Il confronto con la cosiddetta terza età, la fotografia di un’intera vita, la sensazione di guardare al passato e l’assenza di un futuro segnano la vecchiaia come una fase tra le più brutte della propria esistenza. Ma non è così, non deve esserlo, bisogna reagire, vivere, superare e superarsi. Sono i pensieri che emergono da libro di Francesco Divenuto, Vento di desideri (Edizioni Scientifiche Italiane – pagg. 127 – euro 12).
L’autore sceglie, in primo luogo, Parigi, quella città che ti rende i “movimenti incerti” e la “volontà assente”, ti plagia, ti affascina, ti annulla. E’ lì che inizialmente il peso degli anni, il sentirsi un punto indietro, di un’altra generazione, consuma la coscienza e distrugge l’io. Quando spesso si fanno i conti con se stessi, la vita ti presenta il suo ed è quasi sempre salato, proibitivo.
La vita ti coinvolge ogni giorno, ti chiede ruoli e responsabilità, scelte e direzioni; non conviene ignorarla, subirla solo è inopportuno. Costringe il professore in pensione a pensare, gli dà dolore.
E allora la curiosità, l’apertura verso altri popoli e tradizioni, il rincorrere il “dovere” della felicità, devono accompagnare lo scorrere quotidiano, la vita da vivere, insegnare quello che si è appreso, contaminarsi con chi deve ancora affacciarsi alla vita. Saper guardare indietro e parlare “avanti”.
La vecchiaia deve essere vissuta con libertà, secondo l’autore, almeno è un monito il suo. (Ri)partire, (ri)cominciare, senza subire, né appesantirsi. E, quando la memoria prende il sopravvento sul presente, la vita va attaccata liberamente. Fin quando si conduce il gioco, gli eventi si possono ancora determinare. Si deve condizionare, influenzare. Si deve giocare fino in fondo.
La figura dell’anziano professore, il personaggio del libro, evoca una persona, come si direbbe, “vecchio stampo”; trasmette l’idea della gentilezza, della positività. Un uomo che si rende perfettamente conto di come si sta al mondo: da un lato occorre lasciar spazio alle nuove generazioni e dall’altro bisogna dare a queste ciò che ancora si può, ciò che non sanno, che non immaginano, che non sono in grado di conquistare.
Ma è sull’aereo di ritorno a casa da Parigi che alberga nella sua mente il nuovo inizio, un nuovo inizio. Il tempo di tornare e ripartire di lì a poco per un’altra meta: nuove storie, nuovi personaggi.
Quei dialoghi origliati in volo lo portano via nell’immaginazione. Li ascolta e li completa con la propria mente, secondo ciò che vuole trasmettere. Il finale, inventato secondo la sua “costruzione” dei fatti, parte da persone vere, ma poi lo scrittore finisce la sceneggiatura di quelle vite, narrandone sentimenti quali l’amore, i ferimenti, le passioni, i sogni. Insomma, la propria vita.
In fondo la morte, quella fisica, è solo l’atto finale di una storia già tutta raccontata. Meglio non pensarci.