“La tirannia segue il tiranno – è una sventura per un uomo lasciar dietro di s una tenebra che abbia la sua forma” (Victor Hugo “I Miserabili”).

Il volto del tiranno si è fatto protagonista sabato scorso al museo Madre che ha ospitato in occasione del mese di marzo dedicato alla donna in tutta Italia, un’esposizione di arte concettuale a cura di Dsire Klain in collaborazione con Giuliana Ippolito per l’Associazione Culturale “Periferie del mondo Periferia Immaginaria”.
L’impronta peculiare della mostra segna un’importante sensibilizzazione sulla materia tanto delicata quanto graffiante del femminicidio, ribaltandone la visione comunemente adottata da chi guarda “da fuori” ed assume quello che sembra essere l’inequivocabile univocit  dell’ottica della vittima.
Lo spettatore è quindi invitato a prendere parte al difficile e quasi sadico compito di spostare la prospettiva concettuale sulle mani che offendono, sugli sguardi che violentano, sul volto di chi uccide. «Vogliamo proporre provocatoriamente sottolineano le curatrici – un’identificazione negativa con la sconfitta proiettata come in uno specchio deformante, dove il protagonista del delitto è svestito da ogni possibile mitizzazione o forma di giustificazione».

Il concept fotografico “I Miserabili” a cura di Stefano Renna, oltre a essere il risultato di un accurato lavoro di ricerca reso possibile grazie all’apporto di reporter, psicologi, avvocati, arricchisce nel concreto con l’ausilio di immagini tenebrose e musiche asfissianti la pesante atmosfera di colpevolezza che la mostra ha tentato volutamente di riesumare.
Di grave impatto emotivo è il corner concepito e realizzato da Giuliana Ippolito presentato in una sezione della Sala delle colonne, una sorta di “sfogatoio” dove i visitatori sono invitati a posare un oggetto simbolicamente liberatorio rispetto alle violenze che ognuno, a suo modo, ha subito o continua a subire nel proprio quotidiano. Questo “sfogatoio” pubblico è pensato come un box dotato volutamente di uno spazio ridottissimo, per rendere il senso claustrofobico e la sensazione di solitudine del momento in cui si guarda in faccia la violenza.

Un importante contributo all’evento è stato reso dalla performance di Gioia Spaziani, che ha dato voce al racconto scritto da Maurizio de Giovanni; parole scomode e pericolose, trafiggenti e ruvide come le ferite di chi patisce per non morire, di chi uccide per non vedere.

Nelle foto, Lo sfogatoio e la performance di Gloria Spaziani

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