«…Ed è una guerra totale quella che una minoranza di abitanti del pianeta terra ha dichiarato al regno vegetale, la stragrande maggioranza della biomassa del Pianeta, essa riguarda ogni Stato, ogni regione, ogni quartiere, ogni singola zolla di terreno… ». Una via d’uscita culturale prima e giuridica poi quella che propone Nicola Nardella nel suo esordio con I diritti di madre natura edito da Mimesis, pagg. 146, Euro 12,00.
E’ ben chiaro all’autore ciò che è successo in Campania negli anni tra il 2004 e il 2008, ovvero l’emergenza rifiuti, dove lembi di terra sono stati definitivamente compromessi dai veleni di un ciclo dei rifiuti parassitario, tardo-capitalista. Dove la commistione tra politica, camorra, imprenditori, massoneria e servizi segreti ha imperato sulla scelte e sulla gestione del territorio.
L’autore, con dovizia argomentativa, snocciola gli avvicendamenti politici, le scelte istituzionali e le figure territoriali dell’epoca, senza sottrarsi al suo personale punto di vista.
L’originalità dello scritto è nell’aver messo in connessione, spiegando bene ciò che accadeva, la devastazione ambientale, per la maldestra scelta di trattare in quel modo i rifiuti, e il contesto territoriale che sembrava prestarsi agevolmente a “benedire” ciò che accadeva. Ovvero i livelli infrastrutturali usati per aggravare l’uccisione dell’ambiente e minare, quasi definitivamente, l’equilibrio di madre natura. Il tutto “battezzato” da attori sociali, politici ed imprenditoriali.
Nicola Nardella affonda la penna nel modello capitalista che ha pensato bene di “occupare” un pezzo della Campania, sostanzialmente dentro e fuori alla cosiddetta Terra dei Fuochi, proponendo scelte consumistiche, cementifici urbani, bassa manovalanza, zero diritti per i lavoratori, niente sindacalizzazione all’interno dei luoghi di lavoro (Auchan, Jambo, Vulcano Buono, etc.), quelli che il francese Marc Augé ha definito giustamente “non luoghi”, perché non si interrogano sull’identità, sulle relazioni e la storicità. Rappresentano finte isole felici. Oppure le cosiddette “fabbrichette”, piccole unità aziendali che sversano abusivamente lo scarto dei prodotti lavorati nel sottosuolo, in barba all’ambiente ed alla salute dei cittadini.
La seconda parte del libro fa leva sul diritto, sulle fonti, su chi scrive e interpreta le leggi, soprattutto per madre natura. Una proposta più che un appello affinché un quadro di regole condivise, e magari partecipate, possano contrastare efficacemente l’offesa dell’ambiente, i cicli naturali, gli elementi primordiali come acqua, terra, fuoco.
L’ordinamento giuridico come via necessaria per la definizione di comportamenti ambientalmente compatibili, come elemento principale per difendere i diritti della natura. Qui Nicola Nardella spiega il suo retaggio familiare, le sue scelte professionali e le vocazioni personali. E’ qui che l’autore suggerisce come concorrere alla direzione di marcia da percorrere.
Da ultimo porta alla luce la storia di Pablo Fajardo, nativo dell’Amazzonia ecuadoriana. Un intreccio tra sfruttamento di terre vergini, la necessità di investimento del grande capitale internazionale e il tentato azzeramento delle popolazioni povere di quei luoghi incontaminati. Da leggere.
In alto, una pianta acquatica, simbolo della bellezza ambientale