Un’azienda umbra si vede “accordare” 10 milioni di euro dalla Regione per lo sviluppo del tartufo. Salvo scoprire che il proprietario di detta azienda risulta essere il marito dell’assessore al Bilancio della Regione Umbria (centrodestra). Poi, si scopre che in quella azienda è stato assunto a tempo indeterminato pure il figlio della governatrice della medesima Regione.
Si apre una “doverosa” inchiesta per abuso d’ufficio nel 2023, ma l’anno dopo, il 25 agosto 2024, entra in vigore la legge che lo abroga. Processo archiviato. Tutti salvi.
In questi giorni il sottosegretario alla salute del governo Meloni, socio di una srl sanitaria (gestione poliambulatori) pensa bene di fare pubblicità a questa società mettendo sotto accusa le lunghe liste d’attesa del servizio sanitario pubblico. Ma il garante della concorrenza “certifica” che non esiste alcun conflitto di interessi. Salvo scoprire che il sottosegretario in questione si occupa proprio del problema delle liste d’attesa, assieme al ministro della Sanità.
Questi due casi dimostrano più cose. Il primo riguarda l’esercizio della politica, chi fa le leggi, chi rappresenta la generalità dei cittadini, chi dovrebbe far prevalere l’interesse pubblico, sempre e comunque. Quelle scelte non dovrebbero mai fermare l’azione penale, ovvero chi rappresenta un potere costituzionalmente garantito, la magistratura.
Il secondo evidenzia un antico vizio: chi si candida a gestire funzioni istituzionali molto spesso non si sottrae a scorciatoie e non chiarisce, volutamente, il confine netto che dovrebbe distinguere il primario dovere pubblico rispetto al “tengo famiglia”.
Ancora sul primo episodio. La legge esprime concetti astratti e generali ed incide, nell’ordinamento giuridico, sui comportamenti etici, sociali e/o giuridici, mettendo tutti i cittadini sullo stesso piano. Abolire un comportamento ritenuto penalmente rilevante, con altro atto avente forza di legge, non è mai utile, sicuramente non è trasparente. Il messaggio pubblico che ne deriva è a dir poco devastante.
Chi fa politica dovrebbe attenersi a un preciso codice di comportamento. Se un sottosegretario deve agire “pubblicamente” per la materia cui è chiamato a decidere, come può farlo liberamente e con coscienza se nel “suo” privato tratta la stessa materia?
Anche in quest’ultimo caso, i poteri pubblici dovrebbero adoperarsi per isolare il dialogo con i poteri privati nella misura in cui questi si riflettono sugli interessi della collettività o, perlomeno, tracciarne un confine certo e chiaro, dove la reciproca convenienza possa basarsi innanzitutto sul non condizionamento e sull’assenza di connivenza tra gli uni e gli altri.
Ecco, questi sono princìpi astratti che il legislatore dovrebbe solo tradurre in comportamenti reali e oggettivi per la generalità dei cittadini. Tutto quello che di “pubblico” si produce al di sotto di questi princìpi e quantomeno sospetto.
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