Quando era il 1837, Louis Daguerre produsse la prima fotografia, il dagherrotipo appunto, un pittore suo contemporaneo, Paul Delaroche, disse «Oggi la pittura è morta». Ma poi il fotografo Nadar chiar la situazione quando, nel 1874, ospitò nel suo studio al n. 35 del Boulevard des Capucines alcuni pittori che sarebbero stati rifiutati dalle mostre ufficiali dei Salon perch non intendevano imitare la realt ma ritrarre, di fronte a questa, la loro prima impressione. Erano Monet, Manet, Pissarro, Dgas, Rnoir… gli impressionisti. Da allora sembrò che i pittori potessero esprimere la loro visione liberamente, senza copiare la realt , perch questo compito era affidato alla fotografia. La quale, nella sua accezione documentaria, produsse ritratti, paesaggi, opere di denuncia sociale e di reportage, come quelle di Robert Capa (1913/1954), che ebbero, a volte, un forte valore simbolico e sempre testimoniarono lo sguardo partecipe ed emozionato del grande reporter un artista. Cos la fotografia venne finalmente riconosciuta ufficialmente come arte e le venne riservato un dipartimento al Museum of Modern Art, il Moma di New York. Era il 1940. Tanto cammino da allora. Dopo i primi esperimenti, quando il colore veniva aggiunto a mano sui dagherrotipi, si sono avute anche le fotografie direttamente a colori. Oggi le migliori macchine fotografiche permettono a chiunque di fotografare bei paesaggi o suggestivi tramonti anche coi loro rossi e i loro viola, con un semplice, facile clic. Chiunque è un artista? No. E’ la natura che ci dona la sua bellezza.
Fenomeno notevole in questa storia è il fatto che anche la fotografia, come gi la pittura, si liberava, a volte, dalla necessit di copiare pedissequamente la realt volendo esprimere la particolare visione del mondo del fotografo-artista. Ben presto nacquero i fotocollage futuristi e picassiani e altre varie sperimentazioni.
Oggi ci sono anche le innovazioni intelligenti e interessanti di un “ingegnere prestato alla fotografia”- come ama definirsi Gian Luigi Gargiulo. Che usa la macchina fotografica come un pennello. L’ultima sua fatica è in mostra al museo archeologico di Napoli. Un luogo ideale per queste fotografie che ritraggono statue, precisamente quelle bronzee della ercolanese Villa dei Papiri, che attualmente in questo museo sono allocate. Si tratta di una visione nuova, modernissima e tecnologica dell’antico. Marco De Gemmis, direttore della sezione didattica del museo e curatore della mostra, ha osservato che a noi moderni gli antichi prodotti appaiono, di necessit , in un modo diverso da come apparivano un tempo, quando erano integri e ricoperti, spesso, da vivaci colori, come le statue greche che il Neoclassicismo credette e rifece in bianchissimo marmo. Il tempo li ha cambiati, feriti, o deturpati da integrazioni e rifacimenti inopportuni. Ne altera la visione anche la loro diversa collocazione ma soprattutto la cultura e la mentalit di chi oggi li guarda. Certamente la nostra sensibilit non è quella degli uomini antichi n di quelli rinascimentali o settecenteschi.
Queste osservazioni di De Gemmis riguardano strettamente questa mostra, in cui Gargiulo ci mostra l’antico rendendolo, a tutta prima, irriconoscibile. Da guardare con uno sguardo diverso, perch diverso è lo sguardo fotografico con cui è stato ritratto. «A mano libera, con tempi lunghi , mi sono posto davanti al soggetto prescelto e ho scattato muovendo la fotocamera in diversi modi.. non ero sicuro di quello che sarebbe venuto fuori». E’ vero che è stato il fotografo a muoversi, ma in queste fotografie è come se, invece, si muovessero la statue. Ci come se i loro volti si muovessero. Ch soltanto i volti di queste statue sono ritratti. Cos una giovane testa sembra scrollare la sua capigliatura rasta, quell’altra allontanarsi da noi dileguandosi, quell’altra urgere in avanti con lo sguardo supplice degli occhi spalancati non dimenticarmi, sembra dire, io vivo, io vivo ancora. Fantasmi, fantasmi viventi, volti deformati da chiaroscuri in bianco e nero, tra luci diafane, trasparenze, sfocature, dissolvenze profonde. Volti che vengono dal lontano del tempo. Ma ora sono qui. Presenti. Il tempo non passa mai. Tutto si conserva. Questi antichi sono ancora viventi qui, vicino o, meglio, dentro di noi. Quasi a dirci che noi siamo quello che fummo. Sebbene non fummo quello che siamo.
Latenze. Ogni corpo, ogni oggetto, ogni paesaggio ha vari punti di vista, varie immagini. Gargiulo scopre di queste statue bronzee sconosciuti aspetti latenti che rivela con queste fotografie. Il fotografo-artista ha controllato il suo fare immagini, la composizione, la distanza, la luce e cos via. Ma non del tutto. Certo è G.L.G. l’autore di questi visi antichi, ma è come se a un certo punto essi stessi avessero guidato la sua mano, imposto il loro essere. Sono loro che hanno voluto essere fotografati cos, morti ancora vivi, che ancora si muovono.
«Non so cosa raccontino queste immagini, posso solo augurarmi che possano comunicare qualcosa ai vari visitatori… M 6 è« « o è á « s pt B L i piacerebbe- scrive- se anche agli occhi degli altri vibrassero e non apparissero silenziose e calme».. Credo che il suo desiderio possa essere esaudito.
La mostra rimarr aperta fino a questa estate prossima, secondo gli orari del museo dalle 9 alle 19 e 30, tutti i giorni, escluso il marted.
Per saprene di più
www.gianluigigargiulo.it
Nelle foto, scatti della mostra e momenti dell’inaugurazione