A Napoli in molti si chiedono perch alcuni giardini, monumenti o aiuole mancano di una protezione metallica che li salverebbe da atti vandalici. Una risposta l’abbiamo trovata nella corrispondenza tra Comune e Prefettura e risale agli anni 1940 e 1941. In quegli anni l’emanazione delle Leggi e dei Decreti autarchici privò strade e piazze di corrimani, cancellate e tante altre strutture di ferro. Tutt’oggi non sono ancora molto noti gli aspetti di ordine pratico che seguirono a questi provvedimenti, ma le carte d’archivio gettano un fascio di luce.
Nel momento in cui l’Italia di Mussolini dovette soccombere alla politica europea di isolamento, scattarono molte iniziative governative rivolte a produrre in patria quello che veniva negato all’importazione nazionale. Il termine “autarchia” divenne di uso più che quotidiano, lo sforzo bellico affrontato dall’Italia al fianco delle altre potenze dell’«Asse Roma-Berlino-Tokyo», quali il Giappone e la Germania, necessitava di una materia prima, il ferro per fabbricare le armi. Si sopper alle derrate alimentari con la creazione degli orti di guerra e si emanò una serie di provvedimenti per andare incontro alle necessit anche degli armamenti. A Napoli la prefettura e gli enti locali si attivarono con uno sciame di note e circolari che a dire il vero precedettero talvolta la legge vera e propria, che ebbe come scopo il recupero di metalli quali il ferro, il bronzo e il rame. Il contenuto di queste note mostra la tipica retorica del momento storico.
Il 3 aprile 1940 il Consiglio dei Ministri approvò un disegno di legge che stabiliva la “Denunzia e la raccolta delle cancellate di ferro e di altro metallo”. Il prefetto Benigni pose in allerta i Comuni della provincia di Napoli sulla necessit di iniziare le pratiche per la rimozione delle cancellate di ferro di propriet comunale. Quindi, ancor prima di una chiara norma furono impartite disposizioni ai podest e ai presidenti e commissari prefettizi delle Opere Pie della Citt di Napoli per l’inizio delle pratiche per la rimozione delle cancellate di ferro esistenti negli edifici di propriet di questi enti. Entro il mese di giugno ogni ente doveva comunicare alla Direzione dei Lavori e dei Servizi Tecnici del Municipio quali opere intendeva eseguire per la sostituzione delle cancellate da rimuovere, inviandone l’elenco. Come anche i presidi e i direttori scolastici del capoluogo dovettero comunicare alla direzione tecnica del Comune, il numero di manopole di ferro od ottone presenti nella loro scuola. Manopole sostituite da maniglie di nichel o bachelite.
SPOGLIATA DEI CANCELLI
Il germe di questa singolare vicenda, che portò Napoli a essere spogliata di cancelli, corrimani, manopole, picchiotti ai portoni e protezioni lungo le strade, si trova nel R.D.L. 13 dicembre 1939, n. 1805, che conteneva le «Norme per il censimento dei rottami e dei manufatti di rame non in opera e per la raccolta di essi». Norme che furono convertite con modificazioni nella Legge n. 586 del 16 maggio 1940. Il decreto fu attuato dal Sottosegretariato di Stato per le fabbricazioni di guerra che ordinò la denuncia di rottami e manufatti di rame, vietando la vendita di questi a privati e costituendo depositari gli stessi possessori. Furono solo permessi la detenzione e l’uso di oggetti da cucina per un peso complessivo non superiore ai venti chilogrammi. Alla met di giugno del 1940 la Prefettura di Napoli avvert i Comuni dell’imminente inizio della raccolta «da parte dell’Ente Distribuzione Rottami che provveder a mezzo di raccoglitori designati dalla Fedemetalli, muniti di apposita tessera di riconoscimento.» A sostegno dell’operazione furono coinvolte anche le forze dell’ordine «per facilitare l’opera ai raccoglitori ed inibire eventuali resistenze».singolare la circolare del prefetto Benigni, inviata ai «Sigg. Podest e ai Commissari prefettizi dei Comuni della Provincia», invitati a cedere i materiali ferrosi ricavati dalla demolizione delle vecchie urne elettorali, che com’è noto non occorrevano più essendo stata abolita ogni forma di consultazione elettorale o referendaria. Per le piccole quantit , previo accordo con il segretario federale del Partito nazionale fascista di Napoli si poteva disporre del deposito presso la Casa del fascio, ma per quantitativi superiori, invece, oltre i 100 Kg. bisognava rivolgersi all’Ufficio Autarchia della Federazione fascista, che avrebbe provveduto al ritiro. La demolizione di strade ferrate, come anche di vecchi ponti in profilati metallici procuravano materiali ferrosi che le Amministrazioni comunali e provinciali vendevano al migliore offerente mediante «il sistema della gara all’asta pubblica o a trattativa privata».
Il prefetto Benigni tenne a comunicare al preside della Provincia di Napoli e ai podest e ai commissari prefettizi dei Comuni della stessa provincia che il suddetto sistema «contrasta con i preminenti interessi nazionali, mettendo sul libero mercato materiale ferroso la cui disciplina di approvvigionamento e distribuzione è, com’è noto, vincolata dal Sottos 6 « o è è á « s pt L libri n e d d d d pG 7 e : E è H l è NO » OJ e
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î î è è î î î è î è îegretario per le Fabbricazioni di Guerra». Ed è quest’ultimo che dovr impartire le disposizioni prima dell’alienazione. Da una parte il governo pensò cos di recuperare con la cessione il ferro, il rame e lo stagno per farne armi, ma dall’altra non tenne conto dell’inconveniente di dover sostituire tutto ciò con altro materiale idoneo. Il sindacato dei proprietari di fabbricati di Napoli, inviò una nota a tutti i proprietari e agli amministratori di condominio con la quale si dava diffusione di un comunicato del segretario federale che invitava alla sostituzione delle targhe di ottone. Il comunicato enfatizza l’iniziativa
scrivendo che «La Patria in armi abbisogna di metalli per forgiare le armi della Vittoria», rilevando che esistono ancora «vari accessori ed oggetti di metallo inutili e facilmente sostituibili con altro materiale di produzione nazionale». In particolare si riferisce alle «etichette di ottone apposte alle porte delle abitazioni private e» alle «targhe, talora di formato molto grande» con l’indicazione «di ditte commerciali, industriali» o recanti i nomi e la specialit dei vari professionisti». Lamentando il dissennato spreco di metallo negli «androni d’ingresso» dei palazzi, «addirittura cosparsi di queste grosse targhe», costituendo «un vero e proprio spreco di metallo». «La citt di Napoli», prosegue il comunicato, «attraverso questa Federazione e le Organizzazioni sindacali dipendenti dal P.N.F., deve collettivamente offrire alla Patria» in armi «tutto questo metallo». I criteri della raccolta di targhe e targhette stabilirono la consegna, per ciascun rione, da parte «dei singoli detentori, ai Centri di raccolta dei rispettivi Gruppi rionali fascisti»; dietro rilascio di una ricevuta per l’offerta fatta. «Successivamente», allo stesso offerente», oltre la ricevuta veniva dato «un semplice cartoncino delle stesse dimensioni della targa di metallo» donata e recante la stessa dicitura. Quest’ultimo atto, più che valere quale risarcimento o sostituzione della targa, costituiva un «segno tangibile dell’atto di Fede a cui nessun Fascista» doveva «sottrarsi».
RACCOLTA CAPILLARE
Questa capillare raccolta avvenne, e i napoletani dovettero privarsi di parte delle loro casseruole e pentole di rame, comparendo in loro vece quelle di alluminio. Alcuni cittadini occultarono tali utensili, sotterrandoli nel proprio giardino e non pochi litigi ci furono tra mariti ligi agli orientamenti legislativi e mogli preoccupate alla conservazione degli strumenti necessari al cucinare. Chi scrive è stato testimone di racconti familiari in tal senso. C’è da dire, però, che il rame da cucina da “donare” era solo quello eccedente un certo peso.
Spesso venivano fatte segnalazioni di quantit di ferro «tolto d’opera» e da doversi prelevare, cos si apr una sorta di “caccia ai metalli” guidata dalla Prefettura, che ipotizzava l’esistenza di vecchi cannoni austriaci quindi della Prima guerra mondiale all’interno di alcuni parchi pubblici e nei palazzi comunali, rammentando «che nell’attuale momento potrebbero essere efficacemente utilizzati per produzione bellica». I Comuni della provincia dovettero affrettarsi a rispondere; il podest di Napoli rispose che nei parchi pubblici e negli edifici non esistevano cannoni appartenuti all’esercito asburgico, dichiarando che l’Amministrazione municipale non era «in grado di precisare se in altri edifici pubblici, non comunali» esistevano o meno «cimeli del genere».
Nel novembre del 1940 l’Ente Distribuzione Rottami, su disposizione del reggente il Direttorio del P.N.F., si accorda con l’Opera nazionale dopolavoro affinch quest’ultima provveda alla raccolta. Conseguentemente il presidente del Dopolavoro provinciale impartisce disposizioni affinch «la raccolta e la conseguente immediata immissione nel ciclo produttivo, abbia subito inizio in maniera organica ed unitaria», invitando i podest «a collaborare personalmente a tale importante raccolta che interessa la difesa nazionale».
MONUMENTI IN BRONZO
In questa colossale operazione non poteva mancare l’apporto del Ministero dell’Educazione Nazionale che si adoperò indicando, attraverso un comunicato alla Prefettura, i monumenti in bronzo esistenti nella Provincia di Napoli «meritevoli di essere integralmente conservati». Il prefetto trascrisse la nota ministeriale, informando con un elenco il podest . Si tratta soltanto di quindici monumenti: la Statua equestre a Vittorio Emanuele II in Piazza del Municipio; il Monumento a Giuseppe Garibaldi nella piazza omonima; il Monumento a Salvator Rosa in Piazza Arenella, il Monumento ad Armando Diaz in Via Francesco Caracciolo; la Statua equestre a Carlo di Borbone e la Statua equestre a Ferdinando I di Borbone, entrambe nella Piazza del Plebiscito e opere di Antonio Canova e Antonio Cal; la Statua dell’Immacolata sulla guglia in Piazza del Gesù, allora Piazza Oberdan; la Statua di San Domenico sulla guglia in Piazza San Domenico Maggiore; la Statua di San Gaetano in Piazza San Gaetano; la Statua di San Gennaro sulla guglia in Piazza Sisto Ria 6 « o è è á « s pt L libri n e d d d d pG 7 e : E è H l è NO » OJ e
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rio Sforza; la Statua a Carlo II di Spagna in Piazza di Monteoliveto; Statua della Vittoria in Piazza dei Martiri; il Gruppo dei Domatori di cavalli in Via Vittorio Emanuele III; la Statua di San Gaetano sulla Porta Alba; il Monumento a Umberto I in Via Nazario Sauro; la Statua di Ottaviano Augusto in Via Cesario Console.
Tale elenco doveva ritenersi provvisorio, ma non si comprende fino a quando, perch nel comunicato è scritto, ci si «riserva di impartire istruzioni in ordine agli altri monumenti di codesta Provincia appena sar noto il giudizio del Ministero dell’Educazione Nazionale».
il caso qui di osservare che ancora oggi si rilevano sul territorio i segni di quell’operazione che portò alla rimozione di buona parte della produzione artistica del ferro. Si trattava di molte recinzioni di ferro battuto e di vario disegno, spesso risalenti ai secoli precedenti, anche nella propriet privata di ville e palazzi. Tutti i monumenti erano protetti dalle inferriate, come quello a Paolo Emilio Imbriani in Piazza Mazzini, a Dante Alighieri, a Garibaldi, la colonna dei Martiri e altri. Sopra tutto le aiuole e i giardini subirono la spoliazione del ferro, esempio vistoso quelli di Piazza Vittoria e il Parco Virgiliano, privato dei grandi cancelli, ricostruiti solo di recente.
In conclusione, i luoghi della citt meriterebbero di ritornare quali erano prima di questa grande spoliazione, considerando la necessit per la sicurezza del verde e del patrimonio storico, artistico e monumentale di Napoli.
Nelle foto, Palazzo reale e piazza Dante
*Universit di Napoli “Federico II”