Gli anni citati dal bel libro di Alessandro Masi sembrano confluire nella nostra attualità. Viene da chiedersi dove avrebbero potuto portarci senza il loro cumulo di contraddizioni, di controsensi messi in opera dai protagonisti del tempo ed esposti dall’autore nello stile esemplare che gli appartiene.
La nostra non è una recensione, nemmeno semplicemente un commento, ma è un volo a fior d’acqua su un tempo passato, un tempo vanamente perduto, anzi sprecato, durante il quale il pensiero, il desiderio di conoscenza, l’arte in tutte le sue contraddizioni e le sue sfumature e avanguardie erano la vibrante promessa di tempi addirittura eroici per bellezza, per fecondità e sopratutto per speranza.
Se ci inoltriamo in quegli anni ne cogliamo le incomprensibili contraddizioni, il potere si palesa in tutte le sue metamorfosi o mascherate che siano: basti pensare allo spreco dei geni nominando semplicemente Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Giovanni Treccani, Concetto Marchesi e l’immane quantità di poeti, scrittori, artisti che fiorirono nelle diverse città italiane tra le quali Napoli ha il privilegio di essere presentata dall’autore quale una città ancora regina.
Quei tempi erano percorsi dal comune amore per la conoscenza e dalla voglia di costruire, al di sopra di tutto vi era il desiderio di vivere appieno la vita senza sospettare che essa un giorno potesse sfuggire di mano per demerito, incapacità di comprendere, ingratitudine o una discreta dose di stoltezza mentale che non riuscì a far sì che i grandi ingegni dell’epoca prevedessero e prevenissero dove sarebbero sfociati quegli anni, dove ci avrebbero portato noi che ancora appassionatamente vorremmo possederli, mentre li abbiamo perduti per sempre. Come già nel libro è anticipato, siamo riusciti ad “offendere” il mondo e questo mondo “offeso” si ribella sfuggendoci, ribellandosi alla nostra stessa esistenza.
Ci accomiatiamo dal bel libro di Masi e salutiamo quegli anni perduti, salutiamo il passato sperando in un presente migliore e un futuro luminoso.
Vogliamo lasciarvi inoltre con una poesía del polisemantico Ardengo Soffici, artista più volte citato nel testo di Masi. Palazzeschi, eravamo tre, – noi due e l’amica ironia – a braccetto per quella via – così nostra alle 23.- Che bella vita, dicesti – E io sarei stato d’accordo – ma un organetto un po’ sordo si mise a cantare ‘ohi Mari’- e fummo in quattro ormai a braccetto per quella via! Peccato! La malinconia- s’era imitata da sé. (Ardengo Soffici, 1913). Dall’eterna serenata ‘Mari’ Mari’ .(Vincenzo Russo e Eduardo Di Capua 1876)
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Idealismo e opportunismo della cultura italia 1943-1948 di Alessandro Masi
Mursia editore, pagg. 506, euro 22