Le disobbedienti/ Peggy Guggenheim, principessa d’argento che amò le avanguardie artistiche. I chiaroscuri di una donna libera

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Ci sono libri che hanno una genesi complessa e articolata, è il caso di “La principessa d’argento. La saga dei Guggenheim”, scritto da Rebecca Godfrey con Leslie Jamison in libreria per Garzanti dalla scorsa settimana. Dieci anni di ricerche e lavoro non sono bastati a Godfrey che, ammalatasi, ha usato il tempo che le rimaneva per indirizzare chi avrebbe concluso la sua opera.
Dalle note, dell’amica Leslie Jamison e della traduttrice Roberta Scarabelli, appare chiaro l’impegno da entrambe profuso per rispettare lo stile e il tono che l’autrice aveva impresso al romanzo. La protagonista, Peggy Guggenheim (1898-1979), è raccontata nello spessore della personalità, vivacità intellettuale, sofferenza e curiosità per la vita e per l’arte.
Il romanzo abbraccia il periodo che va dall’infanzia fino al 1938 con un epilogo veneziano nel 1958. Godfrey fa emergere il solco lasciato dalla scomparsa del padre, nell’affondamento del Titanic, che ne segnò la vita nei rapporti con gli zii e i cugini e le lacerazioni provocate dalla morte della sorella maggiore Benita e quella dei figli dell’altra sorella, Hazel, in circostanze poco chiare e della madre, a cui negli ultimi anni della sua vita si era avvicinata.
Questi tristi avvenimenti punteggiano lo scorrere degli anni portandola a pensare di essere oggetto di una maledizione, una scia di morte che colpisce la famiglia e le fa insorgere un senso di colpa rispetto alla salute e il benessere di cui lei e i suoi figli godono. Il rapporto con la madre, Florette Seligman della stirpe dei banchieri, fu difficile fino all’età adulta, Peggy si ribellava alle regole materne e al suo stile di vita rifiutandone l’ingessatura e rifuggendo la segregazione in una asfittica cerchia di persone esclusivamente interessate ai ricevimenti e i matrimoni combinati:  «Ci avevano insegnato che la cosa peggiore era essere notate».
Sposa Laurence Vail scrittore, traduttore, intellettuale e artista “re dei bohémien” che le fa conoscere gli artisti che frequentano i caffè parigini e alcuni membri della comunità americana degli espatriati tra cui quelli della Rive Gauche come Djuna Barnes.
Arrivata in Europa agli inizi degli anni Venti si lascia alle spalle la pesantezza dei giudizi con cui era cresciuta, per il mondo, ebrea, ricchissima e futile per la famiglia inadeguata e fuori dagli schemi:  «Capii che un giorno avrei dovuto dimostrare a questi uomini (gli zii n.d.r.) che si sbagliavano su di me e su mio padre. Se credevano che fossimo in errore e sconsiderati, avrei dimostrato – in qualche modo- che eravamo noi quelli degni di ammirazione. Già allora, a sedici anni e con un carattere scostante, non gli permisi di farmi sentire in castigo».
Il padre era additato dai propri fratelli come pecora nera per aver abbandonato le attività di famiglia, l’estrazione mineraria e la lavorazione dei metalli che gli valsero l’appellativo di Principe d’argento, e sperperato la sua fortuna in progetti folli mentre si intratteneva con l’amante a Parigi, per Peggy era un visionario che aveva voluto impegnarsi in un progetto che guardava al futuro, ai suoi occhi un uomo sensibile dotato di una intelligenza fuori dall’ordinario in cerca di avventure.
Frequentando artisti/e, scrittori/trici e poeti/e cercò la sua strada e- mentre sosteneva quanti non avevano i mezzi per dedicarsi al talento- provò a coltivarne uno proprio cimentandosi con la pittura e la scrittura.
Troppo intelligente per prendersi in giro comprese di non aver doti in questo ma in altro, questo altro era creare le condizioni affinché il talento altrui potesse esprimersi, essere valorizzato e reso noto. Nella bellezza e nel genio artistico scorgeva manifestazioni vitali da contemplare, coltivare e condividere.
Dopo aver scoperto – e sopportato – la violenza del marito, con cui ebbe due figli, divorziò e si sposò una seconda volta e una seconda volta il matrimonio finì, amò con tutta sé stessa senza lasciarsi imprigionare nei codici sociali, ebbe relazioni e frequentazioni senza remore e senza infingimenti, fu una donna libera che voleva assaporare la vita.
Consapevole di essere sottovalutata affrontò con ironia gli alti e bassi senza prediligere il rancore, al contrario, fu generosa e mantenne vivi i rapporti al punto da portare in salvo dall’Europa travolta dall’infuriare della seconda guerra mondiale l’ex marito con la seconda moglie e i loro figli.
Il ritratto che ne emerge tra le pagine è quello di una donna dal carattere forte interessata al processo creativo dell’arte nelle sue declinazioni avanguardistiche: il surrealismo, l’astrattismo, il cubismo e tutto quello che di originale l’arte esprime attraverso il genio artistico.
A 39 anni, nel 1938, aprì la sua prima galleria d’arte a Londra, la Guggenheim Jeune, avviando un progetto di vita dedicato a far conoscere le avanguardie artistiche tra le due sponde dell’oceano. Scappò dall’Europa inghiottita dalla follia della guerra riuscendo a far arrivare in America tutte le opere che aveva acquistato per dedicarsi a un nuovo progetto espositivo e di talent scout fino al suo ritorno in Europa nel 1947 quando, esponendo la sua collezione alla Biennale di Venezia, si innamorò della città e acquistò Palazzo Venier dei Leoni, uno dei più interessanti musei di arte contemporanea da visitare.
Fu una donna fortunata perché visse nel lusso potendo permettersi di fare quel che voleva ma Godfrey e Jamison raccontano di più, raccontano della donna che cade e si rialza, degli affetti venuti a mancare, delle delusioni, degli sferzanti giudizi subiti e dell’amore per l’arte. Tre donne raccontano la profondità, i chiaroscuri, le scelte e i crocevia di un’altra.
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IL LIBRO
Rebecca Godfrey con Leslie Jamison
La principessa d’argento. La saga dei Guggenheim,
Garzanti
Traduzione di Roberta Scarabelli
Pagine 319
euro 18
L’AUTRICE
Rebecca Godfrey (1967-2022) è stata scrittrice, giornalista e docente alla Columbia University.Ha vinto il British Columbia Award e l’Arthur Ellis Award for Excellence in Crime Writing.Ha dedicato dieci anni alla stesura della Principessa d’argento, concluso, dopo la sua prematura scomparsa, dall’amica e giornalista Leslie Jamison.

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