Storicamente la chiesa di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta è la prima chiesa costruita a Napoli dedicata alla Madonna. Ed è anche un luogo carico di leggende. C’è quella della pietra santa, baciando la quale si riceveva indulgenza per i propri peccati; ma quest’antica pietra sembra non sia stata mai trovata. E ci sono anche storie cupe di sangui e di “janare”.
C’è la storia di Pomponio, vescovo e poi santo, a cui la Vergine era apparsa in sogno. Gli disse di costruire una chiesa per lei. Proprio nel luogo dove c’era il diavolo, che appariva, di notte, sotto le sembianze di un maiale. Pomponio le obbedì: costruì la chiesa (circa nel 630) e inoltre, ogni anno, coram populo, faceva sgozzare una scrofa. Questo fu una specie di rito che durò per molti anni ancora.
Raccontano che il diavolo era stato mandato dalle Janare, le sacerdotesse della dea Diana, inviperite perché era stata costruita una chiesa alla Madonna laddove c’era stato un tempio per la loro dea. Accanto alla chiesa della Pietrasanta, infatti, c’è un campanile, che vanta di essere il più antico esistente in Italia. E’ in laterizi ed è del tempo in cui la città era un autonomo ducato (VII / XII secolo). Questo antico campanile conserva le pietre di spoglio di un tempio di un’epoca ancora più antica, quella della greca Neapolis. Era questo il tempio dedicato alla dea Diana?
Ora, da domenica 3 dicembre fino al 27 maggio, alla Pietrasanta c’è, proveniente dal MuSa di Salò, (dove era un po’ diversa e, nel sottotitolo, diceva “da Goya a Bacon”) la mostra de Il museo della follia – da Goya a Maradona, curata da Vittorio Sgarbi. Si prevede che replicherà il grande successo della precedente mostra sgarbiana alla Pietrasanta, Tesori nascosti. Infatti, già la presentazione alla Stampa (il 2 dicembre) è affollatissima.
I relatori sono persone eminenti in campi diversi. Ci sono Monsignore Vincenzo De Gregorio, già direttore del Conservatorio San Pietro a Maiella e ora Rettore della Pietrasanta, il magistrato Nicola Graziano, Anna Maria Minicucci, direttrice dell’ospedale Pausillipon-Santobono, a cui Diego Armando Maradona ha donato il cachet ricevuto per l’utilizzo del suo nome, il direttore del Museo Madre Andrea Viliani e lo psicologo e psicoterapeuta Raffaele Morelli.
Tutti loro si interrogano sul funzionamento del cervello umano, sul quale la scienza non ha mai smesso di interrogarsi. E una domanda cogente è quella relativa al genio. Di una persona geniale si dice: ha un grande cervello, è un cervellone. Ma il cervellone per antonomasia, quello di Einstein, non era più grande di quello della gente comune. Allora si suppose di trovarvi un numero maggiore di neuroni, che sono le cellule più importanti che si trovano nel cervello. Nient’ affatto: si vide che erano in numero più o meno uguale a quello dei neuroni che si trovano nel cervello degli altri mortali.
L’intelligenza non dipende dal numero dei neuroni- si concluse- ma dalla loro attività, cioè dalla qualità e dalla molteplicità delle connessioni tra loro. E il contatto tra i neuroni, cioè le sinapsi, lo spiegò e continua a spiegarlo Edoardo Boncinelli (Rodi, 1941), biologo e genetista, comporta un’alterazione biologica. Praticamente l’intelligenza è un fatto biologico, genetico. Boncinelli aggiunge che, se si parla di statura, di peso e di alcune malattie come il diabete, tutti accettiamo che in gran parte dipendano dai geni, ma, quando si parla di intelligenza, l’idea che vi siano coinvolti taluni geni fa irritare tutti.
Dopo i vari relatori, parla Vittorio Sgarbi. Il suo discorso è lungo ma non stanca. Il suo parlare è quasi una confessione dei suoi pensieri. Il pensiero di un uomo che studia sé stesso anche per capire gli altri. O viceversa? La follia, secondo Sgarbi, nasce dal non sentirsi compresi e accettati, dall’essere emarginati.
Sgarbi si avvicina ai folli con rispetto, cercando di comprendere il loro disagio e ci parla degli sguardi disperati dei folli dipinti dagli artisti: «Ritrovo in me un pezzettino di ciascuno di loro»- dice.
Essere artisti, in fondo, è essere folli, cioè diversi, e la società non è portata ad accettare la diversità. Soprattutto oggi, quando si fa un gran parlare di uguaglianza e ci si ritrova, infatti, spesso tra persone che pensano e dicono le stesse idee, le sole che considerano logiche e razionali, e quindi sono intolleranti verso chi la pensa diversamente. Una teoria diversa, o addirittura una nuova scoperta, non viene compresa né accettata. Forse è questa una delle ragioni per cui oggi i gesti dei folli sono in aumento. Forse non è perché i pazzi siano in maggior numero, ma perché l’intolleranza, terribile è quella che si veste di tolleranza, è maggiore che nel passato.
Sgarbi certo non è una persona comune e il suo agire, esprimersi, confidarsi forse nasce dal bisogno di trovare interlocutori che possano comprenderlo. Forse i suoi molti fans e questo suo continuo rapporto con il pubblico lo salvano dalla follia.
La presentazione di questa mostra è stato un evento talmente affollato e il discorso di Sgarbi talmente affascinante, che, dopo aver sentito gli altri relatori, sono rimasta in piedi ad ascoltarlo, ancora per altre ore. Stanchissima, non ho voluto tuttavia rinunciare a visitare la mostra.
Nella mostra uno dei protagonisti è il buio. E un cartello che avverte: Entrate ma non cercate un percorso, l’unica via è lo smarrimento. E’ questo un modo per introdurci alla comprensione della follia, per farci intuire quel sentirsi smarriti in un mondo sconosciuto e alieno. La follia, nel suo aspetto più brutto, è alienazione.
Disperazione per non essere compresi da un mondo estraneo: questo ci narrano gli sguardi smarriti dei personaggi di Vincenzo Gemito e di Antonio Mancini. Mentre ci parlano della ipocrisia di questa società, della sua mancanza di verità, i volti deformati disegnati da Francis Bacon. E ci sono opere di Francisco Goya, Telemaco Signorini, Fausto Pirandello, figlio di Luigi, Antonio Ligabue e di tanti altri ancora. Una mostra importante di quadri belli e significativi. Che suggeriscono il desiderio forte di rivederli. Ci sono anche filmati di ex manicomi, visti attraverso delle lenti. Una fredda e arida conoscenza, attraverso una perfetta tecnologia, di una realtà terribile e terrificante. Da cui si distoglie lo sguardo che non se ne compiace.
C’è anche, all’entrata, un grosso, (alto tre metri- dicono) corno rosso regalmente incoronato: è il logo della mostra. L’autore è Cesare Inzerillo. All’uscita c’è ancora Vittorio Sgarbi, che parla cordialmente con i suoi fan. A proposito di follia e del fatto che la mostra ora si tenga a Napoli. Una città piena di follia. «Una follia che ha coinvolto anche il suo sindaco,- dice Sgarbi- tanto che vi avrebbe voluto mettere un corno gigante sul lungomare. Prima l’ho criticato. Ma ora non sono più tanto sicuro che avessi ragione ».
Forse è giusto considerare Napoli folle. Perché è diversa. E vorrei domandare a Sgarbi se sia giusto considerare nella civiltà occidentale due poli: l’uno che ha per simbolo il Presepio, l’altro il Partenone. Il Presepio è simbolo di una civiltà napoletana di cui la cultura popolare è l’origine e la conseguenza: racconta, nel paesaggio naturale del suo scoglio circolare, la nascita del Bambino e il miracolo della nascita di ogni bambino, mentre attorno le scene della vita quotidiana e le tavolate di amici affermano che tutta la realtà è sacra nella sua immanenza pagana.
E, dal confronto, risulta più chiara l’astrazione dalla realtà umana, iniziata, nella potente e ricca Atene dei tesauroi del V secolo a. C., con il Partenone, costruito sbilenco affinché apparisse, a dispetto della sua visione naturale, perfettamente diritto e rendesse l’inesistente astratto spazio razionale a tre dimensioni. E fu l’esaltazione della razionalità classica. Che si impose nella Roma dei ricchi pubblicani. E ritornò nella Firenze rinascimentale dei banchieri medicei custodi del Tesoro di San Pietro. E ancora si impose nel Neoclassicismo giacobino e napoleonico dei banchieri parigini. E oggi , mentre impazza la finanziarizzazione dell’economia, il mondo e l’uomo diventano sempre più razionali ed astratti. Ma se la vera follia è la negazione della realtà umana nell’astrazione razionale, non siamo, per caso, in un’epoca di alienazione diabolica?
Fuori la Pietrasanta c’è gran folla di turisti. Vanno verso San Gregorio Armeno, la strada dei Presepi. Tra i pastori in terracotta, modellati per il Presepio, c’è anche Vittorio Sgarbi. Circondato da altri pastori, da tante pecore e anche da tante, tantissime “capre”, “Capre”, “CAPRE”…
Il museo della follia – da Goya a Maradona
Chiesa di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta
Via dei Tribunali, 377
Fino al 27 maggio 2018
Per saperne di più
http://www.museodellafollia.it/