Pubblichiamo di seguito la terza e ultima puntata del nuovo racconto di Francesco Divenuto, “Lei e lui (dialogo semiserio fra due ex coniugi)”. Seduti a un caffè, chiacchierano di parenti, a proposito del compleanno della sorella di lui. Il cameriere, invano, cerca di prendere l’ordinazione…
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Divenuto è autore, tra l’altro, di numerosi saggi su riviste specializzate e di due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane).
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, Variazioni Goldberg, Il bar di zio Peppe, Carmen e il professore, Il flacone verde (o Pietà per George), Lido d’Amore, Frinire, Primo novembre, Due di noi, Il trio, Quattro camere e servizi, Mai di domenica, Cirù e Ritù, Una notte in corsia, Gennaro cerca lavoro (il peccato originale), Fine stagione, Assemblea straordinaria al College, Quando le chiacchiere diventano troppe, La deriva della ragione, Si vendono poesie.
TERZA E ULTIMA PUNTATA
Scusate, avete deciso? ripete il cameriere questa volta senza nemmeno avvicinarsi.
– Sì, per favore due caffè; tu come lo vuoi?
– Io, amaro.
– Già, tu sei sempre a dieta!
– Però i risultati si vedono, non è vero? Ora sono 46.
– Tu dici? Scusa ma a me non sembra; fai tanti sacrifici e poi…
– Va bene, va bene… ah, giovanotto, per favore, mi porti pure un croissant.
– Senza zucchero, mi raccomando.
– Fai pure lo spiritoso, ma la dieta si fa proprio per poter, un giorno, farsi passare qualche sfizio.
– E quanti giorni, in una settimana, sono per te il giorno giusto? dai sorridi; ormai siamo vecchi, lascia perdere tutte queste sciocchezze.
– Ma che c’entra, la dieta serve anche alla salute, non soltanto alla linea.
– Tu dici? ma se tu poco fa mi hai detto che hai il colesterolo alto, la glicemia sballata e pure qualche fastidio della tiroide? scusa ma allora ‘sta dieta è proprio inutile. Di la verità dove l’hai letta. Ci giuro che te l’ha detta qualche amica tua.
– Che c’entra; quando vado a giocare a burraco, il mercoledì, tutti mi dicono che sono dimagrita; solo tu non vedi niente. Già e tu quando mai.
– Vabbè, lasciamo perdere. Piuttosto, ti preoccupi tu di comprare qualcosa per Sara?
– E che cosa posso prendere? Hai qualche idea?
– Ma, non so un libro. Un bel romanzo d’amore che so.
– Un libro? Quella non legge manco sotto tortura. L’unica cosa che legge sono i bugiardini delle medicine. Ma come ti vengono certe idee.
– Noi le regaliamo un libro ma di un premio letterario importante e quella per non ammettere che non lo conosce lo accetterà e dovrà pure ringraziare.
– Ma no e poi, scusa, ma un libro quanto può costare, al massimo 20, 25 euro e non ti pare un po’ poco?
– Ma che i regali si valutano dal costo? Ma che idea. E poi, certo, dipende da come glielo diamo; se, mettiamo, facciamo una bella confezione eh! che dici?
– Ma tu dici davvero? Mo’ le regaliamo un libro nell’uovo di Pasqua, ma dai cerchiamo un’idea che so più originale.
– Come sei catastrofica; sai che c’è di nuovo noi andiamo così per farle visita e poi le diciamo visto che è la tua festa abbiamo deciso di portarti a cena fuori eh! che dici?
– E sì, una improvvisata; questa idea mi piace, potrebbe andare, sarebbe carina e pure originale; no, no aspetta, non va bene; metti che la troviamo in compagnia di altri parenti poi dobbiamo invitare tutti. E quanto ci viene a costare. No, è troppo rischioso.
– E se le regalassimo un buono, eh! Così lei lo spende dove e come vuole.
– Questa mi sembra proprio una bella trovata di quelli che ai matrimoni dicono: non fate regali mettete i soldi in una busta e così poi tutti sanno quanto hai dato.
– No, ai matrimoni le buste si danno in maniera anonima.
– Ma che dici, si danno agli sposi e stai sicuro che subito la mamma della sposa guarda dentro per vedere quanto hai messo.
– Io mi arrendo, non so più che cosa dire. Buono questo croissant, non trovi?
– Tu pensi a mangiare e intanto non abbiamo deciso niente.
– Vedrai che qualche idea ci verrà non starti a preoccupare.
– Sì, sì io ho capito che cosa stai pensando. Mò ci lasciamo e, vedrai, che la scema di Clara, per non fare una brutta figura qualcosa comprerà e così io ci rimetto pure i soldi per tua sorella poi!
– Ma che ci hai contro la poverina, e dai sei noiosa.
– A proposito hai saputo di Lina?
– Chi?
– Lina tua cugina, sai quella che abita a Avellino.
– Avellino? Ma se quella è morta tanti anni fa.
– Ma no quello era il fratello e poi abitava a Roma.
– Vabbè insomma che cosa è successo a questa Lina?
– Un giorno ha accompagnato il marito dal dottore; questo l’ha vista e ha detto: “Signora lei ha una brutta cera, si faccia visitare.
– Il dottore! E scusa non la poteva visitare lui?
– E già, tu dici? Questo pure è vero, non ci avevo pensato. Ora non mi ricordo bene. Aspetto forse allora era il marito che ha accompagnato la moglie dal ginecologo che ha detto: “Signore lei ci ha una brutta faccia, si faccia visitare.
– Il ginecologo?
– E perché quello non è un medico pure lui?
– Beh e allora che cosa è successo?
– Mi hai fatto imbrogliare, ora non mi ricordo più bene; però quella, tua sorella quando me lo ha raccontato, per telefono, piangeva deve essere successo qualcosa.
– A mia sorella?
– No, a tua cugina o forse al marito. Eh! chissà quale giorno mi chiamano e mi dicono che ti è successo qualcosa pure a te.
– E scusa può anche essere che chiamano a me, non ti pare?
– No, no vedrai che è come dico io.
– Insomma hai deciso!
– Scusa ma non sei tu che dici: bisogna sempre essere preparati al peggio, solo gli stupidi sono ottimisti. E quindi…
– Ma, scusa, non è la stessa cosa. E poi se vogliamo dire la verità fra noi due sei tu la pessimista.
– Ed è vero, io sono nata sfortunata.
– Sì, vabbè, adesso attacchi con la solita storia delle tue disgrazie.
– Ma è la verità; mettiamo, per esempio, che faccio una fotografia di gruppo…
– E ora che c’entra la fotografia?
– Lasciami finire; mettiamo che, sai, una bella foto di gruppo, a colori, di quelle che poi pubblicano in un settimanale, su due pagine unite.
– Ebbè?
– Ecco, stai sicuro che io sono sempre quella che si trova al centro dei due fogli e, nella rilegatura, la mia faccia o non si vede proprio o viene metà.
– Insomma ti fanno secca secca e non sei contenta?
– Sì, fai lo spiritoso tu. Vabbè mo’ s’è fatto tardi, me ne devo andare, devo preparare per Nicola.
– Quando stavamo insieme ti lamentavi sempre che io in casa non collaboravo e ora Nicola, il grande maestro d’orchestra, che non sa farsi manco un uovo, aspetta a te che gli metti il piatto a tavola.
– Che c’entra, quello sta provando in teatro, non ha tempo e poi scusa perché la tua simpatica Luisa che, lei te le stira le camicie? o le manda in lavanderia?
– E tu che ne sai?
– Me lo ha detto la signora Ernestina, sai quella che abita al primo piano; mi ha detto che ogni quindici giorni viene nel cortile del palazzo il furgoncino della lavanderia. Ben ti sta, a me dicevi che spendevo troppo.
– Quella pettegola sta semp arete e lastre a spià. Comunque Luisa è un’ottima moglie però mo’ è inutile ritornare al passato. Ora ci abbiamo i figli grandi, i nipoti e godiamoceli senza arraggiarce inutilmente.
Entrambi si alzano.
– Allora Fabrì, ci vediamo il mese prossimo? Ti raccomando il primo sabato, non ti dimenticare che poi io ogni volta te lo devo ricordare, ti telefono e mi risponde quella scupettina di tua moglie e io mi scoccio.
– Nossignore, Clara, non mi dimentico, statte bo’.
Si allontanano in due direzioni diverse. Poi l’uomo si ferma voltandosi.
– Ah! Clara, allora ci pensi tu per il regalo a Sara?
– E ti pareva, io lo sapevo che fernev accusì. Va bene ci penso io.
– Don Fabrì, vi siete dimenticato di pagare, gli dice il cameriere che lo ha raggiunto.
– Oh! scusa, hai ragione, che sbadato, ecco, tieni il resto.
Dall’interno del locale una voce – Se ne so’ ghiut?
– Sì, sì, dice il cameriere mentre pulisce il tavolino.
– Chi ‘e capisce. Ogni mese a stessa storia, venen, s’assettene e fanno stu teatrin pe’ n’ora sana. Mah!
(3. fine)
SECONDA PUNTATA
– Ma no; alcuni non li vediamo né sentiamo da anni. Per quelli è inutile starci a pensare. Ma tua sorella, sì, va bene, non sarà un gran divertimento, ma, in fondo un giorno non è poi così difficile da sopportare.
– Hai ragione.
– E ora perché ridi?
– Sai cosa stavo pensando; andiamo e le regaliamo quella orrenda scatola, ti ricordi? quella con tutte quelle conchiglie incastrate sul coperchio e con la veduta del Vesuvio in rilievo? Ti ricordi quanto abbiamo riso quando ce l’hanno regalata? Bisognerà cercarla. Chissà dove l’abbiamo nascosta; tu te lo ricordi?
– Certo; io mi ricordo tutto. Mi ricordo anche che ce l’ha regalata proprio tua sorella; ma che bella idea già! Sai che divertimento sarebbe restituirgliela?
– Ah! Tu dici che non possiamo, non mi ricordavo che ce l’avesse regalata proprio lei.
– E ti pareva; tu non ricordi mai niente. Fai continuamente gaffe, con la scusa che sei un artista, un pensatore, e a me, poi, tocca correre ai ripari; sì perché i tuoi parenti sono pure permalosi.
– Cosa c’entrano, adesso, i miei parenti.
– C’entrano, c’entrano perché, sapendo come sei fatto, potrebbero pure farsi una risata; e invece no. Tu sei giustificato, e già, tu sei l’intellettuale ed io, io no, io sono la moglie disordinata…
– Vuoi dire la ex..
– Anche se ex, sono sempre la moglie dispettosa che vuole offendere la cognata. Come se poi mi fossi dimenticata come sono stata accolta dalla tua famiglia; tu no, tu non ricordi niente.
– Ma cosa c’entra tutto questo, adesso; mi sembra che stai esagerando, cosa vai a pensare, la famiglia, mammà, papà. Dopo tanti anni; mò ti ricordi pure le risate ironiche di zia Edvige quando ti vide la prima volta.
– Quella vecchia zitella, brutta e acida; mai una parola simpatica, mai un apprezzamento.
– Ma scusa, tu ti presentasti con quel vestito giallo a fiori verdi, ancora me lo ricordo, sembravi un paralume.
– Tu non ti ricordi mai niente ma il vestito giallo, guarda caso sì, quello te lo ricordi; e già, chissà quanto avrete riso alle mie spalle.
– Scusate se non mi sbaglio avete chiesto due caffè ma forse è meglio se vi porto due camomille.
– Giovanotto, non abbiamo chiesto niente ancora; faccia poco lo spiritoso e stia al suo posto.
– Scusi signora, ma il mio posto è questo, voi piuttosto, se volete litigare…sa date fastidio agli altri clienti.
– E come sono delicati! e poi io non vedo nessuno.
– Ma possono arrivare da un momento all’altro e poi scusi, signora, pure lei, in fondo suo marito che ha detto di male; aveva un vestito, ho capito, quelli che si portavano una volta, ce l’aveva pure mia nonna, come si chiamavano” a parapalla“!
– Ha! Ha!
– Insomma, e tu non dici niente, tu ridi.
– Ma scusa il giovanotto ha fatto solo una battuta; e tu che ci puoi fare se allora si portavano così, scusa; era la moda; solo che a te stava malissimo. Sei troppo corta sembravi sai quelle copertine per le teiere? diciamo la verità.
– Già perché tu? Non ti ricordi come eri ridicolo con quei pantaloni a “zampa d’elefante”?
– Ma, così si portavano, era la moda. Li portava pure Edmondo, non ti ricordi?
– Sì ma lui è alto.
– Oh! certo, il primo amore non si scorda mai.
– Che c’entra! è la verità. Edmondo è alto, slanciato, ha un portamento elegante; e sai, l’eleganza è una dote naturale, se uno non ce l’ha, non è certo colpa sua ma dovrebbe adattarsi. E invece, tu insistevi.
– Ma allora non c’erano altre forme possibili. E tu, allora, non ti ricordi quando ti comprasti l’impermeabile di plastica, nero, lucido? Lo porta Barbarella, dicesti. Già ma Brigitte Bardot era Brigitte Bardot, tu, scusa sai, senza offesa, ma mi sembravi un sacchetto dei rifiuti.
– Sempre gentile tu! e poi non era Brigitte Bardot, ma Jane Fonda.
– No, no, sono sicuro era la Bardot.
– Insisto, era Jane Fonda.
– Già, tu sai tutto, sempre attaccata a leggere quelle stupide riviste di pettegolezzi e o guardare i canali televisivi più volgari.
– Cosa c’entra questo; già mi ero dimenticata: lui è un intellettuale, lui legge solo Scostacovic.
– Ma che dici, quello è un musicista, non dire sciocchezze!
– Scusate, voi avete tempo da perdere, ma io devo lavorare.
– Giovanotto non interrompa, non vede che stiamo discutendo; forse vi dà fastidio?
– Vabbè, signò, vengo dopo.
– Ecco, sì, torni dopo. Allora, che cosa facciamo? che devo dire a tua sorella?
– Ma sì, dai, andiamo, che sarà mai; e poi non facciamo mai niente almeno ci divertiamo un po’.
– Già speriamo che ha invitato pure tuo fratello con la moglie; ti ricordi, quanto è ridicola?
– Chi Luisa? Ma poveretta che ti ha fatto di male?
– Ma come, non ti ricordi? Ci racconta sempre delle telefonate anonime che, lei dice, le fanno i suoi ammiratori. Io sono sicura che quella, pure i fiori, se li manda da sola; forse lo fa per ingelosire tuo fratello; già ma quello, e chi lo smuove. Non vede e non sente.
– Dai, sei troppo severa. Lui sta al gioco della moglie perché sa che lei sta invecchiando male; non ti dimenticare che non hanno figli e questo in una coppia, con gli anni, aumenta le amarezze. Vedi, noi litighiamo, ma poi pensiamo ai figli, ai nipoti e tutto passa.
– Già, tu sei sempre pronto a giustificare tutti… però hai ragione. A proposito hai sentito Guido come suona bene. E, lo sapevo, ha lo stesso animo artistico della nonna. Eh! Io dovevo continuare a suonare, invece, il matrimonio, i figli ed ora eccomi qua, una vecchia signora che, ogni giorno, rimpiange quello che non ha avuto il coraggio di fare. Sì dovevo continuare, seguire i consigli del maestro, ti ricordi il vecchio maestro Bernatti?
– Sì, me lo ricordo, quel vecchio sporcaccione; quando venivo a prenderti lo trovavo sempre piegato sullo spartito che ti guardava le tette.
(2. continua)
PRIMA PUNTATA
Un uomo, solo, è seduto al tavolo di un caffè all’aperto. Legge, nervoso, un giornale guardando spesso l’orologio.
– Le porto qualcosa? dice il giovane cameriere che si è avvicinato.
– No, grazie, aspetto mia moglie.
Poco dopo una donna, non più giovane, nonostante gli evidenti tentativi di apparire tale, arriva trafelata.
– Scusami, c’è un traffico pazzesco, dice lasciandosi cadere su una sedia.
– Prendete qualcosa, dice il cameriere che intanto è ritornato.
– Giovanotto, per favore, sono appena arrivata, non vede? Mi lasci un attimo di respiro.
– Come vuole, mi scusi; torno dopo.
L’uomo guarda la donna con un sorriso a labbra strette e poi torna a leggere il giornale che spiegazza rumorosamente.
La donna tossisce chiaramente irritata.
– Ho chiesto scusa, cosa posso farci se c’è traffico?
– Hai detto la stessa cosa il mese scorso e anche quello prima, dice l’uomo senza alzare il viso dal giornale.
– Va bene; sono una poco puntuale e tu lo sai, quindi è inutile che mi fai la morale ogni volta, non ti pare?
L’uomo continua a leggere muovendosi nervosamente sulla sedia. Poi ripiega il giornale con un evidente moto di fastidio.
– Quello che io non capisco è come si fa ad essere in ritardo sempre dello stesso tempo: ogni volta mezz’ora, precisa. Vuol dire che ti muovi in ritardo e non capisco mai se è calcolato, se lo fai apposta. Del resto lo facevi anche quando eravamo fidanzati e tutti mi dicevano: ma chi te lo fa fare di aspettare tanto.
– Eh! l’amour! dice la donna sporgendosi sulla sedia con aria civettuola.
– Sì, l’amour, le fa il verso il marito. – Una di queste volte non ti aspetto e poi vedi se non lo faccio.
– Va bene! e tu non mi aspettarmi! dai che pure tu dici sempre la stessa cosa, non ti aspetto, non ti aspetto e poi ti trovo sempre qui seduto.
– Prendete qualcosa, allora?, ripete il ragazzo che intanto si è riavvicinato.
– Tu che prendi, Clara? Io vorrei un caffè.
– No, io vorrei aspettare ancora un po’ se non ti dispiace.
– Allora anche per il mio caffè aspetti ancora un momento per favore.
Il ragazzo si allontana visibilmente infastidito.
Ora l’uomo riprende a leggere mentre la donna ripone sul tavolo tutto quello che ha in borsa con fare nervoso: kleenex, due cellulari, un borsellino, agendina, un piccolo pettine, una busta (che guarda per un momento prima di lasciarla sul tavolino), un pacchetto, molte chiavi, per alcune delle quali non saprebbe dire a cosa servono.
– Ma che cosa stai cercando? Che cosa hai perso? chiede il marito.
– Niente, niente, tu continua a leggere.
Infine la donna tira fuori un rossetto che ripassa sulle labbra guardandosi in uno specchietto. Finito, con fare rumoroso e maldestro, ributta tutto nella capiente borsa e mentre con le dita elimina un baffo di rossetto dal labbro riprende con parole poco chiare.
– Piuttosto dovremmo decidere che cosa dire a Sara.
– Scusa, non ho capito? Che cosa dici?
– Tua sorella, non ti ricordi?
– In che senso?
– Per il suo compleanno. Dobbiamo dirle se ci andiamo oppure no.
– Ma c’è tempo.
– Mica tanto; la festa è per sabato 30 ed oggi ne abbiamo già 12.
– Già?
– Eh, sì.
– Ma possiamo riflettere almeno un altro giorno.
– Sono settimane che mi dici la stessa cosa. Ti ricordo che Sara ci ha invitati a Natale, quando l’abbiamo incontrata a casa di Vincenzo, non ti ricordi?
– Che noia.
– Scusa sai; ma io non intendo fare una brutta figura.
– Ma no, che noia, non dicevo a te; dicevo a queste feste di Sara; ogni anno le candeline diminuiscono anziché aumentare.
– Scusa, in fondo è tua sorella. Se non ci vuoi andare non sarò certo io a costringerti. Solo, dico, che dovremmo avvertirla. Sai come è permalosa e in questo caso non avrebbe nemmeno tutti i torti, non ti pare?
– Va bene, va bene; che dici allora, ci dobbiamo proprio andare?
– Non è che dobbiamo ma in fondo ci vediamo così raramente.
– Sì ma questo, allora, vale per tutti i parenti; dico tutti: i miei ed i tuoi. Hai un’idea di quanti sono?
(1.continua)
Nella foto in alto, Federico Zandomeneghi, Al Caffè Nouvelle Athènes, 1885 – Collezione privata