TERZA PUNTATA
-Dottore, è andata, male vero? Però sul giornale era scritto che cercate giovani bravi nell’uso del computer ed io quello lo conosco bene ma non mi avete dato il modo di dimostrarlo. Io credevo di doverlo usare ora, durante l’esame e invece…-
– Quella, la prova che dice lei, verrà, semmai, in un secondo momento, -aggiunge l’esaminatore il quale ha evitato il termine step- dopo aver prima superato i quiz ed il colloquio prove che, ma questo non lo dice, Gennaro non ha superato.
Ora il giovane si alza, saluta educatamente e si allontana dall’aula. La certezza della sconfitta gli appanna lo sguardo ma fuori, nel corridoio, vede una ragazza che lo aspetta: Maria, ed allora sente che deve recitare una nuova parte.
– E allora, Gennà, com’è andata?-
– E tu che ci fai qui?-
– Me lo ha detto tua sorella Assunta; ma allora com’è andata? Me lo vuoi dire?-
– E… com’è andata; quello l’esame mica è finito; e poi devo fare ancora le prove con il computer e quello, tu lo sai, io lo conosco bene…-
– Ho capito, Gennà; vabbè, sarà per la prossima volta, Non ti avvilire.-
– E chi si avvilisce, Marì.-
In quel mentre dall’aula esce il giovane funzionario. Vede i due ragazzi e si avvicina; non vuole evitarli anche se la pena che ha nel cuore è insopportabile.
– Lei è Maria, vero?-
– Sì, ma scusi lei come lo sa?-
– Gennaro mi ha detto di voi…-
– Ma Gennà?– finge di arrabbiarsi la ragazza.
– No, io non ho detto proprio niente e poi Marì ma che c’è di male a dire che ci vogliamo bene; prima o poi lo devono sapere tutti.-
– Sì ma scusa, al dottore che gliene importa di noi. Lui domani se ne parte e noi restiamo qui. Tanto si sa –poi continua rivolta al funzionario con rabbia appena trattenuta- voi venite a fare questa sceneggiata nel Sud e poi i posti li date sempre a quelli del Nord.-
– Marì ma che dici, statti zitta.-
– Gennà, tu sei troppo ingenuo. Lo sanno tutti; noi dobbiamo scontare sempre il peccato originale di essere napoletani.-
– Ma te vuò sta zitta. Scusate dottore.-
– No, Gennaro la lasci dire. Signorina capisco il suo rammarico ma le assicuro che non è così. Vede anch’io sono del Sud. Mio padre veniva dall’Irpinia. Oggi però solo il diploma non basta. Bisogna sapere tante altre cose. Anzi, Gennaro, mi ascolti; le volevo dire che noi in fabbrica, fra due mesi cominciamo corsi di preparazione per varie figure professionali. Lei potrebbe venire a seguirne uno. Le assicuro che sono fatti molto bene e, dopo, vi sono serie possibilità di essere assunti, sia pure con contratti a termine, per qualche mese. E poi, piano piano, sa come vanno queste cose, ci vuole pazienza e tanta buona volontà. Certo capisco- aggiunge guardando gli occhi della ragazza ora pieni di lacrime- però oggi purtroppo è così, non possiamo aspettare il lavoro sotto casa.-
– E no, che c’entra. Io non ho detto niente;– dice la ragazza. -Magari Gennaro trovasse un lavoro; io poi,- dice aggrappandosi al braccio del giovane- lo seguo, mica sto a sentire la mia famiglia.-
Gennaro guarda la ragazza con tenerezza.
– Bene,- dice il funzionario. Lei è così giovane, non si deve scoraggiare. Anzi guardi, Gennaro, questo è il mio biglietto da visita. Quando viene su, a Treviso, si faccia sentire. Almeno, nei primi tempi, le potrò dare una mano a sistemarsi.-
– Sì, grazie dottore.-
– Bene, arrivederci ragazzi. E buona fortuna.-
I due giovani, ora abbracciati per darsi coraggio, forti del loro amore, guardano il funzionario che si allontana in fretta; soltanto il ruolo ufficiale gli impedisce di esprimere la sua profonda tristezza.
Fuori, nell’aria calda della sera, cammina distratto ritornando verso l’albergo dove l’attende la moglie. È triste e mai come in questa trasferta napoletana ha sentito il disagio di una generazione che guarda quelli che verranno “dopo” senza vedere troppe possibilità per il futuro. Che cosa sarà di Gennaro, si chiede e quello di tanti ragazzi il cui “peccato originale” è duro da vincere nell’abusata cronaca di ogni giorno. Avrà, Gennaro, la forza di combattere per imporre il suo diritto alla vita o si lascerà trascinare dalle scorciatoie che, ogni giorno, approfitta della disperazione offre ai giovani?
(3.fine)
PRIMA PUNTATA
– Venga il prossimo, per favore.-
Un giovane, stretto in un abito certo indossato per l’occasione, avanza con un evidente disagio dovuto al luogo ed all’emozione del momento.
– Buon giorno.-
– Prego si accomodi. Lei chi è?-
– Mi chiamo Gennaro.-
– E poi?-
– Come, scusi.-
Dall’altra parte della scrivania un uomo, poco più anziano, alza la testa un po’ sorpreso ma non più di tanto. Da giorni ormai svolge il suo compito di esaminatore ma ancora non si è abituato alla timidezza di molti di questi ragazzi i quali tentano di nascondere la loro incertezza ostentando una sicurezza che non esiste.
– Sì. Gennaro; e il cognome?-
– Oh! sì, scusate; Esposito. Mi chiamo Gennaro Esposito-
– Bene. Da dove viene?
– Vengo da Napoli.-
– Ah! Certo! Me lo dovevo aspettare.-
– Scusate; è grave?
– Che cosa? Non capisco.-
– E lei ha detto: me lo dovevo aspettare; che cosa scusate?-
L’esaminatore, pentito, cerca di porre rimedio alla sua infelice osservazione; in realtà voleva solo mettere a suo agio il giovane; tentativo naufragato. Ma non per questo si arrende e, sorridendo, aggiunge
– Uno che si chiama Gennaro Esposito deve per forza venire da Napoli così come uno che si chiama mettiamo Rossi o Bianchi viene, quasi sicuramente, da Milano, non le sembra?.-
Il povero ragazzo non è nello spirito di capire e asciugandosi il sudore, risponde.
– Per forza non direi. Mio cugino, per esempio, pure si chiama Gennaro Esposito, ma vive a Prato.-
– Va bene, non importa– conclude l’esaminatore nel tentativo di riprendere il senso della discussione.
– Dunque, vediamo; Signor Esposito, mi parli un po’ della famiglia, della sua vita. Che lavoro ha svolto?-
– Dopo il diploma?–
– E certo. Immagino che prima, durante i suoi studi, lei non abbia svolto alcun lavoro.-
– No, io ho lavorato anche quando andavo a scuola. Non era un lavoro fisso, però. Portavo i caffè per don Gennaro, sapete il proprietario del bar Cappuccio, sì, quello al vico Cinquesanti.-
– Veramente non conosco don Gennaro e nemmeno il bar Cappuccio. Comunque non ha importanza. Ma scusi, io intendevo un lavoro più qualificato; un lavoro svolto per imparare qualcosa, non so, un mestiere, per esempio.-
– Ah! Sì. Sono stato tre mesi nell’officina di don Gennaro. No, non quello del bar; questo è un altro don Gennaro..- Ora è il ragazzo a sorridere mentre l’esaminante resta con la testa calata sulle carte.
– Sì, va bene; e che lavoro faceva?-
– Ve l’ho detto. Stavo nell’officina.-
– Sì, ho capito: ma che lavoro svolgeva? Aggiustava le macchine?-
– Veramente io guardavo soprattutto i motorini.-
– Ho capito- conclude il giovane docente; poi sorridendo aggiunge -insomma, se ho capito bene, li truccava, come dite voi a Napoli.-
– Come? Non capisco. Io li aggiustavo solamente.
Ora a sudare è l’esaminante. Non riesce a capire come mai ogni suo tentativo di alleggerire l’evidente tensione che si è creata non ottiene alcun esito anzi sembra intimidire ancora di più il ragazzo.
– Sì, ve l’ho detto; io li riparavo; e poi, scusate. Ma questo che cosa c’entra con il lavoro che dovrei svolgere. Sul giornale c’era scritto che cercate giovani diplomati, di buona volontà, anche disposto a trasferirsi fuori città. Anzi, volevo sapere, ma che significa fuori città: Pozzuoli, per esempio, è fuori città ma pure Milano è fuori città. Sul giornale non si dice dove.-
– E’ importante per lei?
– Certo. Scusate, ma un trasferimento è un trasferimento.-
– Ha la ragazza?-
– No, ma tra poco ce l’avrò.-
– In che senso scusi, si spieghi meglio.-
Questo poteva essere un argomento piacevole, pensò il docente, che forse avrebbe aiutato il ragazzo a trovare la tranquillità per poter proseguire.
– Sì perché Maria, così si chiama la mia ragazza, o meglio quella che sarà la mia ragazza, l’ha capito che io ci tengo e quando passa mi guarda per farmi capire, a me, che lei l’ha capito. Avete capito?-
– Con un certo sforzo- aggiunge ironico l’esaminatore.
Troppo tardi, ancora una volta, si rende conto di non essere capace di aiutare il ragazzo; ma questa volta ci pensa lui, il ragazzo, a trarlo di imbarazzo.
– Nientemeno! e assai ci voleva-.
L’esaminante sorride in maniera divertita nel tentativo di coinvolgere il ragazzo anche se non è convinto del buon esito.
– Sì, ha ragione; mi scusi, – Volevo dire…e si ferma; in realtà non c’è molto da aggiungere.
(1. continua)
In foto, un colloquio di lavoro