A partire da venerd 20 febbraio fino a domenica 22 sar sul palco della Sala Assoli di Napoli lo spettacolo intitolato “Ai margini della foresta”, testo teatrale che funge da libera ripresa del celebre atto unico del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès intitolato “La notte poco prima della foresta” del 1977. Interessante elaborazione, che si avvale di una regista d’eccezione, Tiziana Mastropasqua, fotografa, attrice e illustratrice, e di un attore non da meno, Carlo Verre (foto), eclettico personaggio del teatro napoletano, che calca le scene dopo una lunga carriera da medico.
Un uomo solo, con un gran bisogno di relazionarsi all’altro, senza mai nascondere la propria identit , seppur in un mondo che non lo riconosce e che vorrebbe poter cambiare. Cos inizia la prefazione allo spettacolo di Mastropasqua. Un uomo che, da solo, si propone nella propria mente un universo assolutamente perfetto nei suoi minimi dettagli, all’interno del quale tutto sia a misura d’uomo e a misura di quell’equilibrio che abbraccia anche e soprattutto le sfere delle emozioni e dei propri limiti. Un luogo utopico in cui (…) ci si possa innamorare senza barriere ed esprimersi senza doversi nascondere nelle viscere di una foresta.; un luogo dove è, però, ancora possibile una catarsi, di cui la pioggia, elemento costante, è l’emblema.
Della pièce parliamo con il protagonista.
Verre, a lungo medico e poi attore. Come è successo?
In realt , gi dopo la maturit classica avrei voluto intraprendere studi accademici teatrali, ma i miei genitori non si mostrarono molto entusiastie io non fui abbastanza forte da oppormi. E cos, essendoci anche una tradizione di medici in famiglia, mi iscrissi alla facolt di medicina e, tranne qualche sporadica incursione nel campo teatrale, finii per seguire il teatro solo da spettatore. Sono stato, credo, un bravo gastroenterologo e ho avuto un rapporto sempre bellissimo con gli studenti, che ho sempre cercato di stimolare a formarsi in una maniera abbastanza creativa, e, forse proprio in questo, c’erano dei punti di contatto con la mia passione per il teatro e con quanto ho poi appreso nel mio percorso formativo. In fin dei conti la medicina è un’arte non è un caso che tantissimi medici sono anche artisti in vari campi espressivi, dal teatro, alla musica, alle arti visive, etc.
Quando avviene la svolta?
Verso la fine degli anni ’90 il mio solo lavoro di medico cominciò a starmi un po’ stretto, sentivo che mi mancava qualcosa e quando mi fu offerta una particina in una pièce teatrale, l’accettai anche solo per gioco, ma d’un tratto mi fu chiaro che era proprio quella la cosa che mi mancava. Poi nel 2000 c’è stato, come spesso accade nella vita, l’incontro fortuito con Cristina Castrillo, attrice, regista e drammaturga argentina che vive a Lugano, dove da 35 anni è direttrice del teatro delle Radici. E’ stato un incontro che mi ha cambiato la vita,perch ho amato da subito il suo metodo di ricerca e di formazione degli attori con un intensivo lavoro sul linguaggio del corpo e sul linguaggio della memoria. Con lei ho costruito diversi spettacoli che abbiamo portato in giro per il mondo. Posso dire che sono stato davvero fortunato a conoscerla. All’inizio della mia collaborazione col teatro delle Radici ho cercato di fare entrambe le cose e ci sia il medico che l’attore, ma lo stress era troppo grande e allora ho dovuto scegliere. Non è stata una cosa facile, anzi direi che è stata una scelta molto sofferta, ma alla fine è arrivata e ora eccomi qui con il mio sogno più grande realizzato e ci portare in scena questo bellissimo testo di Koltès che da 15 anni avevo nel cassetto.
Quando ha incontrato la regista Tiziana Mastropasqua?
Ho conosciuto Tiziana Mastropasqua al Teatro dell’Anima, qui a Napoli, e lei mi ha subito coinvolto in una versione teatrale del Maestro e Margherita di Bulgakov di cui curava la regia. Ho intravisto da subito il suo grande talento e le nostre affinit nel metodo lavorativo. Anche lei ama molto il linguaggio del corpo ed il fatto che sia tra l’altro una eccellente fotografa ha reso ancora più prezioso e incisivo il taglio dato alla costruzione dell’opera. Ricordo con emozione quando due anni fa le chiesi di leggere il testo di Koltès e di dirmi se se la sentiva di lavorarci su assieme. Ne fu subito entusiasta e quando lo leggemmo per la prima volta ci furono varie sospensioni perch le lacrime ci impedivano di andare avanti. Era fatta. Ne sarebbe venuto fuori un ottimo lavoro.
“Ai margini della foresta” sembra quasi un racconto onirico. Come si inscrocia con le speranze per il XXI secolo?
Nel disegno del protagonista, un po’ come nel bisogno di immaginario dell’uomo di ogni secolo, avviene quello che si potrebbe definire la legittimazione del valore conoscitivo racchiuso nell’ “inganno fantastico”, nel mondo che apparentemente non esiste. L’uomo non può non interferire con e nella realt , perch sono le leggi della natura le sue leggi più nascoste e inconoscibili a ri 6 è« « o è á « s pt B L libri n e B link B B d d B d d « B pG B B «7 B e « B E B B èMODE B H l è NO è B B» OJ B e
B t n B B B B R pe B K K K B Y B B T B B D B e S pH K B UNION B L B B time B e
B E B T B pM B SUPER B S swe7 B B chiedere il continuo attivarsi della creativit umana, che ha come mezzo la ” fantasia ” e quale scopo gli altri mondi possibili. Se il riferimento è all’uomo contemporaneo, a quello che vive in un labirinto multiculturale e che si rapporta sempre più spesso a un universo che non conosce n riconosce come proprio,nello choc e impreparazione alla “differenza”, quello ipotizzato dal protagonista è sicuramente un buon esercizio per imparare a calarsi in quella prospettiva di alterit , seppur attraverso il linguaggio e la parola.
La pioggia come emblema in una foresta che è muta perdizione. Due simboli sicuramente importanti…
La foresta in cui corre, si affanna, grida e si confessa il protagonista con una inattesa teoria di parole sconnesse e deliranti, riverbero simbolico della nostra rutilante e chiassosa quotidianit metropolitana, è la foresta della solitudine e dell’isolamento dove si cela la triste analogia con il senso di spaesamento dell’uomo contemporaneo posto di fronte alla desemantizzazione incipiente di ogni valore e di ogni ideale. Solo la pioggia , emblema di una catarsi ancora possibile, potrebbe ascoltare questo straniero che invoca la presenza di qualcosa di diverso, che cerca di intercettare la coscienza politica di un improbabile sodale/ascoltatore e auspica con slancio utopico e romantico l’avvento di un sindacato su scala internazionale che senza far politica possa prendersi cura di tutti i diseredati della terra.
Sala Assoli
Vico Lungo Teatro Nuovo 110. Napoli
Tel. +39 081 1956 3943.