Divina, l’opera d’arte fa un passo in avanti nella societ dei consumi. Si toglie l’aura della propria sacralit e scende tra i comuni mortali. Offrendosi al vasto pubblico. Diventa democratica, accessibile, alla portata di tutti. Riproducibile, come la fotografia, il cinema, i dischi. Parte dal pensiero di Walter Benjamin la tesi che la studentessa beneventana Luciana Berti sta preparando per la laurea magistrale in storia dell’arte. Relatore Mariantonietta Picone, docente all’universit napoletana Federico II, da anni punto di riferimento per gli studenti affascinati dal contemporaneo, in particolare dalla creativit degli artisti partenopei, a partire da secondo dopoguerra.
Democratizzazione dell’opera
E dalla teoria del filosofo tedesco il lavoro di Luciana si tuffa nella realt napoletana di oltre quarant’anni fa, quando l’italo americano Vincent D’Arista con Bruno Barbati e un gruppo di artisti (mutevole nell’arco della sua durata) irrompe nel paesaggio urbano, dando vita alla “Galleria inesistente” (1969 1973), al centro adesso di un vivace dibattito, nonch di un recente incontro a Castel Sant’Elmo curato da Angela Tecce e coordinato dalla Berti con alcuni dei suoi protagonisti (tra cui la stessa figlia di Vincent, Sicilia).
La citt come paesaggio da modificare
Il suo segno è evidente anche nella mostra che il Madre, dimora dell’arte contemporanea nel cuore della Napoli antica, in via Settembrini 79, dedica fino al marzo 2015 al gallerista Lucio Amelio. A ricordarla c’è un frammento di una testa di uno dei suoi leoni di gesso (acquistato da un collezionista napoletano) ma nessuna didascalia o testimonianza scritta che la menzioni. Lacuna di cui, in due lettere, chiedono ragione alla Fondazione Donnaregina le famiglie Barbati e D’Arista (scomparso nel novembre 2010 in Toscana) ma anche uno degli autori che ne fece parte, lo scultore Gerardo Di Fiore, dirottato verso la gommapiuma (materiale di breve esistenza) proprio da quella fondamentale esperienza artistica. «Il punto di partenza era quello di utilizzare la citt come se fosse un galleria, interrompendo il circuito alienante creato dal mercato dell’arte, spiazzando i cittadini con installazioni di breve durata». E’ il trionfo del provvisorio ma anche dell’esercizio del pensiero. Le azioni della Galleria inesistente, cui aderiscono in un primo momento, con D’Arista e Barbati, Giannetto Bravi, Maria Palliggiano, Gianni Pisani ed Errico Ruotoloe, successivamente, Di Fiore, Maria Roccasalva e Leo Aloisio (matematico e teorico come D’Arista), si formano attraverso discussioni zeppe di concetti e ipotesi che si protraggono per giorni, settimane, mesi.
Quel manifesto mai nato
Spiazzare con l’effimero, questo è il problema. Come? Stendendo, per esempio, un filo di cotone fluorescente per un chilometro lungo via Caracciolo oppure cancellando Palazzo San Giacomo in piazza Municipio. E, a proposito di questa idea (incompiuta), Di Fiore racconta la sua proposta «Avremmo potuto collocare una x di legno dipinta di bianco a una certa distanza dalla sede del Comune di Napoli, scattare una foto in cui il palazzo ne risulta cancellato e trasformarla in volantini da far circolare».
Non ha luce nemmeno la scritta Galleria inesistente, della stessa grandezza di quella che sovrasta Hollywood, mecca del cinema a Los Angeles, da collocare all’altezza del ristorante Le arcate in via Aniello Falcone, in modo da risultare ben visibile all’occhio dei passanti un po’ in tutta la citt . Non viene realizzato neanche l’ultimo progetto un’esposizione sul solstizio d’inverno cui sono stati gi invitati maestri del calibro di Daniel Buren o Gino De Dominicis che ha gi pensato alla nascita di un sole galleggiante sull’acqua. La galleria si scioglie quando Di Fiore propone di stilare un manifesto firmato dai partecipanti alla mostra, potenziale pietra miliare nell’arte, come quello futurista.
Beuys e i leoni
L’installazione più celebre del gruppo è “Hic sunt leones”, l’unica che ha lasciato tracce fotografiche. Con la spontanea performance di Joseph Beuys, che timbra e firma i felini bianchi collocati proprio di fronte alla galleria di Amelio di cui l’artista tedesco è ospite frequente a partire dagli anni settanta. Si tratta dell’ultima fase di un’iniziativa concepita mesi prima quando per caso Vincent incontra (da Di Martino, fornitore di creta dell’ Accademia di belle arti) Maria Roccasalva che lo aiuter a comprare il materiale e a forgiarlo (nello studio di Barbati), perch possa essere sistemato il 4 gennaio del 1972 nella piazza, accanto ai leoni del monumento dedicato ai martiri napoletani. Il leoncino sar fatto pezzi dai poliziotti.
Düsseldorf e la mostra mancata
D’Arista rilancia la sfida e nella nuova operazione sar coinvolto anche Di Fiore. Questa volta le 12 sculture disseminate nella zona (l’intenzione degli ideatori è di farle arrivare fino a Castel dell’Ovo), verranno sequestrate dalla polizia e costeranno l’arresto a Di Fiore e Roccasalva ("fianche 6 è« « o è á « s pt B L libri n e B link B B d d B d d « B pG B B «7 B e « B E B B èMODE B H l è NO è B B» OJ B e
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B B» E WHERE USING B B B » RLIKE RESET B eNULL B SHARE B SLAVE r B P SIGN MID pt koi8u B B ggiata" dall’impresa del marito costruttore per il trasporto delle opere). Di fronte al questore, i due artisti respingono l’accusa di vilipendio allo stato l’obiettivo non è Giovanni Leone, fresco presidente della repubblica, ma il potere del mercato artistico (simboleggiato dal re della foresta) che divora la creativit , imbavagliandola in un sistema di cui fa parte lo stesso Amelio. Si giunge a una mediazione gli artisti potranno disporre altri 12 leoni, in villa comunale. Ma le opere finiscono tra piazza Vittoria e piazza dei Maritri, comunque, sotto la galleria di Amelio dove Beuys li intercetter , tanto entusiasta da proporre loro di esporli a Düsseldorf. Cosa che non avverr perch non riusciranno a mettersi d’accordo sull’organizzazione.
Una rivoluzione culturale
Questa è, tuttavia, solo cronaca di una vera rivoluzione culturale che ha come epigono Maurizio Cattelan, artista tanto provocatore (ormai risucchiato dall’ingranaggio dell’arte) da ideare, tra incessanti offensive contro la realt , anche tre bambini-manichini impiccati a un albero di Porta Ticinese a Milano. La Galleria inesistente, invece, resiste all’omologazione. «Vincent non era un visionario- ricorda Di Fiore- come qualcuno vorrebbe pensare, ma la bandiera di un principio fortissimo di libert e autonomia. Tanto da sfuggire anche a Lucio Amelio che avrebbe voluto mettere in mostra l’intera operazione. C’è un invito che parla chiaro, ma nessuno di noi portò i leoni che lui aspettava. E quando arrivarono gli invitati per l’inaugurazione lui non si fece trovare impreparato. Copr persino la libreria, replicando -a chi gli chiedeva dove fossero le opere- che Galleria inesistente era appunto inesistente e non c’era nulla da vedere».
Nelle foto, l’operazione "Hic sunt leones" con la performance di Beuys (in alto) e in basso, a sinistra. Nelle altre due immagini, Amelio con Gerardo Di Fiore tra i leoni collocati davanti allo psazio espositivo del gallerista e un vigile si avvicina alle sculture in piazza Vittoria