Rifiuti è una delle parole pronunciate più spesso; ne parlano e scrivono giornalisti, uomini politici, sociologi, economisti, filosofi, medici, venditori di inceneritori e appaltatori di discariche, giuristi. In un piccolo paese come l’Italia i rifiuti movimentano alcuni miliardi di euro ogni anno.
Eppure ne parlano poco i chimici, gli adepti di una chiesa che ha come unico dio il “principio di conservazione della massa”, e i merceologi, quegli speciali chimici che studiano la circolazione della materia dalla natura, ai processi di produzione, ai processi di “consumo”, fino alla formazione delle merci usate, scartate e “rifiutate” che sono, appunto, i “rifiuti” materiali che hanno dentro di se tutte le molecole che erano presenti nelle risorse naturali usate come materie prime, e nelle merci fabbricate.
La qualit e quantit di rifiuti prodotti in un paese come l’Italia, con 60 milioni di abitanti, sono grandezze abbastanza misteriose. Ci sono, naturalmente, delle statistiche della massa di rifiuti prodotti ogni anno, ma si sa troppo poco sulla esatta composizione chimica e merceologica dei rifiuti e ancora meno su dove vanno davvero a finire e su che cosa succede di loro.
Le norme europee e italiane dividono rifiuti solidi in quattro grandi classi principali rifiuti solidi urbani pericolosi; rifiuti solidi urbani non pericolosi; rifiuti speciali pericolosi; rifiuti speciale non pericolosi.
MATERIE SECONDE
Le incertezze nei valori sono dovute al fatto che negli ultimi venti anni sono continuamente cambiate le definizioni di legge delle varie categorie di rifiuti; soprattutto alcuni rifiuti industriali sono stati “promossi” dalla categoria di “rifiuti” (materiali soggetti a certe norme abbastanza rigorose e quindi sgradevoli per chi li produce) a quella di “materie seconde” o a quella di “sottoprodotti” o altre che consentono ai produttori di tali rifiuti di spendere meno soldi.
Fra i rifiuti speciali i “rifiuti industriali” figurano come rifiuti delle attivit manifatturiere, oltre 50 milioni di tonnellate all’anno, rifiuti delle attivit di costruzioni e di attivit di miniere e cave, circa 55 milioni di tonnellate all’anno, e rifiuti del trattamento dei rifiuti per un’altra ventina di milioni di tonnellate all’anno.
I rifiuti delle attivit manifatturiere provengono dalle industrie agroalimentari per circa 13 milioni di tonnellate, dalla fabbricazione di materiali e macchinari metallici per 12 milioni di tonnellate, poi dalle industrie chimiche, con circa 6 milioni di tonnellate, di cui circa 2 di rifiuti pericolosi, poi dall’industria della carta con oltre 4 milioni di tonnellate. L’industria della lavorazione di carbone e raffinazione del petrolio producono circa 2 milioni di tonnellate in gran parte pericolosi.
LA PRODUZIONE DI SCORIE
Le attivit di lavorazione dei minerali non metalliferi, come la segagione di marmi e graniti, producono circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti, a cui vanno aggiunti i residui e rifiuti di attivit di cave che sono classificate fra i circa 52 milioni di tonnellate di rifiuti delle attivit di costruzioni.
Fra in rifiuti delle attivit manifatturiere sono compresi circa 4 milioni di tonnellate provenienti dalle attivit di recupero e riciclaggio di altri rifiuti, il che sta a indicare che tali operazioni, considerate ecologicamente virtuose, generano però anch’esse, perch per definizione la materia non scompare mai, grandi quantit di scorie. Alle quali vanno aggiunti una ventina di milioni di tonnellate di rifiuti delle attivit di trattamento dei rifiuti e di depurazione delle acque di fogna (classificate fra i “servizi”), altre attivit ecologicamente virtuose, perch tolgono i rifiuti da qualche parte, anche se generano da qualche altra parte altri rifiuti inquinanti.
TONNELLATE DI CENERI
La produzione di elettricit produce anch’essa circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti, dichiarati in gran parte non pericolosi. Si pensi che la produzione annua di elettricit dai circa 16 milioni di tonnellate di carbone impiegato in questo campo generano circa 2 milioni di tonnellate di ceneri.
Nel campo delle statistiche ambientali c’è una certa confusione e difficolt di confronto fra i vari rilevamenti degli ultimi venti anni. E ciò sia per i vari cambiamenti nelle definizione di “rifiuti speciali”, dovuti a cambiamenti nelle normative italiane adottate nel recepire, con diverse interpretazioni, le normative comunitarie, sia perch nel 2008 sono cambiate, rispetto a quelle in vigore quando sono state redatte le statistiche prima citate, le definizioni delle “attivit ” economiche a cui vanno attribuiti i vari rifiuti.
Se i precedenti dati forniscono qualche informazione almeno sull’ordine di grandezza dei rifiuti delle principali classi di attivit economiche, ben poco si sa sulla reale natura di tali rifiuti. La classificazione di “pericolosi” o “non pericolosi” è affidata a chi redige le denunce della produzione di rifiuti, ci a centinaia di migliaia di operatori economici che sono tenuti a produrr 6 è« « o è á « s pt B L libri n e B link B B d d B d d « B pG B B «7 B e « B E B B èMODE B H l è NO è B B» OJ B e
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B e delle denunce annuali, accontentandosi di classificare i rifiuti stessi in una delle numerose categorie previste dalla legge e indicate con i codici CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti); tali categorie comprendono circa settecento voci di rifiuti, in genere caratterizzati sulla base dalla loro provenienza piuttosto che sulla base della loro composizione chimica.
Ai fini della difesa della salute umana e dell’ambiente sarebbe invece importante sapere quali materiali sono effettivamente contenuti nei vari rifiuti. Per far ciò bisognerebbe conoscere i bilanci materiali, ci i chili di materia che entra ed esce in ciascun processo, e la composizione delle materie prime trattate, in innumerevoli cicli produttivi, che variano di anno in anno, cos come variano le caratteristiche delle materie prime trattate.
Mentre ciascuna impresa cerca di conoscere la qualit merceologica dei prodotti e dei manufatti che vende, non è tenuta a sapere e probabilmente non è neanche in grado di conoscere che cosa finisce nei rifiuti. E invece sarebbe proprio utile conoscere la loro composizione chimica, oltre ai caratteri fisici, per prevenire sia incidenti e danni per i lavoratori durante la movimentazione di tali rifiuti, sia la pericolosit per l’ambiente.
Una cultura della bonifica presuppone la crescita, anche nelle Universit , di una geografia e merceologia e storia dei rifiuti, che identifichino dove si trovavano le fabbriche del passato, che cosa producevano, con quali materie, e quali rifiuti “probabilmente” hanno prodotto e dove essi sono finiti.
Soprattutto occorre, invece di una politica della protezione civile dai danni che si verificano a causa della diffusione dei rifiuti industriali, una politica, e una cultura, della prevenzione.
evidente che qualsiasi intervento dello Stato negli affari e nelle produzioni private è considerato uno sgradito intralcio; purtroppo molte attivit e processi del ciclo dei rifiuti industriali sono coperti dal segreto industriale che rende difficile conoscere quali rifiuti vengono prodotti. Eppure una crescita della politica e della cultura dei rifiuti industriali è necessaria e urgente se si vuole evitare che altre morti si verifichino sui posti di lavoro, se si vogliono prevenire malattie e danni alla salute, oltre che alla natura e ai paesaggi; alla salute umana prima di tutto, dovuti al fatto che non sappiamo abbastanza anzi quasi niente di quello che sta succedendo intorno a noi e non siamo capaci di tenerlo sotto controllo, come dovremmo nel nome dei diritti dei lavoratori e dei cittadini a non essere avvelenati.
*Professore emerito dell’Universit di Bari
Nella foto di Nando Calabrese, il depuratore di Cuma