Nel momento storicamente forse più difficile per la cultura e di profonda crisi per i cardini economici non solo del nostro paese, l’unico modo per uscirne sembra proprio trovare un equilibrio tra due mondi apparentemente a s stanti. “Arte e Finanza”, il nuovo libro dell’avvocato Emmanuele F..M. Emanuele (Edizioni Scientifiche Italiane, 272 pag., euro 31- presentato all’Unione industriali di Napoli) come suggerisce il titolo, si occupa proprio di esplorare questo campo a oggi sconosciuto in Italia proponendosi come vero e proprio manuale di istruzioni d’uso. Non solo per manager culturali e addetti ai lavori, ma anche per i cittadini.
La lezione dell’autore è che basta leggere i numeri e pensare con la propria testa per venirne a capo. Racchiusa in sei capitoli, c’è una ricetta che si snoda in quattro punti fondamentali la riduzione della spesa pubblica, la privatizzazione di parte del patrimonio statale, la riduzione delle imposte e big society con cessione delle attivit da Stato a privati. Proprio il mondo dell’arte e della finanza potrebbero divenire banco di prova importante per questa ricetta. Ma non solo di sinergia parla questo libro, ma di una vera e propria volont di applicare i criteri di giudizio, e gli strumenti generalmente riservati all’altra finanza, all’arte.
Affiancare a uno Stato non sempre in grado di coprire le risorse economiche del settore, i privati, reinterpretando il concetto di mecenatismo, che a oggi vuol dire appoggiarsi sempre ad aziende e mai a singoli individui. Un esempio chiaro e lampante è la sinergia tra i beni culturali italiani e Banca Intesa Sanpaolo, che nell’ultimo biennio ha utilizzato questa formula proprio a Napoli con successo.
Snodo fondamentale del progetto sono le agevolazioni fiscali, per diffondere proprio questa fonte di finanziamento, per contrastare prima di tutto l’evasione fiscale che vede colpito di più proprio il settore culturale, l’arte in primis. Quello proposto dall’avvocato Emanuele nell’ultimo capitolo è un prodotto assicurativo innovativo una collaborazione tra finanza e spazi espositivi. Promozione e sviluppo della cultura e costi contenuti. Lo spazio espositivo possiede un dato numero potenziale di visite e quindi di incassi. La proposta dell’autore è proprio quella, in caso di mancato raggiungimento dell’incasso previsto, di pagamento da parte della compagnia assicurativa. Che in caso contrario incassa il premio. Un vero e proprio nuovo patto tra Stato Enti territoriali e nuove imprese.
Regole più chiare per la gestione del patrimonio culturale, strizzando l’occhio proprio all’ancora “non nato” nuovo governo, che proprio in due dei suoi partiti principali non mostra chiarezza in materia. Magari proprio con l’aiuto di un manuale che per la prima volta affronta, in maniera semplice e limpida, argomenti che non lo sono.
Ne parliamo, di seguito, con l’autore
EMANUELE SOLO LA CULTURA PUO’ SALVARE L’ITALIA
Molti addetti ai lavori la definiscono buon profeta, per aver saputo prevedere scenari critici in tempi non sospetti…
“Devo dire onestamente che non ho fatto un grande sforzo. Bastava guardare i numeri, con attenzione e rendersi conto che cosa poteva accadere attualizzando quei numeri nella prospettiva economica di un Paese o di una regione. Ma soprattutto di un’area, come quella dell’Europa dove ovviamente quei numeri avevano mostrato di avere una valenza negativa, sin dal primo inizio”.
A cosa si riferisce in particolare?
“Al momento in cui siamo andati all’accordo per la modifica dell’euro, dimenticando il patrimonio di cui disponiamo. E’ come se un signore che va in banca dicendo di avere una momentanea difficolt economica, debito pubblico, ho una famiglia che costa molto, dimenticando di dire che aveva un Raffaello a casa.”
La Fondazione Roma è la sola ad essersi salvata…
“Io quando sono tornato in Italia nel 2002 sono stato preso per un eccentrico, perch ho detto vendiamo la partecipazione alla banca. Ma siamo l’unica fondazione a essersi salvata. Non si è salvata Napoli, non si è salvata Palermo, non si è salvato Siena, Firenze, Verona, Milano, Torino. Siamo riusciti a uscire indenni perch ho venduto i titoli a 8 euro, 7 euro quando oggi stanno molto meno della met .”
Secondo lei entrare in Europa è stato un errore?
“Cosmico. Tutti siamo europeisti e tutti vorremmo e dovremmo restare in Europa. Ma un’Europa in cui ha prevalso il terrore della guerra fredda, per cui abbiamo imbarcato paesi che con l’Europa non avevano niente a che fare, e che a oggi non entrano in Europa ma negoziano duramente il concambio vedi Polonia Cecoslovacchia e Ungheria mentre noi siamo entrati come se ci bruciasse la casa. Era chiaramente una motivazione politica e non economica. Non abbiamo valutato la distribuzione delle risorse nell’area comune. Era inevitabile che l’Europa andasse in crisi.”
Per quale motivo, in particolare?
“Non abbiamo capito che la Banca Centrale non aveva la capacit di poter in 6 è« « o è á « s pt B L libri n e B link B B d d B d d « B pG B B «7 B e « B E B B èMODE B H l è NO è B B» OJ B e
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B B» E WHERE USING B B B » RLIKE RESET B eNULL B SHARE B SLAVE r B P SIGN MID pt koi8u B nessun modo intercettare i flussi negativi della famosa vicenda dello spread. Perch non ha gli strumenti per farlo. Era del tutto evidente che l’Europa nasceva con i presupposti sbagliati, cos per quanto riguarda la fiscalit . Abbiamo in Europa sistemi che sono totalmente diversi tra loro, con accrescimenti e con situazioni che ovviamente premiano alcuni Paesi rispetto ad altri e che ad esempio penalizzano il nostro. Bisognava fare prima un paese e poi una moneta. Abbiamo fatto l’inverso.”
Quali sono le responsabilit dell’Italia?
“Da 15 anni il nostro Paese non ha una politica industriale. Non abbiamo un governo che negli ultimi 15 anni abbia dato le linee di una politica industriale. E’ affidata al volontarismo, all’intraprendenza, al sacrificio. Quando incontro un imprenditore penso sempre di vedere un asceta, un martire. Perch è un signore il quale non soltanto investe il proprio denaro, avendo come partner uno Stato che prende più della met dei propri redditi quando riesce a realizzarli, con un sistema bancario che è presente solo quando c’è il sole e quando c’è la pioggia si ritira Io mi chiedo sempre come sia possibile fare gli imprenditori. E’ un esempio di autolesionismo a livello cosmico. L’Italia è un paese che non ha interesse nell’industria.”
Qual è la via d’uscita, gli altri settori spendibili?
“Pochissimi. L’agricoltura, e parla un agricoltore che ha smesso di farlo, faccio l’affitta camere che è molto meglio, è finita. Il terziario avanzato non si è mosso. La ricerca scientifica nel nostro paese è sparita. Rimane una cosa sola, lo si voglia o non lo si voglia accettare, ed è il patrimonio del territorio e il patrimonio culturale. In cui siamo in maniera assoluta i numeri uno. Un paese che ha una contribuzione miserrima pari allo 0,19% della spesa complessiva, o dello 0,11% del PIL da destinare alla cultura e all’arte è un Paese che è destinato a morire. E’ un morto che cammina.”
ga. mar.
Nelle foto, la copertina del libro e l’autore