Teatro alla deriva riemerge, dopo l’ondata del Covid. Ne parliamo con il direttore artistico della rassegna, Giovanni Meola, raggiunto telefonicamente. L’evento si svolgerà nella suggestiva cornice delle Stufe di Nerone a Bacoli in tre appuntamenti: il 22, il 25 e il 29 settembre. Spettacoli molto diversi fra loro, segnati da un esordio sorprendente.
MAFFIONE: Meola, siamo giunti alla nona edizione della rassegna del “Teatro alla deriva”, ormai noto anche come il Teatro sulla zattera. Questo evento è unico nel suo genere in Italia ed è divenuto un punto di riferimento culturale per l’intero territorio flegreo. Come nasce questo progetto?
MEOLA: L’idea è nata assieme a Ernesto Colutta, persona dotata di grande sensibilità e cultura. Cercavamo qualcosa di originale, che suscitasse delle emozioni nel pubblico. L’immagine su cui lavoravamo da qualche tempo era di visionare un gruppo di artisti collocati su un zattera, isolati non solo fisicamente dal pubblico, ma anche antropologicamente. Poi, grazie all’intuizione di Ernesto, il progetto ha preso vita nel laghetto circolare delle Stufe di Nerone e dalla seconda edizione ho preso a curarne la direzione artistica. La realizzazione di quest’idea è stata una bella sfida. Noi volevamo offrire al pubblico un surplus, che intrecciasse arti, linguaggi, emozioni in una cornice paesaggistica di grande impatto. Il risultato finale c’ha portato una grande gioia.
MAFFIONE: Quali sono state le difficoltà da superare nell’anno della pandemia mondiale?
Ci sono due piani distinti da valutare. Il primo è quello organizzativo, che ci ha indotto a spostare l’evento da luglio a settembre per comprendere l’evoluzione della situazione sanitaria. Sapevamo di dover fronteggiare uno scenario inedito, contraddistinto dal timore del contagio. Con un approccio sereno e attento, siamo convinti che potremo offrire al pubblico degli spettacoli svolti in piena sicurezza. L’altro piano, è quello della direzione artistica, che ha presentato delle difficoltà. Quest’anno avevamo approntato il cartello dal mese di febbraio, ma a causa dello scoppio dell’epidemia, siamo stati costretti a rivederlo, apportando delle modifiche. Tuttavia, nella presente edizione abbiamo colto a pretesto la situazione per diversificare l’offerta e proporre lavori che incrociassero altre forme d’arte e di linguaggio.
MAFFIONE: Nel programma emerge la scelta di arricchire e diversificare l’iniziativa, presentando, tra gli altri, uno spettacolo di burlesque.
MEOLA: Il burlesque è una forma d’arte che ha quasi un secolo e mezzo di vita. Nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale viene vissuta con una certa verve. Nei paesi di cultura latina, come il nostro, dove la Chiesa cattolica ha un forte ascendente di massa, tutto ciò che è corporeità viene vissuto come uno scandalo. Ragion per cui, gli spettacoli di burlesque a queste latitudini hanno una vita più complicata. Attualmente, non abbiamo grandi nomi sulla scena nazionale che trascinino il movimento. Eppure, il burlesque ha una grande dignità nel mondo dello spettacolo, che si intreccia con arti differenti. Proprio per darne una dimostrazione, l’esordio della rassegna è stato affidato a Floriana D’Ammora, un’artista che ha un approccio altamente ironico, in cui riesce ad infondere carnalità e poesia mettendo alla berlina ogni scabrosità. In futuro, mi piacerebbe che alcune compagnie di artisti di burlesque sviluppassero maggiormente piccole drammaturgie e racconti, accrescendo le loro abilità. Anche perché quest’arte esprime una profonda riflessione sull’uso e l’esposizione dei corpi nella società.
MAFFIONE: Completano il cartellone, un concerto teatrale di musica elettronica, con l’esibizione di La Claud, e la messinscena di uno spettacolo di drammaturgia contemporanea del giovane autore Fabio di Gesto.
MEOLA: La Claud, al secolo Anna Claudia Postiglione, è una musicista che si è distinta con il progetto di Mujeres creando. Da qualche tempo, ha sviluppato anche una propria progettualità elettronica, incentrata sul trip-hop. E’ un genere che mi ha sempre affascinato molto e che nel Mondo vede fra i propri precursori gruppi come i Massive Attack, Tricky, Portishead, Bjork. Questa scena si è affermata dalla metà degli anni Novanta del Secolo scorso, ma in Italia non ha avuto molto successo neppure nel circuito alternativo. La Claud è una sperimentatrice, che porterà sul palco uno spettacolo che si andrà intrecciando con l’esibizione dell’attrice Alessandra Coccia, creando così una commistione fra parole e musica.
MAFFIONE: Come mai l’hai scelta?
MEOLA: Mi divertiva proporre al pubblico quest’idea, sullo sfondo di un luogo suggestivo che renderà ancora più particolare questa esibizione.
MAFFIONE: E di Gesto?
MEOLA: Fabio metterà in scena, nell’ultima serata, una rivisitazione de Le serve di Jean Genet, rilette in una chiave in cui si alterneranno l’italiano ed il napoletano. Fabio è un giovane di grande talento, che alterna un linguaggio estremamente carnale, fisico, al lavoro critico sugli stereotipi. Il suo sarà uno spettacolo drammaturgico, che si rifà alla tradizione del “Teatro alla deriva”. Il pubblico non potrà che goderne.
MAFFIONE: Nel tuo bagaglio di esperienze, la compagnia indipendente che hai fondato nel lontano 2003: Virus teatrali. Il tuo teatro si contraddistingue per il forte impegno civile e ha spesso affrontato temi scomodi.
MEOLA: Anzitutto, mi preme precisare che spesso mi è stato affibbiato questo stigma del teatro dell’impegno civile, che non ripudio, ma che voglio raccontare in un modo differente. Nel corso della mia carriera, ho fatto lavori molto diversi fra loro. Il teatro non è una forma d’arte statica, ma è un percorso di ricerca continua, il cui obiettivo è il cercare di emozionare il pubblico, toccando le sue corde più profonde. In questo tentativo, utilizzo due lingue: l’italiano ed il napoletano. In quest’ultima lingua, ho proposto dei lavori che si sono affacciati a tematiche sociali. In italiano, invece, sono partito dalla riproposizione di opere di Pirandello, Molière e Bracco, ma mi sono spinto oltre, evolvendo approcci impattanti con la totale riscrittura scenica di testi, elaborata assieme agli attori. In questo tipo di teatro, ho messo in risalto un lavoro propriamente fisico e concettuale.
MAFFIONE: E di Virus teatrali cosa ci racconti?
MEOLA: Viviamo una condizione particolare, perché siamo liberi di poter esprimere la nostra arte senza condizionamenti di sorta, ma ne paghiamo anche il fio, in quanto siamo “figli di nessuno” e scontiamo il peso dei grandi che dettano le regole del gioco. Nonostante questo, non mi pento di nulla e sono orgoglioso di questo progetto. Di qui a breve, porteremo in scena due lavori: il primo è una rivisitazione dell’opera Le tre sorelle di Čechov, l’altro un dramma ispirato all’Amleto di Shakespeare. Contiamo di proporre questi lavori entro il 2021 e di sorprendere un po’ tutti.
MAFFIONE: Torniamo a “Teatro alla deriva”: è anche una metafora delle politiche culturali del nostro Paese?
MEOLA: No, è un progetto visionario: propone spettacoli di livello medio-elevato a un pubblico che ha saputo apprezzare nel tempo la nostra proposta. Tuttavia, è evidente che il teatro e, più in generale, la cultura siano in forte crisi nel nostro Paese. Se si studia bene, si può facilmente apprendere che la storia stessa del teatro cui noi ci rifacciamo risale alla Grecia antica e ha oltre 2500 anni di esperienza. Ma è evidente che il teatro stesso, per sua natura, ha vissuto alti e bassi ed è addirittura scomparso in delle epoche per poi, riaffiorare successivamente.
MAFFIONE: Un fenomeno carsico?
MEOLA: Esattamente. E mi fa venire in mente che noi stessi, a fronte di questa pandemia e delle incertezze economiche che ne sono derivate, corriamo il rischio di divenire un sorta di Venezia, che può finire sott’acqua e affogare. Da questa fase, alcuni saranno costretti a chiudere i battenti, pochi rimarranno a pelo sull’acqua. In altri paesi, il teatro gode di una dignità e un rispetto ben diversi. In Italia, purtroppo, non è così. Nonostante questo, andiamo avanti con un sorriso (amaro) sulle labbra.
MAFFIONE: Giovanni Meola, drammaturgo, sceneggiatore, regista teatrale e cinematografico. Nel corso della tua lunga carriera, hai ricevuto premi e riconoscimenti prestigiosi. Un napoletano che “ce l’ha fatta”… Ma se incontrassi un giovane determinato seguire lo stesso percorso, che consigli gli daresti?“
MEOLA: Ti darò ancora una volta una risposta articolata. Una parte della mia carriera è dedicata al cinema. Ho all’attivo collaborazioni professionali con attori del calibro di Massimo Dapporto, Giulio Scarpati, Mariangela D’Abbraccio. Ho girato sette cortometraggi e attualmente ho presentato due lavori, che sono in competizione in festival internazionali. Sto lavorando su un lungometraggio cui tengo molto, nato dalla sperimentazione formativa realizzata col laboratorio detenuti del reparto “Napoli” del Carcere di Poggioreale, che si chiama: “Art. 27, comma 3 – Nu juorno assieme”. Nella mia attività è centrale il ruolo della formazione ed il rapporto coi giovani, che porto avanti con una vera e propria scuola di teatro, che rivolgo a diverse fasce d’età, incominciando dai ragazzi delle scuole superiori.
MAFFIONE: E, quindi?
MEOLA: Ai giovani dico sempre che bisogna studiare, perché solo avendo la memoria del proprio passato si può essere consapevoli del proprio presente. Io non auguro neppure al mio peggior nemico d’intraprendere questa carriera, perché è fatta di tantissimo lavoro e sacrifici. Ma proprio ai ragazzi dico sempre di lavorare sulla curiosità, sul fuoco, sulle intuizioni. Il teatro è una delle cose più semplici e, al contempo, più complesse, ma per essere tale deve creare emozioni, coinvolgendo tutti gli aspetti dell’essere umano. Questo lavoro va costruito ogni giorno, senza mai dire a me stesso che “ce l’ho fatta”, al contrario, mettendomi costantemente in discussione e chiedendomi se ho qualcosa di nuovo da dire! Parte essenziale di questa ricerca è il rapporto con gli attori e gli artisti, tramite cui si costruisce un rapporto creativo. Solo lavorando sulla curiosità, lo studio e le emozioni si può realmente crescere.
MAFFIONE: Cosa ti aspetti dal pubblico?
MEOLA: Grande curiosità e fiducia. Fiducia che ho visto aumentare nel tempo con le edizioni del “Teatro alla deriva”, grazie non solo all’incantevole cornice delle Stufe di Nerone, ma anche a una qualità che abbiamo saputo proporre. Riguardo il percorso di Virus teatrali, che è un progetto diverso, ho sempre avuto un pubblico numeroso, attraversato da una tensione critica e analitica, che mi ha consentito di crescere. Perché il teatro, senza pubblico, non esiste. È un rito pagano, che si rinnova ogni sera quando andiamo in scena e proviamo a smuovere il cuore e la coscienza delle persone.
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