Domani giovedì 16 gennaio, alle 17, all’istituto italiano per gli studi filosofici in via Monte di Dio ,14 (Napoli) Antonio Filippetti e Carlo Di Lieto presentano con l’autore Francesco terrone il libro Il cammino dell’amore edito da Guida. Pubblichiamo di seguito la prefazione di Antonio Filippetti.
Nella storia della letteratura poetica il genere contrassegnato dall’ispirazione amorosa occupa da sempre un posto di prima grandezza. Dalle origini ai nostri giorni, infatti, gli autori che hanno per così dire focalizzato il proprio lavoro sul tema dell’amore sono con ogni probabilità la maggioranza assoluta al punto tale che un’ideale, esaustiva antologia risulterebbe di difficile se non impossibile realizzazione. Dai lirici greci ai moderni cantori novecenteschi, fiorisce tutta una letteratura che annovera tra i protagonisti alcuni dei più grandi poeti di tutti i tempi. Ciò sta a dimostrare che è proprio il sentimento amoroso a muovere da sempre il tessuto principale della poesia, al di là delle sue molteplici e variegate tendenze di stile e articolazioni, siano esse cioè improntate all’amore cortese, aregistro bucolico o didascalico, o ancora allo spirito platonico o alla passione romantica.
Su quest’aspetto e le sue ragioni si è indagato a fondo con esiti sempre provvisori, a dimostrazione che anche la critica si muove in un contesto non solo in continua evoluzione ma probabilmente di impervia se non impossibile catalogazione.
Sia come sia, sta di fatto che il genere continua a godere per così dire di ottima salute. E a felice riprova giunge ora questa nuova silloge di Francesco Terrone che si inquadra egregiamente nel filone appena delineato. Ma come ogni operazione poetica, l’humus che la sottende e qualifica non è sempre di facile decifrazione al di là delle apparenti etichette tipologiche.
Terrone svolge il proprio dettato ispirativo con una precisa e cosciente attenzione sia in termini stilistici sia per quanto riguarda il contenuto dell’ ordito lirico. Il suo “discorso amoroso” si dipana in coerenza con alcune linee guida che possiamo individuare in tre precise direttrici.
1.La bellezza e la gioia di vivere. E’ qui che il poeta qualifica il proprio verso aderendo pienamente all’assunto di fondo: “Se hai bisogno di me/guarda il sole e/sicuramente ti illuminerà”; “stanotte al sorgere delle stelle/ti dedicherò il mio amore”. E’ la fiducia nello splendore dell’universo all’insegna del sogno e della speranza: “Fammi volare/nella tua luce/fammi godere l’immensità/ degli spazi senza fine”. Ed anche quando l’esistenza si fa confusa e incomprensibile, la letizia del vivere sembra comunque prevalere: “Confuso è il mio vivere/tra la gente che sembra/ palafitte costruite su sabbie mobili/instabilità, cuore superbo/ e canti senz’anima/ arroventano il mio esistere/ che freme e canta/ la gioia dell’amore”. La vita cioè, o per meglio dire la gioia di esistere e la sua bellezza, hanno sempre il sopravvento.
2.Il sentimento del tempo. Tutto ciò che c’è di bello e di godibile nell’esistenza si specifica diremmo proprio “amorevolmente” attraverso la coscienza del tempo che esprime e qualifica sentimenti profondi e duraturi. E’ il tempo che scorre a far lievitare la passione: “Donami tutto l’amore/che puoi/ e sarò tuo per sempre”. L’immanenza vive perfino nei ricordi: “Ho scattato una foto nel vuoto/alla ricerca della tua immensità”. Anche se tutto deve sottostare inevitabilmente all’incedere degli anni: “Ci saranno lacrime/che bagneranno un tempo che passa/un tempo che passa/ senza avere la possibilità di raggiungerlo”. E subentra il timore della perdita inesorabile: “Ti ho riscaldata d’autunno/ti ho riscaldata d’inverno/ ora che è primavera/ come una rondine spicchi il volo e…/ti allontani da me”. Col rischio di aprire una ferita insanabile: “Prima mi hai aperto il cuore/ poi l’hai cucito con il filo spinato”. E con l’impossibilità di chiedere sconti o dilazioni a un giudice inflessibile.
3.L’elegia della memoria. La passione per la vita, l’inesorabilità del tempo che passa trovano per così dire un riscatto imperituro nel riproporsi in una dimensione mnestica in grado di garantire una forma di soggettiva ma non per questo meno efficace immortalità. E’ in quest’ ambito che il poeta ritrova e rivive il senso autentico di se stesso e della sua lirica. La memoria custodisce, conserva intatto ciò che è stato: “quei ricordi/ ormai rapiti dal tempo/ non hanno più vita”. Eppure essi continuano a manifestarsi e rappresentare l’esistenza che non si smarrisce e rinnova semmai ciò che conta: “Gli alberi sono in fiore/ il loro profumo mi ricorda/ le pazze notti di un tempo ormai lontano”. Realtà e immaginazione vivono nel ricordo: “La vita è un sogno/ che si perde/ nel tempio dell’eternità”. E nulla è davvero perduto per sempre: “Mi sorridi appena/eppure io sono con te/ a gioire sui nostri ricordi/ sui nostri momenti/ dove il cielo bacia la terra/ ed il sole riscalda i nostri cuori”. La provvisorietà del vivere si riscatta in una concezione memoriale capace di replicare senza sosta stati d’animo ed emozioni; passato, presente e futuro possono davvero coesistere nel tempo della memoria.
La scelta del registro amoroso ha naturalmente una valenza esistenziale. Attraverso la sua esperienza si esprime e si qualifica una verità sostanziale. Perché l’amore consente una maturazione umana e intellettuale senza precedenti. Ce lo ricorda del resto, Giacomo Leopardi, ovvero il più grande poeta lirico di sempre, quando scrive che ”nessuno diventa uomo innanzi di aver fatta una grande esperienza di sé” che “determina in qualche modo la fortuna e lo stato suo nella vita”. Questa esperienza viene “per lo più dall’amore, quando l’amore è gran passione; cosa che non accade in tutti come l’amare”. Ed è grazie a questo che “l’uomo conosce già mediocremente i suoi simili”, soprattutto “conosce ab esperto la natura delle passioni e la natura e il temperamento proprio”, ma più di ogni altra cosa “sa la misura delle proprie facoltà e delle proprie forze”. E la vita stessa appare ora sotto un aspetto diverso , trasformata “di cosa udita in veduta e d’immaginata in reale”.
E, possiamo aggiungere ora, che è proprio la poesia che consente questa straordinaria facoltà d’intendere se stessi e il mondo che ci circonda. Terrone non si sottrae a questa “sublime imposizione” e lo fa mantenendo una struttura stilistica essenziale, raccolta spesso in momenti puramente evocativi, ma capaci di dare al lettore la possibilità d’immedesimarsi in un gioco di complicità emotiva e passionale.