Un libro, due storie, molti risvolti attuali su cui meditare. Questa è una possibile sintesi di Gisa e Adalgisa – L’occhio del pavone (Montag, 2024), romanzo dello scrittore irpino Giovanni Carullo. Come in un acquerello, che richiede un tratto rapido e pulito, qui vengono dipinte due figure femminili avvolte nel mistero e nello scandalo che si specchiano a distanza di tempo.

Anno 633 d.C.. Sullo sfondo della battaglia nella piana di Fiorino, che contrappose l’esercito dell’imperatore romano d’Oriente, Costante II, alla guerriglia dei Longobardi, segnando la vittoria di questi ultimi, l’opera di Carullo narra le vicende della principessa Gisa e della studentessa Adalgisa, due giovani donne stigmatizzate per le proprie idee e passioni.
Con una trama a metà strada fra il noir e il romanzo storico, Carullo ci conduce a cavallo delle Terre dell’Osso e del Sannio, luoghi emblematici di quelle aree interne del Sud Italia che Vinicio Capossela definisce un giacimento di culture, racconti e canti. E proprio a partire dal racconto della società longobarda, dei suoi usi e costumi, dei suoi riti ancestrali, Carullo affresca la figura della fiera Gisa, giovane principessa del Ducato di Benevento, legata fedelmente al culto di Wotan e della vipera anfisbena, segretamente innamorata della sua dama di compagnia, Roslinda.
Ma Gisa, anche nel suo tempo, risulta una personalità pericolosa per il potere, troppo legata alle origini del proprio popolo. Il suo amore segreto per Roslinda viene ritenuto intollerabile nella Benevento longobarda, in cui è in atto l’evangelizzazione cristiana del Mezzogiorno pagano. Di fatti, a contrastarlo emergono tre figure maschili, in combutta fra loro: suo fratello Romualdo, che la utilizza come prigioniera di guerra; il vescovo Barbato, influente latore del Cattolicesimo; il guerriero Amalongo, che la prenderà in sposa come trofeo di guerra contro il suo volere.
Nel tentativo di inseguire il vero amore e di custodire il segreto delle tradizioni del proprio popolo, Gisa sfuggirà a questa morsa in modo rocambolesco, pagando un altissimo prezzo. A riportare alla luce la sua figura, a distanza di circa mille anni, c’è la giovane Adalgisa che indaga a fondo nel passato fino a imbattersi in un importante mistero. Brillante studentessa di storia prossima alla laurea, anch’essa implicata in una complessa relazione sentimentale, la giovane verrà ritrovata senza vita.
E qui Carullo introduce il personaggio di un navigato cronista, collante dell’intera trama, che scoprirà come un anello con la testa della vipera anfisbena e una strana voglia a forma di occhio di pavone, dopo secoli, legano i destini e gli amori delle due donne, oggetto di scandalo.
Un po’ come ne La donna abitata di Gioconda Belli, Carullo ci presenta due figure femminili dai tratti peculiari accomunate da una vita di evasione e rivolta ad una condizione di subalternità e a schemi preconcetti. In un ritmo narrativo incalzante, la scoperta di riti ancestrali, gelosamente custoditi in segrete comunità votive, porterà Adalgisa a specchiarsi in Gisa fino a disvelare un incredibile segreto.
L’opera di Carullo ci parla al presente. Non solo perché rompe il radicato pregiudizio sull’amore saffico, datato nel tempo, ma anche perché prova a ribaltare l’altare del potere maschile nella nostra società, segnatamente nel Mezzogiorno, fondato sul sacrificio della donna in seguito alla conversione al Cattolicesimo.
Ed è forse questa la lettura più interessante di un romanzo che ci prende per mano e ci trascina alla scoperta di luoghi, volti, storie, paesaggi tra la Piana del Dragone, Forino, Volturara, Benevento, Avellino riallacciando i nodi della memoria di un grande passato, che colpevolmente è finito sottotraccia nella desertificazione delle aree interne immolate alla modernità.
«Ci portiamo tutt’ora dietro il retaggio di quel passaggio. Le donne sono sempre state le prime a pagare il prezzo dei cambiamenti. E il potere è sempre nemico delle donne, non lo dimentichi mai, il potere non accetta rivali».
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