Istruzioni per minute servitù. Il mondo come in-volont e ir-rappresentazione. Autore, attore e regista, Moscato ci ha dato negli anni opere di grande originalit ed ha segnato, assieme al compianto Annibale Ruccello, prematuramente scomparso, una svolta nella storia del teatro napoletano, che si lasciava cos alle spalle la tradizionedel teatro naturalistico di Eduardo.
Il teatro di Moscato è stato spesso segnato da una dicotomia che ha finito per essere la sua caratteristica distintiva da un lato la napoletanit più schietta e verace, con la sua cultura analfabeta e un dialetto magnifico, quello dei Quartieri, la variante forse più pregevole del nostro vernacolo, e dall’altro una robusta formazione che spazia dalla filosofia al teatro, alla conoscenza delle lingue vive e morte. La risultante di questa dialettica volutamente irrisolta un espressionismo linguistico estremo caratterizzato dal pastiche. Montagne russe.
In vetta citazione dotte e poliglotte, a valle, quel suo napoletano unico, condito dalle “intermittenze” del cuore che richiamano alla mente nenie infantili, filastrocche prive di senso, canzoni e interpreti ingiustamente dimenticati ed espressioni che una musicalit innata piega docilmente alla tirannia metrica del verso, alla rima, all’assonanza.
Gli ingredienti dell’arte di Moscato ci sono tutti, ma rimangono un po’ fine a se stessi. Alle due sfere separate del linguaggio corrisponde nella realt la contrapposizione ingenua e un po’ pasoliniana tra il mondo dei padroni e quello dei servi o meglio tra il ceto dei deboli e il ceto dei potenti. Ebbene tutto questo lo si trova ancora in quest’ultimo lavoro, ma non ci sorprende più, anche perch negli anni le note noir e sulfuree della sua poetica, gi tinta di note malinconiche, si sono ulteriormente diluite per cedere il passo a una visione pessimistica, desolata e desolante, nella quale il mal di vivere assurge a tracollo esistenziale e intrattiente con il declino e il degrado della citt un rapporto biunivoco.
La sua denuncia gridata e insistita, diventa pedagogismo che non giova troppo alla artisticit del prodotto. In questa visione cupa, e ingenuamente manichea Moscato salva il mondo dei deboli, lo idealizza, come se in esso non albergassero mali e vizi che non manca di denunciare nei signori. Ad avallare la sua attuale rappresentazione del mondo Moscato invoca come “testimonial” nomi ragguardevoli. Il sottotitolo Il mondo come in-volont e ir-rappresentazione rimanda immediatamente al pessimismo di Schopenhauer. Le citazioni “in corso d’opera” e la presenza delle serve richiama Genet, ma qui il mondo dei servi è troppo idealizzato per macchiarsi di atroci delitti, si limita al paranoico vagheggiamento di vendette. E poi Strindberg, Swift e i nostri Mastriani e Scarpetta.
Tanta carne allo spiedo, troppa. E i temi sempre gli stessi, non annunciando sorprese, fanno languire l’orizzonte di attesa dello spettatore. Tante situazioni che si succedono in un’ora e quaranta di spettacolo un inizio che alla fine si ripete, la lirica finale a sottolineare una riflessione nemmeno rischiarata da un filo di speranza. Gli attori docili alle indicazioni di regia che ha richiesto loro una recitazione enfatica e volutamente sopra le righe. Tra essi spiccano Cristina Donadio e Lalla Esposito.
Sobrio e misurato il Moscato attore. Il tutto accompagnato da musiche che accrescono il senso di malinconia e di rimpianto, un repertorio a 360 che va dagli chansonnier francesi, alla Ave Maria cantata da un neo melodico, alle arie da operetta, alla Mattchiche, alla malinconia struggente di Moor river. E chi più ne ha più ne metta.
Lo spettacolo è andato in scena al teatro Nuovo di Napoli in occasione del Napoli teatro festival
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In foto, una scena dello spettacolo