Nel giorno della memoria ecco “Exodus” della pittrice marsigliese Anne Goyer (classe 1979, foto), la mostra curata da Laure Florès, direttrice del Centro Arti Fernand Léger di Port-de-Bouc. In un luogo culto dell’arte, il Pio Monte della Misericordia, in via dei Tribunali 253, custode del capolavoro di Caravaggio, nella chiesa del complesso architettonico, le “Sette opere di misericordia” esposto dal 1606 e mai trasferito dal suo luogo d’origine. Vernissage stamattina alle 11: l’esposizione potrà essere visitata fino al 27 febbraio.
Per la prima volta in Italia, l’artista evoca l’ exodus, attraverso installazioni di tre ritratti con polvere di grafite su carta (le dimensione delle opere sono: ritratto di Thomas Corella, 239,5×150 cm; ritratto di Robert-Paul Vigouroux, 246×150 cm; ritratto di Noah Klieger, 229×150 cm), accompagnati da testimonianze audio degli attori dell’episodio storico della nave Exodus del 1947.
Il lavoro, fortemente voluto dal Pio Monte della Misericordia, parte dall’esigenza di trovare un modo di rafforzare solidarietà e fraternità nei confronti di donne e uomini il cui vissuto non si può dimenticare.
«Catturare la memoria dal loro sguardo è anche sollevare il nostro verso una apprensione umile e rispettosa della storia ». Cercando di elevare l’emozione di fronte al potere della memoria, Goyer riattiva un episodio di punta della storia che riporta indietro di circa settant’anni. Ritrova in quelle macerie, materiali e spirituali, un intero continente, ossia l‘umanità. E la trasforma in una tela di testimonianze.
C’è anche un’opera al bitume della faccia di Cristo (Hinen), creata proprio per l’evento, che integrerà la collezione contemporanea permanente. Una delle tecniche dell’artista, sviluppata dal 2010 col “Lumiere Matiere Institute”, CNRS – Unità mista dell’università di Lyon, seguita da Anne Pillonnet e i suoi collaboratori. Un lavoro di ricerca che consiste nel far apparire un blu luminoso senza addizione di nessun pigmento.
L’esposizione Exodus si nutre di una storia per anni sepolta. Con il Trattato del 1947, l’Italia perdeva definitivamente tutti i territori conquistati durante la guerra, le colonie e le zone della Venezia-Giulia e Dalmazia. Città come Fiume, Ragusa e Zara passavano così alla Jugoslavia mettendo migliaia di persone di fronte a una brusca virata della storia che li obbligava a porsi un semplice, drammatico e lacerante interrogativo: restare nelle proprie case e diventare jugoslavi oppure lasciare casa per rimanere italiani?
Centonove campi profughi furono creati in tutto il Paese (anche a Napoli) per accogliere questi italiani spauriti e disorientati che, in realtà, l’Italia proprio non avrebbe voluto.
Esuli sradicati dalla loro terra, senza più casa. L’Italia post-bellica quel dramma umano, negandolo per decenni nei libri di scuola e nell’opinione pubblica. L’oblio delle piccole storie di migliaia di persone divenne il prezzo da pagare sull’altare della politica. E adesso riemergono dall’oblio in cui erano stato confinati attraverso suggestioni d’arte.