Qualsiasi discorso si voglia oggi fare intorno all’arte d’avanguardia, non può prescindere dall’esperienza futurista, nel senso che quell’avventura appare sempre più determinante per l’evoluzione della dinamica storica del concetto stesso di avanguardia: pur con tutti i limiti che noi oggi siamo in grado di evidenziare. Ed è questa probabilmente la ragione principale per cui risulta utile celebrare quest’anno il centenario di questo complesso movimento. Com’è noto, per l’occasione sono state organizzate numerose manifestazioni in tutta Italia, a cominciare dalla mostra che si intitola appunto “Futurismo” ospitata nelle Scuderie del Quirinale. Se ne parler opportunamente anche da noi in occasione del convegno organizzato dall’Istituto Culturale del Mezzogiorno su “Napoli e la memoria futurista” che si terr nella Biblioteca Benedetto Croce mercoled 10 alle 17 e al quale parteciperanno, tra gli altri, insieme con l’estensore di questa nota, Giuseppe Antonello Leone,Antonio Napolitano, Italo Pignatelli, Gianpaolo De Rosa. Il futurismo fu indubbiamente l’episodio intellettuale capace di sprovincializzare l’impianto strutturale della dimora artistica e non a caso, al di l dei francesismi amati e valorizzati da Marinetti, lo ritroviamo degnamente affiancato ad altri movimenti europei di cui fu probabilmente anche in buona parte ispiratore, e questo vale in particolare tanto per il surrealismo francese quanto per l’imagismo e il vorticismo inglese,o ancora per il cubofuturismo russo. Il che equivale poi ad inserire l’esperienza intellettuale di casa nostra in un circuito autenticamente internazionale.
Ma probabilmente il merito principale che assegniamo oggi al futurismo sta nel fatto che esso propugnò per cui dire un ideale artistico universalizzante e circolare, un qualcosa che andava al di l delle barriere dei singoli stati ma, cosa più importante, che coinvolgeva lo spirito creativo nelle sue diverse proposizioni, spaziando dall’arte figurativa alla letteratura, dalla musica alla danza, dal teatro al nascente cinema: avviando in questo quel vero e solo processo di globalizzazione possibile che unisce e coinvolge ci i diversi aspetti dell’attivit intellettuale.
L’arte d’avanguardia trovò tuttavia proprio a Napoli il suo palcoscenico naturale. Ai primi del Novecento infatti si può dire che nella citt di Partenope scoppiò la poetica del futurismo e fu una grande stagione di speranze ed aspettative. Tutto ciò che si presentava inedito, inatteso, rappresentava agli occhi dei suoi protagonisti la vera summa rivoluzionaria dell’arte. A più riprese vennero organizzate poi “serate futuriste” con lo scopo dichiarato di spazzar via il vecchio e di ritrovare nelle novit più ardite il senso dell’esistenza più vera e genuina.
Per capire più a fondo la condizione culturale vissuta da Napoli in quel periodo può servire meglio di ogni altra analisi il resoconto di uno di quegli incontri famosi, vale a dire la “serata futurista” che si svolse al Teatro Mercadante il 20 aprile del 1910 (erroneamente la serata venne talvolta riportata come accaduta nel 1912: la svista è attribuibile proprio a Francesco Cangiullo, vale a dire il maggiore propugnatore del futurismo napoletano, che in una pubblicazione del 1930, “Le serate futuriste, romanzo storico vissuto” parlava a lungo proprio di quella serata e pur non indicandone la data la poneva in correlazione con la pubblicazione del suo volume “le cocottesche”, apparso appunto nel 1912. Da qui probabilmente l’errore). Ad annunciare l’evento, il giornale “Monsignor Perrelli” usc addirittura in una edizione quasi tutta in francese, la lingua preferita da Filippo Tommaso Marinetti.
Oltre che di Marinetti, l’evento vide la partecipazione di poeti come Palazzeschi, Altomare, Mazza e dei pittori Boccioni, Carr e Russolo e venne descritta nei minimi particolari da Cangiullo nella pubblicazione prima ricordata. Napoli per cos dire si accese di nuovi entusiasmi e tentò pure di svecchiare il proprio corredo iconografico: in questo risiede il merito del manifesto di Boccioni indirizzato ai pittori meridionali nel quale incitava gli operatori del Sud ad intraprendere nuove strade, a lasciar perdere le oleografie stantie del passato ed a farsi protagonisti di un’autentica rinascita, anticipando sicuramente una esigenza che, “mutatis mutandis”, resta per molti versi valida ancora oggi. Allo stesso modo appare tuttora attuale l’urgenza di anteporre l’esperienza artistica alle pastoie consumistiche e agli intrallazzi di maniera o di regime che intendono disporre della creativit e soprattutto amministrarla secondo dettami e procedure che niente hanno a che fare con il ruolo e la funzione dell’artista. E soprattutto è fondamentale saper distinguere ciò che separa l’innovatore artistico dall’impostore occasionale, nato magari dalla confusione mediatica in atto o dal falso rinnovamento conclamato ma mai provato. La lezione del futurismo, proprio con le sue inadempienze realizzatrici, può o forse deve essere oggi un punto di riferimento critico da non sot 6 tovalutare giacch ci permette di capire fino a che punto l’ansia di rinnovamento riesce a manifestarsi liberamente sottraendosi alle subdole tentazioni di un provvisoria omologazione sbandierata in nome dell’arte ma utile soltanto ad ingenerare confusione e conformismo.
In alto, uno scatto di Filippo Tommaso Marinetti