno nelle intenzioni, doveva stendere le prime rughe che già segnavano il volto dell’ingegnere; alla fine della piacevole operazione, con discrezione e con passo felpato, il giovane, avendo salutato, si allontanava. Alle undici e trenta lo stesso ragazzo del caffè entrava, dalla stessa porta, e serviva una leggera colazione.
Telefonate e brevi ordini, dettati alla segretaria, occupavano l’intera mattina. Il lavoro si interrompeva alle tredici quando l’ingegnere si recava alla mensa aziendale, quella dei dirigenti, accompagnato sempre da un suo dipendente. Aveva, infatti, lui stesso dato disposizione alla fedele segretaria, di invitarne ogni giorno uno diverso; rito che gli consentiva di conoscere meglio il suo personale con il quale amava discutere di eventuali problemi di lavoro.
Era, questo, un modo per dimostrare la sua visione democratica dell’Azienda e anche utile per controllare l’andamento dell’intera organizzazione. Il beneficio di un simile atteggiamento, del quale si vantava di essere stato promotore, si poteva notare nella familiarità e, soprattutto, nell’efficienza con le quali veniva svolto il lavoro in tutti i settori.
Alle cinque del pomeriggio, a meno di riunioni o incontri di lavoro, già precedentemente fissati, l’ingegnere rientrava a casa facendo il percorso all’incontrario. Dopo un breve riposo ed una cena leggera, restava molte ore nel suo studio. Con un altro caffè che la servizievole cameriera, senza attendere di essere chiamata, gli serviva insieme a un bicchiere di brandy, iniziava a lavorare secondo, manco a dirlo, un preciso ordine: una telefonata a un collaboratore per sapere come procedeva quel determinato progetto al quale da tempo era impegnato, una possibile videochiamata con il funzionario dell’azienda, distaccato presso le Borse di New York e di Tokio e, infine, mentre aspettava la velina che la segretaria gli inviava ogni sera per ricordargli il programma ed eventuali imprevisti per il giorno dopo, sbrigava la posta personale e dettava a un apparecchio alcune considerazioni su un argomento che avrebbe, poi, voluto approfondire l’indomani in ufficio. Ora poteva riposare; un vecchio film o una partita di calcio concludeva la serata.
Questo programma, sempre identico, si svolgeva, come abbiamo detto, fino al venerdì. Occorre, però, aggiungere che due sere la settimana, di solito il lunedì ed il giovedì, discretamente introdotta dalla cameriera, aspettava Nora, la bella signora che lo illudeva sull’eterna giovinezza; argomento questo che aveva decisamente preferito al tennis, come invece gli aveva suggerito l’amico medico, sempre lo stesso, per migliorare il suo aspetto fisico.
Che qualcosa, quel giovedì, fosse accaduto all’ingegnere Guido Semmola lo capirono tutti: Pietro, ossia il suo personal trainer, la cameriera, il portiere, l’autista, il custode dell’Azienda, i suoi dipendenti, il ragazzo che gli portava il caffè, la segretaria, il discreto barbiere nonché i funzionari delle Borse europee con i quali era solito confrontarsi ogni mattina.
In realtà si trattava di un semplice ritardo sul preciso orario con il quale l’ingegnere scandiva i suoi tempi ma che questo ritardo potesse diventare il proverbiale battito di ali di una farfalla che da New York provoca una tempesta a Pechino, lo si comprenderà solo alla fine di una giornata che resterà memorabile nella vita della famosa Azienda.
Queste, infatti, nell’ordine, le reazioni delle persone con le quali interagiva ogni giorno: Pietro, sia pure educatamente, fu il primo a lamentarsi preoccupato del ritardo accumulato per i suoi successivi appuntamenti; la fedele cameriera si scusò, ma non troppo, per il cappuccino ormai freddo; il portiere, impegnato a distribuire la posta, non gli aprì l’ascensore, Fausto, l’autista, dovette spegnere il motore per non riempire di gas il garage mentre, sia pure sottovoce, si preoccupava del traffico, cosa che, di lì a poco, si presentò con un rosario di semafori tutti rigorosamente rossi.
E le cose non migliorarono una volta giunti in Azienda dove il custode, intento a rispondere negativamente ai tanti funzionari che gli chiedevano se avesse notizie dell’ingegnere, non lo vide entrare. Il corridoio del terzo piano, dove arrivò dopo aver dovuto attendere non poco tempo l’ascensore quello, diciamo, dei comuni mortali, gli apparve molto diverso. Intanto nuovo era, per lui, il punto d’arrivo mentre tutti i funzionari, manco a dirlo in gran disordine, passavano da un reparto all’altro chiedendo informazioni sull’insolito ritardo.
Non diversamente fu l’ingresso nel suo ufficio dove trovò la segretaria che sorseggiava il caffè, sì quello dell’ingegnere, ormai freddo, mentre sulla tastiera del telefono tutte le lucine segnalavano una frenetica attività con domande alle quali nessuno sapeva dare una risposta. Il primo a capire che fosse accaduto qualcosa di grave, anche se ancora non del tutto chiara nella sua importanza, fu l’ingegnere stesso quando il suo agente da New York lo avvertì che purtroppo, per un inspiegabile ritardo, l’ordine sulla piazza americana non era andato a buon fine.
Inutile dire che tutta la giornata fu funestata da disguidi, errori, appuntamenti annullati fino a quando, esausto, l’ingegnere rientrò a casa dove trovò una infuriata signora Nora la quale gli urlò, testuali parole, che lei non aveva tempo da perdere e che per tanto lo salutava pregandolo di non chiamarla più.
Allo sconsolato ingegnere cercò di portare conforto la cameriera con una cena quanto meno insolita. E poiché il risultato, a vedere la faccia del poverino, non sembrò convincente, l’affettuosa donna, nel tentativo di distrarlo dai suoi foschi pensieri, gli raccontò della sua giornata.
Naturalmente tutte cose di normale amministrazione, piccoli imprevisti domestici, almeno fino a quando non gli raccontò dell’incidente che le era capitato. A un ingegnere che, man mano che la donna parlava, sgranava gli occhi, questa raccontò, quasi divertita, che il giorno prima, nel riordinare la camera da letto, aveva, inavvertitamente, fatto cadere la sveglia, sì proprio quello strumento infernale, così disse, tutta luci, sfere, tasti e ronzii vari.
Inutile dire, continuò la donna, che era stato difficile, per lei, capire se quella diabolica scatolina, dopo la caduta, stesse ancora funzionando; ma, aggiunse, poiché le sfere continuavano a girare allora si era tranquillizzata.
Poiché l’ingegnere non reagì in alcun modo mentre la sua faccia cambiava colore assumendo una fissità marmorea, la donna uscì dalla stanza continuando, sottovoce, nella sua critica a questi moderni strumenti che intendono regolare ogni momento della nostra vita.
Sarebbe stato impossibile, e soprattutto inutile, spiegarle che quel semplice incidente domestico aveva messo in crisi un piano di efficienza degno di un novello Jacques Tatì.
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L’AUTORE
Francesco Divenuto riflette sulla vita, raccontando storie quotidiane che svelano il senso del mondo. Eccone un’altra, “Se l’ingranaggio s’inceppa”, che richiama l’attenzione sulla portata di un disguido in una vita programmata nel dettaglio.
Già professore ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II, Divenuto è autore di saggi, racconti e pubblicazioni collettive