Il Madre, il napoletano Museo d’Arte contemporanea Donnaregina di via Settembrini 79, prende il nome dall’ex convento dove ha sede. Il suo vulcanico direttore Andrea Viliani è attentissimo ai fenomeni artistici mondiali a cui dà spazio nelle sue belle sale ottimamente ristrutturate dall’architetto portoghese Alvaro Siza. Ma è attento anche a valide manifestazioni locali, a cui dà il suo patronato, che, con uno scherzo linguistico, chiama “matronato”. Così il Madre ha dato il suo “matronato” a una manifestazione d’arte curata dal critico Marco Tonelli, “Illumina la notte con l’arte di via Varco”, che si sta svolgendo (28 ottobre/ 6 gennaio 2018) nelle cittadine avellinesi di Rotondi, Roccabascerana e San Martino Valle Caudina (proprio la valle di quelle Forche Caudine, che segnarono una brillante vittoria dei Sanniti sugli antichi Romani).
Via Varco è una strada del comune di Rotondi dove si trovano, l’uno dietro l’altro, i laboratori di sei artisti. «Sono artisti che da oltre vent’anni lavorano a Rotondi e tra loro si confrontano. Una sorta di comunità che si è formata così, quasi per caso. In verità- ha detto Marco Tonelli – hanno un capofila, l’artista Luigi Mainolfi, che è nato a Rotondi. Per loro è stato naturale seguirne le orme. Ma avrebbero potuto anche non farlo»
L’arte di Luigi Mainolfi (classe 1948) è fondata su una robusta creatività che tende sempre alla rappresentazione del reale, sia della natura che dell’uomo. I sei artisti di via Varco sono considerati suoi seguaci perché a lui legati da un comune sentire. Così Eugenio Giliberti (Napoli, 1954) Umberto Manzo (Napoli,1960), Luigi Perone e Peppe Perone (Napoli, 1972), Emiliano Perino (New York,1973) e Luca Vele (Rotondi, 1975), partecipano tutti insieme alla manifestazione “Illumina la notte con l’arte di via Varco”, dotando le strade di Rotondi ciascuno di una propria opera, che trasferisce in un attuale linguaggio i simboli del territorio e della sua storia.
Così una piccola cittadina di poco più di 3.500 abitanti è diventato un museo d’arte contemporanea all’aperto. Davvero intrigante. E mi ci reco. Mi fa da guida Maria Cristina Gallo, una simpatica signora, anche lei dedita all’arte e all’artigianato, che ha ingentilito Rotondi con un delizioso arredo urbano. Forse proprio lei ha suggerito di farne un museo all’aperto.
Con lo stemma sul portone del Municipio, in terracotta colorata, come le targhe delle strade, come una grande decorazione su un muro della piazza parrocchiale: un grande arco simbolico di vari colori che s’indirizza verso l’alto, dove, lassù sulla collina, si trova il Santuario di Maria Santissima della Stella, un luogo amato e venerato da tutti gli abitanti della valle. «L’ho realizzato con l’aiuto delle donne di Rotondi»- mi dice con molta modestia la signora Gallo. Ho poi saputo che proprio lei aveva creato un laboratorio di ceramiche per le donne di Rotondi, che poi era stato chiuso (“dalla politica”- mi è stato detto).
Tuttavia dalla sua scuola sono venute fuori alcune donne che continuano a coltivare, in questo luogo, l’arte della ceramica. Nella grande casa di campagna di Maria Cristina scopro un dipinto, di una brocca e due bottiglie, che esprime una strana energia. «Lo ha dipinto Luigi Mainolfi quando aveva, penso, diciassette anni»- mi dice la signora Gallo. Su un’altra parete, un altro quadro in cui tinte più delicate dipingono lo stesso soggetto. Lo ha dipinto lei. «Sì’, dipingevamo insieme. Con i colori che mi aveva regalato mio padre. Lui usava la spatola e ne consumava in abbondanza. Ma sin da ragazzo si capiva che era un vero artistai».
Poi Mainolfi si era indirizzato verso la scultura, avendo molto successo, e si era trasferito a Torino, dove ancora risiede. Ma a Rotondi ha lasciato la sua orma. E ora, per le strade di Rotondi, andiamo a cercare le opere di quei suoi seguaci. La cittadina ha un aspetto lindo e tranquillo. Colpita brutalmente dal terremoto dell’Ottanta, è stata ricostruita: tutte palazzine nuove con i tetti di tegole rosse, qualcuno di tegole di grigia ardesia.
Proprio a Rotondi si ispira l’opera di Eugenio Giliberti R-H2O, disegnata su un muro. Quasi una grande mappa dell’ambiente in cui è sorta la cittadina, ricca dalle acque del fiume Isclero: la realizzazione di una visione ecologica del mondo, tanto più necessaria ai nostri giorni.
Un altro Wall painting è l’opera di Perino&Vele intitolata “Pamaronna”. Un titolo a tutta prima misterioso. Nell’opera sono disegnati tre cacciatori . È il racconto di una storia. Un tempo lontano alcuni malviventi cercarono di rapire l’effige della Madonna della Stella, nel Santuario sulla collina. Ma la gente del posto si armò di fucili e li mise in fuga, salvando l’amatissima icona della Madonna.
In una piazzetta troviamo l’opera di Lucio Perone. Si intitola “Il sogno dell’emigrante”. Ma potrebbe anche illustrare il titolo della mostra. Infatti consiste in una lunghissima matita rossa posta un po’ sbilenca in verticale, che sostiene in cima un omino tutto bianco che ha tra le mani un globo che la notte illumina la strada. E vitalizza con il suo vivo colore la piazzetta. L’arte illumina la vita.
Anche Peppe Perone, il fratello di Lucio, ama il colore. E sceglie l’azzurro carico per colorare un uovo sul quale ha posto una papera bianca che dice con il titolo:”Lasciatemi pensare”. L’opera non è soltanto spiritosa. Ma è soprattutto valida per la sua forma: la forma azzurra dell’uovo è volutamente resa con un lato un tantino più acuto e la papera con un collo un tantino più lungo del reale. Appunto per esaltare la bella forma ovoidale e lo slancio del lungo collo della papera.
Più cupo è il colore dell’opera di Umberto Manzo: nero e marrone. Il marrone è il colore di grandi foglie di tabacco, molto realisticamente realizzate, appese a un nero essiccatoio in ferro. La coltivazione e la lavorazione del tabacco erano molto diffuse in questi luoghi e ne costituiva fonte di benessere. Ma poi – dicono- questa attività era stata disincentivata dal Governo per favorire il tabacco toscano e cubano. Ma la lotta del Governo alla lavorazione e coltivazione del tabacco delle nostre parti è storia antica. Risale nientemeno all’Unità d’Italia, quando, via via, anche a Napoli, era stata disincentivata la lavorazione del tabacco che produceva l’ottimo sigaro napoletano.
Non sono giorni allegri. E’ tempo dei morti. Il cimitero di Rotondi accoglie i visitatori. Maria Cristina mi mostra le tombe dei genitori di Luigi Mainolfi, con toccanti decorazioni in marmo e la cappella funeraria della sua famiglia, dove l’artista ha postouna sua scultura in metallo. Una forma pressoché sferica, sulla quale è rappresentato in rilievo un agnello trafitto: simbolo pastorale e divino.
In questi giorni, sono frequenti gli eventi d’arte a Roccabascerana e a San Martino Valle Caudina. A Rotondi, il 28 dicembre, sarà consegnato a Luigi Mainolfi un riconoscimento ufficiale.
Nella foto in alto, Luigi Mainolfi nella galleria Verrengia Di Salerno