Alta, sottile, diritta, ha conservato, negli anni, i segni di donna molto bella, azzurri gli occhi e biondi, ora bianchi, i capelli. Portamento altero, atteggiamento distaccato, modi gentili, Isabella Mosca Ducrot accetta di essere intervistata e di raccontarsi. E’ nata a Napoli. In questa citt  di mare dove i rioni hanno il nome di monti, Montesanto, Monteoliveto, Capodimonte, Montecalvario, da ragazza abitava a Monte di dio. Vi abitava pure la famiglia di Giorgio Napolitano e lei era compagna di scuola della sorella- racconta. Giovinezza comoda ma inquieta.
Era insoddisfatta- ci dice. Poi si trasferisce a Roma, dove lavora come telefonista all’IBM e, a trent’anni, sposa il signor Ducrot. A cinquant’anni, un’et  critica per ogni donna, lei, che non aveva alcuna preparazione nel campo dell’arte, si scopre artista. Figurativa.
Del signor Ducrot è la societ  dei Viaggi dell’Elefante Tour Operator. Isabella ne approfitta per viaggiare molto, soprattutto nei paesi orientali. Ne osserva ammirata le opere d’arte e sente il cruccio profondo per la perdita dei Budda in Afghanistan e delle opere nel Vicino Oriente. I suoi orizzonti si ampliano, i viaggi le fanno provare il senso di una grande libert  spirituale.
Forse spinta dal suo gusto di donna elegante, si innamora dei tessuti orientali, di cui diventa collezionista. Ne ama non solo i disegni ma soprattutto la struttura, l’intrecciarsi dei fili nella trama e l’ordito del tessuto. Il tessere per l’artista ha un valore simbolico. Lo ha anche nei dialoghi del grande Platone- cita- che osservava come ogni singolo filo acquisti forza intrecciandosi con gli altri.
Tra l’un filo e l’altro c’è un sottile strato d’aria.
«In un tessuto l’invisibile, ingabbiato tra le pareti visibili dei fili, partecipa all’articolazione dei pieni e vuoti cui deve la sua duttilit  cos due elementi essenzialmente eterogenei vengono a convivere e producono qualcosa di paragonabile a un respiro incarnato», scrive Isabella Ducrot, che, da scrittrice, ha pubblicato diversi libri dall’arte della tessitura alle antiche miniature indiana.
Una sensibilit , la sua, molto attenta. La esprime in lavori, gouaches, disegni anche su carta. Un materiale delicato. Che ora usa nella installazione la cui mostra si inaugura oggi nel cortile occidentale del Museo Archeologico napoletano. Una sperimentazione. Simile a quelle gi  realizzate, nel 2001, a Roma nel Chiostro borrominiano dell’Oratorio dei Filippini e, nel 2004, nella Certosa di San Lorenzo a Padula.
Qui, nel cortile napoletano, usa carta e acrilico per creare un giardino fittizio, da sogno incantato su una coltre bianca sono disseminati, a intervalli regolari, come petali di fiori, tondi di plastica azzurra. Pace, contemplazione, siamo nel mondo dello zen o in quello atarattico dello yoga indù.
La sorte ha voluto che una giovane donna inquieta trovasse, nei Viaggi dell’Elefante, l’Oriente, convertendosi ai suoi ritmi. La ripetizione si è detto- è l’elemento ornamentale per eccellenza, che conduce e provoca il ritmo. Ha anche un senso religioso. Si ripetono ossessivamente i versetti del Corano, si ripetono le poste del rosario e le invocazioni nelle litanie.
Qui la ripetizione ritmata di quei tondi azzurri crea una musica dolce e distensiva. Una osservazione attenta di questo giardino cartaceo porta la mente dell’osservatore in altri mondi, in altri, incommensurabili spazi.

Storicamente la Ducrot si colloca tra quei tanti artisti, il più noto è l’antesignano Paul Gauguin, che fuggono dall’Occidente e trovano l’esotico.
Ducrot fa un passo in avanti trova quell’esotico in cui la voce del mondo materiale si spegne.
Il fenomeno si inserisce in quella contestazione, iniziata gi  nell’Ottocento, dell’arte neoclassica, la quale, nata con la Rvolution, si era diffusa in Europa. Una contestazione di quello spazio statico neoclassico, ormai obsoleto, che, tuttavia, ancora nel Novecento, trovava assertori, anche tra i critici.

La mostra durer  fino al 30 aprile. Almeno nei programmi. Se il vento e la pioggia non distruggeranno l’opera, che, con tanta cura, è stata realizzata.
Ma la mostra si intitola “Effimero”. Duri o no, tutto passa, tutto si cancella. Ma forse, qualche volta, ne rimane la memoria.
«Mi emoziona- ci dice Isabella trovarmi in un luogo, questo Museo Archeologico, che conserva tanta bellezza». Eppure lei è andata a cercare una bellezza diversa. Dove l’inquietudine può placarsi nel nirvana, mentre qui può espandersi nella esaltazione della vita piena, reale, della nostra civilt  magnogreca. In cui lo spazio statico a tre dimensioni non esiste ancora. Ibrido connubio l’Oriente del giardino della Ducrot e l’Occidente magnogreco contenuto in questo magnifico scrigno.

Ma un altro contrasto ci attende all’uscita. Proprio di fronte al magnifico Museo Archeologico napoletano, vi sono dei tessuti; si, ancora tessuti.
Sono mucchi di coperte, piegate l’una sull’altra, accostati alle pareti o negli angoli della             6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BGalleria Principe di Napoli. Mucchi di sudici tessuti che ora sembrano non avere un senso. Ce lo avranno più tardi, a sera, e serviranno a dare caldo ai corpi stanchi e infreddoliti di tanti che non hanno più casa e dove andare.

VERNISSAGE
Sabato 7 marzo ore 17.00
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Inaugurazione dell’ installazione “Effimero” di Isabella Ducrot, a cura di Achille Bonito Oliva, con il coordinamento organizzativo di Incontri Internazionali d’Arte
Fino al 30 aprile
Orari
Mercoled-luned,
dalle 9.00 alle 19.30

Nella foto, la locandina dell’evento con l’immagine dell’installazione

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