Per fortuna che c’è il web. Se usato con la stessa deontologia professionale richiesta agli operatori della comunicazione ha una forza propulsiva democratica inarrestabile: rende visibile chi ai tempi della sola comunicazione cartacea non aveva voce.
Una boccata di ossigeno per i piccoli editori tagliati fuori dai gruppi monolitici di distribuzione editoriale e per tutti i talenti che non fanno parte di nessuna lobby. I loro messaggi camminano nella rete e a volte gli algoritmi misteriosamente li premiano con maggiore visibilità possibile.
Adesso il web diventa star dell’emergenza. Quando la paura da contagio, con il Covid-19 in giro, blocca il libero passo, il circuito delle idee che vi circolano diviene inarrestabile. Così la piazza virtuale si affolla di occasioni e si propone come piattaforma indispensabile per lanciare nuovi progetti artistici.
Anche l’arte si attrezza e propone vernissage online: oggi pomeriggio, giovedì 12 marzo, alle 17.30, Dino Izzo, dalla sua pagina Facebook, inaugura la sua mostra intitolata “Pittura Scema”: ovvero dipingere per il semplice piacere di farlo.
La mostra si sviluppa in 3 post, ognuno conterrà le opere proposte in una galleria immaginaria. Il sottotitolo che l’autore dalla sua esposizione da Virus al virus non è un gioco di parole ma un ritorno alle origini del’artista stesso.
Izzo, napoletano, classe 1948, è uno dei fondatori del gruppo Virus (con Giancarlo Savino e Carla Viparelli) che infetta il centro storico di Napoli d’arte, propagando il flusso di emozioni in manifestazioni italiane e internazionali.
Dopo lo scioglimento della sinergia creativa, nel 1994 dà vita alla galleria “1220” per poi dedicarsi a una ricca produzione video, approdando, infine, a una pittura surreale che si condensa in tratti minimalisti, portatori delle sue intuizioni.
Lo sguardo spalancato sul mondo gli fa tradurre la vita in segni misteriosi e affascinanti. Allo spettatore, la capacità di coglierli e di volare con lui sul pianeta dei pensieri fantastici. Dove la solitudine è amica indispensabile per colorare l’immaterialità.
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