E se ognuno di noi pensasse di mettere nero su bianco i motivi per andare via o restare nella sua città, Napoli, perché tormentato potrebbe essere il rapporto con essa? Si, Napoli è una città che se non la prendi per il verso giusto ti consuma, ti sfianca, ti fa vivere in apnea. Ma soprattutto sa essere riempitiva, emozionante, fatalista, ingenua, puttana, catastrofica, immaginifica, sorprendente.
Basta volerla, sentirla, attraversare i suoi odori e scorgerne i colori, bisogna riceverne la “sua” anima. Partenopiade. Cronache di napoletani disagiati di Christian Capriello, Edizioni Mea, pagg. 355 (euro 14,90) ne rappresenta un affresco, scorge un pezzo della sua anima millenaria, scende nelle viscere di Partenope in maniera originale.
Racconti e personaggi hanno una linea d’orizzonte comune: l’amore del luogo natìo. Lo scopo principale dell’autore, a mio avviso, è lo sconfinato amore per Napoli e il profondo rispetto che ne prova, fino al punto di sentire il bisogno di lasciare il proprio vergato a favore di essa. In questa occasione editoriale la “napoletanità” non è rituale, scontata, banale; ti cattura, ti avvinghia, ti travolge di significato e ti lascia addosso una pelle nuova.
Partenopiade è l’instancabile dimostrazione che Napoli ha bisogno del suo racconto, del quale si alimenta essa stessa, dal quale ne trae linfa, gioia, filosofia. E il principale trionfo di Napoli sono proprio i soggetti di Christian Capriello che ne riempiono le pagine, in un italiano magistralmente scritto e interpretato. Sì, perché l’autore del libro “gioca” con la lingua, le dà le giuste contorsioni e la livella fino a ordinarla.
Il principale motivo che convince a leggere questo libro è la conoscenza di Capriello della propria città: l’attraversa, la osserva, la traduce, fino a penetrarla con l’intento di portarne alla luce il suo adorato fascino millenario.
La giusta dose di ironia è l’altro elemento che viene alla luce con armonia. L’ironia napoletana (o dei napoletani) è qualcosa che non avrebbe confini né longitudini, quindi non potrebbe essere “armonica”, equilibrata, misurata. Ma l’autore si piazza oltre questo confine e le sue capriole argomentative reggono l’urto e superano brillantemente questa apparente barriera. Segno di maturità intellettuale.
La terza riflessione che traspare, scorrendo le pagine, è il sentimento. Quel giusto riconoscimento che l’autore tributa alla città di Napoli, riconosciuto solo a chi ha conoscenza e può permettersi di esternare quella passione. Quindi, non bisogna conoscere Napoli solo dal punto di vista fisico, chilometrico, quantitativo, ma saperne cogliere il pathos e trasmetterne la passionalità.
I “disagiati” raccontati sono persone profonde, che esprimono vita, modi di essere, pienezza di commozione. Traspare, in ognuno di essi, il valore della propria esistenza. Voglio dire che chiunque di noi potrebbe assomigliare a uno di essi.
Capriello racconta personaggi semplici che si aggrovigliano la vita, avvinghiati in quella napoletanità unica e irripetibile, vivace e struggente. Il tutto condito con quella ironia di cui sopra, il vero filo conduttore dell’opera editoriale.
Fabrizio Caramaglia, scrittore e ricercatore di meraviglie, come lui stesso si definisce, dice: Leggere un libro non è uscire dal mondo, ma entrare nel mondo attraverso un altro ingresso. Ebbene, la sensazione che si ha leggendo “Partenopiade” è proprio questa: entrare “in” Napoli da un altro varco. Il merito di Christian Capriello è quello di non uscire dal mondo mentre lo si legge, ma di entrare da un’altra porta.
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Inchiostro Il libro/Christian Capriello racconta Partenopiade. Ovvero cronache di napoletani disagiati