Zio Vanja, drammacechoviano rappresentato per la prima volta nel 1896. Il tracollo dei valori ottocenteschi legati alla Russia rurale, alla propriet , alla roba, alla fedelt delusa di parenti e famigli che gravitano attorno a un aristocratico latifondista. Diverse rappresentazioni del mondo, modelliantitetici di comportamento sintetizzati ed efficacemente concentrati nella coppia forse più conflittuale del teatro cechoviano l’estraneo nobile accademico in pensione, il professor Serebrijakov, proprietario della tenuta e Vanja il generoso e rassegnato amministratore della tenuta, colpevole di aver mal riposto la sua fiducia. Entrambi fatalmente ancorati al passato. Sullosfondo di temi ancora una volta presentiil giardino, una tenuta sul punto di essere venduta, il carosello di amori finiti, mancati, non corrisposti; le delusioni cocenti e le varie reazioni dei singoli personaggi dinanzi alle ingiurie della vita.
Sonja, la figlia di primo letto di Serebrijakov che ama, non corrisposta il dottor Atrov. Elena la giovanissima e bella seconda moglie di Serebrijakov, concupita da Atrov eamata da Vanja che avebbe potuto innamorarsi di lei quando era ancora libera e ora irraggiungibile. Eterno rimpianto. Elena e la figliastra che si ritrovano quando la matrigna confessa di essersi agli inizi innamorata del padre e di non averlo sposato per interesse. La frustrazione di Vanja che associa le speranze distrutte della giovinezza e il fallimento della propria vita all’amore non ricambiato di Elena… aradosso il vecchio proprietario, egoista mediocre disincantato vuole vendere. Vanja il giovane-vecchio, l’amministratore, intristito nei ritmi lenti di una monotona quotidianit , si sente tradito per essersisacrificato per la conservazione della roba.
Su questa “materia” drammaturgica si abbatte come un ciclone la rilettura e la regia del giovane regista argentino Marcelo Savignone – che tra l’altro ritaglia per s anche il ruolo di Vanja- con una messinscena (in foto) leggera, vorticosa, gli attori coinvolti in un moto perpetuo che le dimensioni contenute del palco accentuano ancora di più. Tra un divano, un letto, un tavolo con sedie e un mobile contenente un giradischi i personaggi si fiondano letteralmente con gag azioni e movimenti accelerati alla Ridolini, sapientemente enfatizzati dal disegno luci, quasi a voler tradurre in chiave motoria gli struggimenti interiori del personaggi che gravitano attorno alla figura di Serebrijakov, un passivismo significativamente impersonato da un manichino.
Il testo viene de-costruito e ri-costruito attorno al punto di vista di Vanja, che vagheggia, in sogno naturalmente, di uscire dalla sua mediocrit e di essere un altro forte, audace, decisionista. Da qui l’alternarsi della dimensione reale e di quella onirica, in un gioco visionario che avvicina pericolosamente la frustrazione alla follia. Relegati nel sogno, il coraggio di cambiare e di ritornare a vivere, sono molto vicini alla morte. L’agitarsi dei personaggi finisce per somigliare a una danza macabra, nella quale tuttavia trovano spazio amari spunti di riflessione e accenti di accorato rimpianto. Inappuntabili tutti gli attori. Intrigante la selezione musicale che accompagna il sogno e la veglia, spaziando dal metal al tango argentino, alle danze folkloriche di sapore russo.
Un Vania è andato in scena a Galleria Toledo nell’ambito di Napoli Teatro Festival in spagnolo, con sottotitoli in italiano. Ideazione e regia di Marcelo Savignone
Per saperne di più
www.napoliteatrofestival.it