Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte in un contesto mondiale (a Napoli, 12, 13 e 14 ottobre) è stato un convegno internazionale importante per il numero dei partecipanti provenienti da prestigiosi Istituti di cultura europei e statunitensi e soprattutto perché ha ufficializzato l’ accordo tra il Museo e Real Bosco di Capodimonte e The Edith of Art History the University of Texas at Dallas: creeranno a Capodimonte un Centro di Ricerca per la Storia dell’Arte delle Città Portuali. Forse possiamo anche definirlo un Convegno itinerante, perché si è spostato in vari luoghi del Museo e del Real Bosco.
Leone de Castris, dell’Università Suor Orsola Benincasa, ha coordinato le conferenze che si sono tenute nelle sale del Museo. Dove, inaspettatamente, si è visto il direttore della Reggia-Museo e del Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger, seduto tra il pubblico, prendere appunti e fare umilmente qualche domanda, come un semplice studente qualunque.
Il Convegno ha sostato anche nella sala Alberto Burri, dove un’intera parete è ricoperta da un’opera di questo artista. Quest’opera, il “Cretto Nero”, è un insieme di pezzi di ceramica di varia grandezza e di forma irregolarmente poligonale, alcuni leggermente incavati, ricoperti da una lucente vernice nera. Qui, in questa sala, è stata presentata”Split”, dell’artista svizzero John Armleder, una di quelle opere dette site-specific, cioè realizzate apposta per il luogo dove sono collocate. “Split” è stata dipinta sulla parete di fronte al “Cretto Nero”, a cui fa da contrastante pendant, fatta com’è da superfici dalla forma aguzza di poligoni colorati da diversi, vivi colori.
Questa parete è il limite di una scala retrostante. Sull’altra parete della scala, visibile anche dal basso, “Split” continua con i suoi colori. E “Split” è dipinta anche su una parete del piano superiore, di lato alla scala, ed è visibile dal basso come se fosse una continuazione degli altri due dipinti, come se formasse un’unica opera con gli altri due. Non so se questa descrizione sia stata chiara.
Temo di no. Voglio dire che il dipinto si svolge su tre diverse pareti che al fruitore, dal basso, appaiono formare un unico dipinto, giacché lo spazio esistente tra le tre pareti non si vede, testimoniando l’invisibilità dello spazio terreno. E’ stato questo l’argomento del quale ho parlato con l’autore, un simpatico signore, che, a tutta prima, sembra abbigliato come un comune borghese. Fin quando non ci si accorge di una lunghissima treccia di capelli che gli scende sul dorso.
L’inaugurazione di “Split” è stata anche l’occasione per annunciare l’accordo tra il Museo di Capodimonte e la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee (con in museo Madre), cioè tra il direttore Sylvain Bellenger e il direttore Andrea Viliani. «Sono due amici che si fidano l’uno dell’altro» ha detto Pierpaolo Forte, presidente del Madre. L’accordo prevede uno sviluppo congiunto delle rispettive collezioni del contemporaneo. Un accordo che non è stato ancora scritto ma che è iniziato a concretizzarsi appunto con l’arrivo di “Split” a Capodimonte. Quest’opera, infatti, traduce in pittura murale la lacca intitolata “Sans Titre” che, realizzata da Armleder nel 1985 e presentata poi, due anni dopo, alla Biennale di Venezia, farà parte del progetto del Madre “Per formare una collezione”.
Proiettare Capodimonte nel mondo dell’attuale arte contemporanea significa anche immergere Napoli in un ampio contesto culturale internazionale, che è l’argomento del convegno. I convegnisti, la sera, si sono spostati al Madre, dove .veniva inaugurato un lavoro dell’artista Darren Barren. Con una presentazione in cui imperavano scacchi, ostriche, popcorn, fiati e zampogne (come riferisce, nella cronaca del giorno dopo, la solerte addetta stampa Luisa Maradei) e anche scarpe e biscottini.
Mentre una folla divertita partecipava, seguendo le indicazioni dell’autore, alla sua opera performativa, in modo che si confondessero i limiti tra autore, fruitori e spazio espositivo. Una movimentatissima festa colorata, alla quale la presenza di politici e di molti VIP del mondo dell’arte, direttori di musei, artisti, critici, collezionisti, galleristi, dava la patente di importante e innovativa opera d’arte.
Un altro luogo del convegno è stata la deliziosa chiesetta settecentesca di San Gennaro, sita nel Real Bosco, la cui storia è stata illustrata molto bene da Maria Gabriella Pezone, dell’Università Luigi Vanvitelli. Che ci ha raccontato che questa era una vecchia chiesetta poi rimodernata, nel Settecento, da Ferdinando Sanfelice. Ha una pala d’altare di buona fattura a lui attribuita e un’articolata pianta ovoidale, deturpata poi da un intervento aggiuntivo eseguito dopo l’Unità.
Ma il luogo protagonista del convegno è il Real Bosco. Entrando nel parco, una tappa desiderata è al Belvedere, dove la vista della meravigliosa curva della città, del golfo e dell’orizzonte marino suggerisce l’identità di Napoli. La immaginiamo nata dal mare, fondata da marinai che nella mente e nel cuore avevano il mare. Fu il mare che suggerì loro pensieri, sentimenti, modi di vivere insieme, (“siamo tutti nella stessa barca”). E ispirò anche l’arte, soprattutto quella figurativa, e una profonda sapienza, quella espressa dal marinaio-filosofo Parmenide, che la continuità storica della città ha permesso di conservare e che è ancora, in parte, nella gente semplice del popolo napoletano.
Ci allontaniamo dal Belvedere. Dobbiamo andare al raduno che inaugura il convegno. L’appuntamento è al Cellaio, un capannone dove, al tempo dei Borbone, si conservavano la frutta e la verdura. Alle pareti, scale di ferro, rastremate verso l’alto. Servivano per potare gli alberi o raccoglierne i frutti. Perché nel Real Bosco c’era una fattoria, che rendeva il luogo e i suoi abitanti una comunità autonoma.
L’ultima conferenza, al Cellaio, “Breve introduzione alla storia del bosco di Capodimonte”, è stata tenuta da Carmine Guarino, della Università del Sannio. Che poi, insieme a Salvatore Terrano, della stessa Università, ci farà da guida nel bosco. Fino alla radura, dove sorge, grande e imponente con la sua ampia, verde chioma, il canforo, ovvero l’albero della canfora. Le nostre guide ci mostrano vari edifici, nel bosco ce ne sono diciassette, quasi tutti ristrutturati dalla Sovrintendenza Bellenger. Vediamo la Scuola di Ceramica, la Fagianeria e la Capraia, dove alloggerà il Centro Studi su Napoli Città-Porto.
Nel bosco, vivono volpi e scoiattoli – ci dicono- ma non li vediamo. Vediamo una grande varietà di piante. E sentiamo il movimento delle foglie, il fruscio, il rumore dei nostri passi sulla terra… ascoltiamo la vita del Bosco. Tutto si muove e cambia: si evolve. E comprendiamo che le piante ci stanno dicendo il significato della vita.
L’evoluzione vitale,… non l’impositivo, esclusivo progresso … e ci viene da pensare a Wolfang Goethe, che, nel 1789, subito dopo il suo viaggio in Italia, scrisse Versuch die Metamorphose der Pflanzen zu erklären, cioè Tentativo di spiegare la metamorfosi delle piante.
A Napoli Goethe aveva conosciuto le menti illuminate di Wilhelm Tischbein e di Philipp Hackert e aveva cercato di captare lo spirito di quella che disse una città felice. Solo molto più tardi, nel 1817, scrisse il suo Italienische Reise (Viaggio in Italia). Quasi per rievocare un tempo ormai scomparso. Nel frattempo, in Europa erano accadute molte cose. Il mondo era cambiato. Ed era diventato un mondo a cui lui si sentiva estraneo. Il significato della vita non era più quello che gli avevano detto le piante. A Napoli Goethe non tornò più. Forse pensava che anche qui tutto, anche tutto il popolo napoletano, fosse cambiato. Ma non era così.
Nella foto in alto, Viliani al centro tra le due opere, quella di Burri e “Split” di John Armleder; in primo piano, Bellenger. I due scatti in questa pagina sono di Amedeo Benestante
Per saperne di più anche sui prossimi appuntamenti
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