Il Natale delle feste, degli abbracci, delle luci, dei regali, delle famiglie riunite è sempre più distante da chi è impedito a tutto questo, ovvero da quel mondo dimenticato e allontanato dei barboni, degli immigrati, degli esclusi, della solitudine abbandonata. Il Natale sommerso, fatto di volti senza nome e di mani che si cercano. Di storie perdute e di anime che chiedono speranza. Di nudit violentate e di silenzi che urlano voci. Un Natale spogliato di ogni dignit , dove la vergogna vince sulla piet e l’amore piange nell’indifferenza. Il Natale dei diversi.
Quella diversit fatta di povert e di bisogno ma anche di fatica esistenziale e di richieste di aiuto mascherate, di percorsi emotivamente escludenti e di paura di vivere. Sarebbe bellissimo se il Natale da un perseguire solo ritualit di culto divenisse anche e soprattutto l’abbraccio di tutto questo, se fosse in grado di aprire un varco d’incontro con la fragilit di equilibri a margine persino della speranza.
Immaginare un paradigma di scenario in evoluzione dove trattare con rispetto ogni vita umana, dove non dover pagare costi al prezzo del riaversi, dove ognuno possa identificarsi anche con una normalit “speciale” fatta di accoglienza e accettazione.
Dove ogni storia sappia calarsi “nell’altro” sconosciuto e lontano e provare a parlare con la sua voce, le sue domande, le sue speranze.
Una sorta di auto-identificazione tra chi crede di “sapere” e chi vive il “sapere”.
Clochard, barboni, senza fissa dimora, senzatetto, homeless, ultimi, esclusi.
Un prato per la notte, un cartone come casa, una mensa per il pasto.
E poi tanta freddezza e un po’ di carit . Occhi spenti, menti sfiorite, memorie perse, volti che non esprimono passioni, sentimenti, obiettivi, neanche schifo.
Solo indifferenza. Tanta, come quella che ricevono.
Se io fossi … uno di loro avrei come amico un semaforo, tre minuti di rosso per lavare un vetro o un faro in cambio di una moneta.
Se io fossi… uno di loro accompagnerei le mie giornate con il vino, il Sangiovese di Romagna o il San Crispino delle cantine Rocco.
Se io fossi … uno di loro chiederei ai governanti se hanno mai sofferto un inverno rigido a piedi nudi, se hanno mai dato di testa, se hanno mai conosciuto la paura di aver perso affetto, futuro, speranza.
Se io fossi…uno di loro chiederei chi mi restituisce la vita. Quanto bisogna pagare per rimanere se stessi e non perdere in dignit .
Se io fossi … uno di loro chiederei di essere lasciato fuori da quella omologazione sociale di finta emancipazione.
Se io fossi … lontano da una certa ” normalit ” e persino da una certa “diversit ” chiederei il rispetto del mio essere diverso tra i diversi, della mia difficolt a misurarmi con un mondo a me distante ma che nessuno può decidere non appartenermi più.
Napoli in un cammino di rinascita potrebbe cominciare anche da questo.
(2.fine)